Come comunicato dalla Direzione responsabile, da lunedì 17 luglio scorso la sede succursale dell’Archivio di Stato di Roma di via Galla Placidia – che ospita i fondi relativi alla Roma postunitaria dell’Archivio stesso, dal 1860, quindi, a tutto il Novecento (nonché fondi di importanti ministeri di epoca pontificia) – è chiusa agli utenti, e al personale, non sappiamo se in via definitiva o comunque per tempi non meglio specificatamente lunghi.

Nel frattempo, presumibilmente dal prossimo settembre, ma anche in questo caso secondo tempi e modi non meglio specificati, è in previsione “un servizio in outsourcing per la conservazione e la consultazione della documentazione”.

Da tempo immemorabile il mondo degli archivi e degli studi ha cercato (peraltro inutilmente) di denunciare, in particolare,  l’incredibile situazione della conservazione e conseguente consultazione delle carte relative alla storia di Roma contemporanea di competenza dell’Archivio di Stato, a cui afferiscono fondi essenziali per qualsiasi ricerca di storia urbana e per la comprensione delle dinamiche sociali, politiche e amministrative della città stessa, come quelli relativi al Catasto post-unitario, al Genio Civile o al Tribunale di Corte di Assise speciale 1945-47 (processi per l’epurazione) e, soprattutto, i fondi della Prefettura e della Questura anche se purtroppo, altro motivo di continua quanto inutile denuncia, in serie lacunosa rispetto all’arco del secolo scorso.

Fino ad oggi solo l’impegno, la competenza e, possiamo veramente dire  fuor di retorica, “l’abnegazione” del personale man mano responsabile, e in particolare di quello presente in sede, ha comunque consentito di accedere, sia pure tra molte difficoltà, al materiale conservato (a tal proposito si veda già l’intervento per Romaricercaroma di Paolo Buonora, del novembre 2021: https://www.ricercaroma.it/il-divorzio-tra-cultura-e-patrimonio-culturale/).

A questo punto, senza voler entrare in vicende amministrative ed organizzative tuttora in corso e nelle polemiche inevitabilmente a queste connesse, sentiamo la necessità di intervenire in quanto studiosi della città e, più complessivamente, utenti di un servizio pubblico essenziale.

Non è possibile lavorare su questo tipo di documentazione da lontano. Per chiunque abbia frequentato un Archivio è evidente che chiedere buste attraverso “un servizio in outsourcing” comporta come minimo un allungamento inimmaginabile dei tempi della ricerca, spesso inevitabilmente soggetta da un lato a errori e ripensamenti di percorso dall’altro, più banalmente, ad aspettative deluse rispetto al contenuto della busta richiesta. Ma se la logistica è fondamentale per poter davvero usufruire del materiale conservato, altrettanto importante è lo scambio e l’interlocuzione, sul posto, tra ricercatore e archivista, da cui solo possono scaturire idee, suggerimenti e rilanci per il lavoro nel suo divenire.

La documentazione conservata presso un Archivio come quello di cui stiamo parlando, è fondamentale, torniamo a dire, per lo studio e la comprensione di Roma contemporanea, delle articolazioni interne alla storia della città, delle trasformazioni nella vita dei suoi abitanti, del funzionamento delle sue istituzioni e del suo rapporto con il resto del Paese in quanto capitale, e non può assolutamente essere gestita con una logica che oseremmo definire da “postal market”.

L’auspicio è dunque che le istituzioni e autorità competenti vogliano lavorare nell’unica direzione possibile che è quella di riaprire, nei tempi più brevi, la sede di Galla Placidia per un’utenza sul posto. Se poi nel futuro di questa città è previsto un grande progetto di rinnovamento dell’Archivio stesso, quando sarà non potremo che rallegrarcene.

 

 

 

La sede storica dell’Archivio di Stato di Roma