Autore

Jolanda Bufalini

Fotografo

Andrea Jemolo

 

Il lavoro di accompagnamento di Sara Braschi e Sofia Sebastianelli per il Laboratorio di Città Corviale è a forte impatto emotivo poiché – come si può immaginare – ciascuna delle famiglie che deve essere traslocata, a seconda delle situazioni e dei diritti, fa storia a sé, ha i suoi problemi, le sue aspettative, le sue diffidenze.
Da poco meno di quattro anni il Laboratorio di Città Corviale* accompagna le trasformazioni del IV piano del famoso Serpentone. Come è noto, l’architetto Mario Fiorentino aveva concepito il IV come “piano libero” destinato a servizi ma, mentre i servizi tardavano ad arrivare, l’emergenza abitativa, aggravata dalla inefficienza nelle assegnazioni delle case popolari, era fra gli anni Ottanta e i Novanta ad un apice che l’ultimo grande piano di edilizia popolare non era riuscito del tutto ad appianare. Il IV fu occupato e, da allora, vi hanno abitato circa 135 famiglie. Un trentennio dopo, le istituzioni sono venute a patti con una realtà che da provvisoria si era ormai consolidata: lì erano nati e cresciuti bambini diventati adulti, le famiglie avevano speso i loro risparmi per modellare quegli spazi alle loro necessità quotidiane. È stata avviata, mantenendo la destinazione d’uso abitativo, la ristrutturazione di quello che doveva essere il piano libero. Questo il contesto in cui è nata la Mostra delle Memorie – gli alloggi del Piano Libero di Corviale con “l’obiettivo di conservare traccia delle case demolite dal cantiere. Raccontare storie di vita delle persone che le hanno abitate e le pratiche di domesticazione con le quali ciascuno ha fatto spazio al proprio modo di abitare”. Mappatura degli alloggi ormai demoliti, fotografie degli appartamenti, fotografie che rimandano alla storia del palazzo-città, installazioni di due artiste: Anica Huck, Guendalina Salini.

Prima che una esposizione collettanea, la Mostra delle Memorie è opera d’arte in sé, una installazione frutto della mente collettiva che l’ha concepita nel luogo dove si sviluppa, dalla sala condominiale del VI piano ai locali demoliti del V-IV nel primo lotto, fra i calcinacci di un mondo che è stato. Non c’è bisogno che lo dica io ma l’allestimento, necessariamente destinato a sparire con il progredire della rigenerazione, dovrebbe essere a sua volta adeguatamente documentato perché resti quella “traccia” dalla cui idea tutto è partito, non solo nel piccolo cosmo della città di Corviale ma anche nel più vasto dell’arte, per l’emozione che quell’insieme suscita, per le storie che racconta, per i pregiudizi che scardina, per il fluire nelle vene di quel grande organismo che è il grattacielo orizzontale, di succhi vitali che fanno tuttora di Roma una metropoli sconcertante e sorprendente nella sua indomita capacità non solo di sopravvivere ma di reinventarsi scanzonata e creativa, a dispetto degli opposti diavoli di decoro e degrado che vorrebbero spingerla in basso come in una carta dei tarocchi.

La mappa in ingresso già racconta molto delle soluzioni, spesso intelligenti e innovative, trovate dagli abitanti di organizzazione dello spazio: dove le cucine e dove i bagni, dove lo spazio ampio per i bambini e dove la stanza da letto matrimoniale, angusta per lasciare più agio per la TV e per la socialità, dove la luce che penetra dalle grate della terrazzata. La mappatura racconta anche la gerarchia sociale che si era stabilita in base alle disponibilità e alle prepotenze, appartamenti grandi con affacci all’esterno, appartamenti piccoli o microscopici senza fonti di luce naturale. Con la nuova sistemazione (architetto Guendalina Salimei), che ha l’obiettivo di mettere a norma le residenze, il numero degli appartamenti sarà inferiore, 103. Non tutti gli occupanti hanno i requisiti per accedere alle case popolari. A tutti gli altri viene assicurata una soluzione alternativa, frutto del confronto sui problemi concreti da risolvere che costituisce una parte significativa del lavoro di Sofia e Sara.

