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Associazione RomaRicercaRoma

Il problema dell’incarico a Boeri non è nella sua estraneità alla città. Servono buona amministrazione e sviluppo territoriale integrato

Il recente incarico al noto architetto milanese Stefano Boeri da parte del Sindaco di Roma Gualtieri ha suscitato più di qualche perplessità e molte discussioni, ampiamente rilanciate dai media. Tra le varie proteste, la posizione dell’ordine degli architetti di Roma e provincia e della Fondazione Inarcassa, e poi la conseguente presa di distanza da parte di Federarchitetti (sempre di Roma), ha mostrato un modo non meno fuorviante di affrontare i problemi della città e le scelte relative alla loro possibile soluzione.

In estrema sintesi: l’architetto è stato invitato ad elaborare le linee guida per la rigenerazione urbana della città con il “Laboratorio Roma050 – il Futuro della Metropoli Mondo”, “un laboratorio di idee e di progetti che riescano a traghettare la città nel futuro”.

Le reazioni, prevalentemente negative, si sono concentrate prima di tutto sulla ‘estraneità’ di Boeri alla ‘complessità urbanistica romana’, e sulla procedura di incarico che, ancora una volta, ha evitato la modalità che sarebbe da prediligere, ossia il concorso internazionale (sebbene nel caso specifico si tratti di un contratto di consulenza per l’elaborazione di linee guida, e non di un progetto in senso stretto).

Non vogliamo soffermarci su queste critiche, di cui si è parlato e scritto già molto. Ma, dal nostro punto di vista, la loro origine, la loro natura, il modo con cui sono state formulate e presentate, peraltro senza aver chiari tutti gli aspetti dell’incarico, rischiano di gettare ulteriore fumo su quelle che, a nostro parere, sono le questioni reali da considerare, a cui dedichiamo questa breve riflessione.

Boeri ha elencato cinque sfide: agricoltura ed economia circolare; mobilità pubblica, leggera e sostenibile; verde; biodiversità; energia[1].

Non sfuggirà l’assonanza con i discorsi attualmente all’ordine del giorno – e non solo a Roma – tutti largamente condivisibili.

Peraltro, i cinque temi elencati dall’architetto nelle interviste difficilmente possono essere considerati una novità, essendo già presenti in diversi programmi elettorali – in varie stagioni – e anche nei documenti programmatici dell’attuale amministrazione.

Al di là delle polemiche, ci interessa ricordare alcuni aspetti rilevanti per le politiche pubbliche della Capitale.

Il primo: al di là degli slogan. Troviamo assolutamente necessario passare dalla basilare condivisione di slogan alla più difficile condivisione delle scelte e delle azioni concrete.

A livello di ‘dichiarazioni di intenti’ è più facile che ci sia una condivisione di fondo (e non possiamo far finta di non sapere che le agende urbane di ogni città europea si basano – magari con un diverso ordine elenco – sui cinque punti elencati da Boeri).

Chi si opporrebbe oggi (in particolare con una pandemia e una guerra che nei fatti stanno imponendo le loro ragioni) all’idea di promuovere una diversa mobilità rispetto a quella su gomma, e anche a permettere diverse scelte modali? E chi non vorrebbe abitare in un quartiere in cui le dotazioni superano quelle dei servizi essenziali, anche proprio per cercare di limitare gli spostamenti? E chi, nella situazione presente, potendo contare su una produzione agricola locale capace di contribuire significativamente all’approvvigionamento alimentare e alla tutela attiva dell’ambiente, vi rinuncerebbe? Quantomeno a parole, c’è anche una convergenza sulla necessità di una più decisa politica di riduzione (se non di azzeramento) del consumo di suolo, che finalmente riconosca il ruolo vitale del sistema delle reti ecologiche, anche per orientare lo sviluppo insediativo e la mobilità.

Dunque, quale è la specificità della proposta per Roma? È rispetto a come si attuano concretamente le idee che nascono i problemi, e particolarmente quando si devono prendere decisioni tra modi di realizzazione alternativi. Ma questo aspetto sembra essere sottovalutato, se non addirittura ignorato.

Il secondo: di ‘straordinarietà’ ne abbiamo abbastanza.

Roma è una città per molti aspetti straordinaria, ma ha bisogno di ‘ordinaria amministrazione’.

