Nel 2009 e per alcuni anni a seguire sono stata inviata a L’Aquila per le vicende post terremoto e ricostruzione. Una delle prime persone che mi capitò di incontrare è stato Claudio Persio, funzionario dell’Università de L’Aquila e guida CAI, che dopo il colpo terribile che si portò via 309 vite, corse alla sede del rettorato a palazzo Carli, fortemente lesionato (il doppio movimento della terra ondulatorio e rotatorio aveva sradicato gli antichi pilastri dell’edificio barocco) per mettere in salvo l’archivio. E lì continuò a lavorare per le successive 48 ore.
Nella mia inesperienza gli chiesi perché avesse messo a rischio la vita per salvare dei pezzi di carta. Lui mi guardò sorpreso e mi rispose: “Dentro quei pezzi di carta c’è la vita delle persone”. Anni di servizio, scatti di carriera, contributi pensionistici, voti e diplomi di laurea. L’episodio mi è tornato in mente leggendo il bell’articolo di Lidia Piccioni sull’Archivio di Stato di via Galla Placidia a Roma (https://www.ricercaroma.it/archivio-di-stato-di-roma-chiusura-della-succursale-di-via-galla-placidia/). Piccioni giustamente sottolinea come sia indispensabile per gli storici di Roma contemporanea l’accesso a quell’archivio.
A me sembra valga la pena di aggiungere che gli archivi sono fondamentali per la vita delle persone comuni. A Galla Placidia, per esempio, sono conservati i documenti dell’esercito e della leva e, per anni, sono stati consultati da comuni cittadini per l’accesso alla pensione. Le famiglie ebree private dei loro diritti dalle leggi razziali hanno potuto ricostruire attraverso gli archivi le loro vicende, i partigiani documentare la partecipazione alla Resistenza.
La relazione fra gli archivi e la vita delle persone comuni spesso affonda le sue radici in molti secoli addietro. È quello che è avvenuto con la vicenda dell’ospedale San Giacomo a Roma. Nel 2008 la sanità del Lazio era fra quelle col bollino nero, un debito esorbitante che rischiava di far fallire Regione e Stato. Fu decisa la chiusura proditoria dell’ospedale gioiello: un reparto di nefrologia all’avanguardia, un’amministrazione attenta ai costi che aveva ridotto le degenze in favore del day hospital. Quella chiusura è una macchia indelebile per l’amministrazione di sinistra allora retta da Piero Marrazzo. Ci fu la rivolta dei pazienti e del personale medico e infermieristico che trovarono una inaspettata alleanza in Oliva Salviati, erede del cardinale Salviati che nel XVI secolo aveva lasciato in eredità alla cosa pubblica l’immobile con il vincolo della destinazione ospedaliera. L’idea della Regione di vendere e “valorizzare” fu bloccata. Il documento, il testamento, in questo caso, fu trovato a Sant’Ivo alla Sapienza, la sede dell’Archivio di Stato dove sono conservati i documenti della Roma pontificia. Una sentenza recente ha dato ragione, dopo 14 anni, a Oliva Salviati.
Un altro caso che mi è capitato di conoscere direttamente è quello del signor Silvestri, protagonista di una epica battaglia con il comune di Roma durata decenni. Era infatti un ragazzino quando, negli anni Sessanta del secolo scorso, le ruspe buttarono giù la casa dei genitori, abusiva, diceva il comune. Ma in realtà era una casa di campagna preesistente e ormai inurbata, edificata prima delle leggi urbanistiche. Pochi anni fa il signor Silvestri, ormai più che ottantenne, grazie alla sua ostinazione e ai documenti edilizi, è riuscito ad ottenere il risarcimento dovuto.
Tutto questo per sottolineare che le “scartoffie” sono certo indispensabili agli studiosi ma sono molto importanti anche per l’affermazione dei diritti individuali dei cittadini. E lo stato deplorevole degli archivi, fra i quali anche quelli edilizi comunali, lede tali diritti.

Palazzo Carli a L’Aquila, sede del rettorato dell’Università, gravemente lesionato dal terremoto del 2009