Le fotografie a colori di Mykolas Juodele (fotoreporter lituano), di Roberta Marsigli, di Aldo Feroce,di Giovanni Stalloni insieme a Claudia Consorti documentano gli interni degli appartamenti demoliti, è uno sguardo nell’intimità di alcune esistenze. Sono fotografie senza persone eppure il gusto barocco o minimalista, i lari dei ritratti di famiglia e le immagini di devozione, i giocattoli invadenti dei bambini o l’affastellarsi di piccoli oggetti soprammobile, l’angolo cucina o il tinello, il monitor tv o lo stereo, richiamano le voci e i suoni, i rumori, persino gli odori delle vite che vi sono trascorse. Un colpo di piccone su una parete non ancora demolita indica il percorso ideale della mostra, che continua al di là dell’intonaco azzurrino. Il percorso fisico, invece, si fa lungo un corridoio angusto che porta in altri ambienti. Un appartamento minuscolo dove abitavano mamma, papà e bambino nato fra quelle mura. ll bagnetto, la cucina ricavati in pochi metri. Nell’ex bagno Anica Huck ha creato una delle sue istallazioni: una parete di separazione costruita con “mattoncini” di sapone Mira Lanza. Nel soggiorno sono ancora visibili i frammenti di piastrelle che avevano reso più confortevole lo spazio. In alto una foglia di controsoffitto in gesso difende la stanza dal lucernario. La ragazza che abitava qui aveva appena finito di allattare e si era alzata con il piccolo, quando dal lucernario non ancora protetto era piovuta una pietra. Da allora si considera una miracolata. Con i risparmi di numerosi anni, avevano appena terminato la ristrutturazione che la ditta appaltatrice ha demolito: è un atto dovuto, per non invitare a nuove occupazioni. La storia di questa famiglia è a lieto fine, hanno appena avuto assegnata una casa vera, altrove, a piano terra con un piccolo cortiletto.

Alessandro Imbriaco ha dedicato le sue foto di grandi dimensioni al cantiere, che porta in primo piano l’infrastruttura dell’edificio, i tubi. Sono pronti i primi nuovi appartamenti e già in corso le assegnazioni ma, anche in questo caso, le cose non sono semplici. Il primo assegnatario preso dalla graduatoria generale ha rifiutato Corviale, rischiando di perdere il diritto alla casa popolare o di finire in fondo alla graduatoria. La nomea del posto gioca il suo ruolo, eppure Corviale non ha solo svantaggi come quello della sporcizia degli spazi comuni. Gli appartamenti all’interno sono belli, gli impianti sportivi e i centri di aggregazione all’esterno sono numerosi e ben tenuti. C’è una piazzetta delle arti, dove lavorano incisori e ceramisti, un gruppo di artisti ha organizzato una sala per l’esposizione gratuita delle opere di chi non ha accesso alle gallerie mainstream.

Aldo Feroce è di Casetta Mattei, conosce Corviale da prima che sorgesse il Serpentone, la giornalista Paola Springhetti veniva qui a fotografare al tempo in cui, di fronte al grande bastione dell’edificio che segna il confine fra la città e l’Agro romano, si era accampata la tendopoli dei senza casa. Anche Renato Di Giannantonio vive qui dagli inizi. Nelle loro foto in bianco e nero e a colori, la storia del luogo torna indietro nel tempo lungo, al vernissage signori con i capelli bianchi si riconoscevano nei ragazzini che giocano a pallone negli scatti di Springhetti.

La mostra si può visitare il mercoledì dalle 15 alle 18 Largo Cesare Reduzzi 5 – Scala G – Piano VI – int. 606
Oppure prendendo appuntamento per una visita guidata: telefono 3924756687, email laboratoriocorviale@gmail.com
* Il Laboratorio di Città Corviale è un progetto di ricerca/azione del Dipartimento di Architettura di Roma Tre in collaborazione con la Direzione per l’Inclusione Sociale della Regione Lazio. I coordinatori scientifici sono i proff. Giovanni Caudo e Francesco Careri e l’equipe territoriale è formata dalle ricercatrici Sara Braschi, Sofia Sebastianelli, Maria Rocco e Sara Le Xuan.