Roma è considerata spesso un caso eccezionale, quando non un’emergenza nazionale. È largamente vissuta, e ancora vive, di leggi speciali, finanziamenti speciali, statuti speciali… Alcuni ritengono che ne abbia beneficiato, noi riteniamo che ne abbia (almeno altrettanto) sofferto, e che ancora ne soffra. In ogni caso, non si capisce perché un’idea di città di medio-lungo periodo debba essere alternativa alla capacità di rispondere ai bisogni quotidiani e ordinari. Non sono alternative e non dovrebbero esserlo.

Il terzo: i progetti non sono solo architettura e la progettualità si riconosce (e si dimostra) sul campo.

Il tema della rigenerazione delle periferie ci sta particolarmente a cuore, anche perché, per varie ragioni, è capace di mettere in evidenza tutte le contraddizioni e le criticità del modo di affrontare i problemi della città. Già l’espressione ‘rigenerazione urbana’ è contesa, essendo diventata buona per tutte le situazioni. È un termine (peraltro usato diffusamente in urbanistica derivandolo in maniera distorta dalle scienze biologiche) che si presta ad una varietà di usi e lascia un ampio margine di ambiguità. Nella maggior parte dei casi (così come si ricava anche dalle interviste rilasciate dall’architetto milanese), concentra l’azione sugli interventi fisici, di fatto tendendo a ridursi alla ‘più vecchia’ riqualificazione urbana, della quale sono stati evidenziati i limiti: quei limiti che la ‘rigenerazione’ intenderebbe superare, con un approccio integrato di cui si è ovunque e ampiamente riconosciuto il valore, a livello nazionale e internazionale (e non da ultimo a livello delle politiche europee).

 

Ora, per affrontare il tema del riuso, della rivitalizzazione e del buon utilizzo delle risorse esistenti – spaziali, sociali ed economiche (è in questo, in buona sostanza, che ogni progetto di ‘rigenerazione’ dovrebbe consistere) ci si rivolge all’ennesima ‘archistar’ (e sottolineiamo che se il prescelto fosse stato romano il nostro discorso rimarrebbe esattamente lo stesso), mentre quello che serve, e quello che i cittadini chiedono, sono politiche pubbliche da attuare con cura e nel tempo, il contrario dell’intervento che fa clamore e dura il tempo di un applauso, o di un fischio. Nello stesso senso, non si chiedono solo opere, ma una strategia complessiva, un approccio da portare avanti nel tempo.

Riferendosi alla Garbatella, Boeri ne ha riconosciute le qualità, che sono legate alla “accessibilità e percorribilità di luoghi nati come periferici che con il tempo sono diventati un modello di vivibilità”.

Questa frase è stata molto criticata perché riferita ad un quartiere molto meno problematico di tanti altri, e perché questo sarebbe il segnale evidente della scarsa conoscenza di Roma dell’architetto recentemente nominato come consulente. Eppure contiene una serie di punti per noi essenziali, prima di tutto il fatto che i luoghi crescono e si sviluppano in modo anche diverso da come sono stati inizialmente progettati, e che per far questo hanno bisogno di spazio e di tempo.

 Il nostro punto di vista: dalla rigenerazione allo sviluppo locale integrale

Per ‘rigenerare’ le periferie non bastano gli interventi fisici (sistemazione degli spazi pubblici, aree verdi attrezzate, ecc.): a volte non servono affatto, altre volte sono necessari e fortemente richiesti. Le situazioni sono varie e molto diversificate. In una città così grande e variegata come Roma, ancora più che in altri contesti non basta certo una ricetta buona per tutti i casi.

E comunque i progetti per la città fisica non possono prescindere da un quadro di riferimento capace di dar senso alla complessità e alle difficoltà che ne derivano: i cittadini non sono dei grulli, in molti casi basterebbe discutere insieme dei problemi e spiegare il perché di un orientamento o di una scelta tra i vari possibili.

Ed è anche necessario far propri tipi di approcci capaci di tenere assieme una buona progettazione, un buon uso, una buona gestione e una buona manutenzione – capaci cioè di curare e coordinare la dimensione dei servizi, i significati e gli impatti sociali ed economici, le politiche e le iniziative culturali, ecc., in particolare in quelle aree maggiormente in difficoltà e dove si registrano i maggiori livelli di disuguaglianza. In poche parole, un approccio capace di creare realmente le condizioni per un più ampio ed equamente distribuito accesso alle opportunità della città. In molte periferie, peraltro, il problema più grande è la mancanza di lavoro (cui si connette anche la presenza della criminalità organizzata). Per questi problemi sono necessarie politiche strutturali integrate e di lungo respiro, ovvero che siano in grado di tenere insieme la riqualificazione fisica con il sostegno al lavoro e alle economie locali, con la promozione dei territori, con le iniziative culture e lo sviluppo di un complessivo welfare comunitario. Si tratta di politiche multidimensionali per cui è necessario un approccio interdisciplinare ed un rapporto stretto e generativo con i territori.

In secondo luogo, non c’è bisogno soltanto di progetti (sulla carta), ma di processi. O meglio, a dover essere progettati sono anche e prima di tutto i processi: attivando, seguendo, curando percorsi con il coinvolgimento dei diversi soggetti affinché le tante idee e progettualità possano essere effettivamente sviluppate e si traducano in azioni concrete (col tempo necessario), di cui i cittadini non solo abbiano contezza, ma sentano di essere protagonisti. Per questa prospettiva c’è bisogno di molto lavoro sul campo, piuttosto che lavorare al riparo dei propri studi di progettazione. E, per certo, non bisogna guardare ai singoli interventi puntuali, ma ai quartieri complessivamente.

A Roma le progettualità non mancano. La città straborda di idee, proposte anche molto concrete e progetti che attendono da anni di essere tradotti in realtà. Chi è interessato a prenderli seriamente in considerazione? A Roma è presente e attiva una società civile sensibile e impegnata, capace di molte iniziative e di proposte innovative, avanzate, molto serie e strutturate. La cittadinanza attiva chiede di essere ascoltata, e vuole essere coinvolta – oltre a ricevere magari un qualche riconoscimento per l’impegno profuso in questi anni, spesso sopperendo alle stesse mancanze dell’amministrazione pubblica.

La prima cosa da ‘rigenerare’ è il rapporto di fiducia tra amministrazione e cittadinanza. Bisogna ricostruire un rapporto con la città (e non solo raccogliere idee da tradurre in progetti, che peraltro già esistono), ridurre la distanza tra i territori e le istituzioni (la politica, l’amministrazione, ecc.), costruire un’alleanza con le energie sociali vitali presenti.

Per tutto questo, piuttosto che di rigenerazione urbana, preferiamo di gran lunga parlare di ‘sviluppo locale integrale’, ovvero di politiche multidimensionali in grado di sviluppare processi generativi e radicati nelle progettualità e nelle capacità che i territori esprimono.

 

[1] Riportiamo qui la presentazione dei temi con le parole di Boeri:

Rispetto all’agricoltura: “Roma è il più grande comune agricolo italiano, l’agricoltura è una parte fondamentale della città, allora legare questo tema a quello dell’economia circolare, ad un rapporto tra produzione agricola e i consumatori può diventare una sfida straordinaria”;
Sulla mobilità: “Bisogna lavorare sui trasporti pubblici che oggi sono quello che sono ma oltre che recuperare le potenzialità del Tevere…bisogna ragionare su una mobilità leggera e sostenibile e la sfida dell’Expo è importante anche per questo”;
Sul verde: “Roma ha delle potenzialità enormi vanno riequilibrate perché ci sono quartieri senza o con poco verde e altri che ne abbondano”;
Su “la grande sfida della biodiversità”: “a Roma convivono culture diverse ma contemporaneamente abitata anche da specie diverse questo è un problema enorme”;
Sull’energia: “la sfida per Roma di rendersi autosufficiente grazie alle rinnovabilial netto degli slogan dovremmo far sì che i quartieri possano avere a disposizione tutti i servizi utili alla vita quotidiana senza richiedere spostamenti eccessivi, questa è la vera grande risorsa quando si parla di rigenerazione urbana: se so che nel mio quartiere ho l’asilo nido, ho i negozi necessari, le scuole, gli ambulatori…degli spazi sportivi sufficienti e magari anche dei servizi culturali questo fa sì che un quartiere venga vissuto da una comunità con un senso di appartenenza e un senso di orgoglio”.