Autore
Roma Ricerca Roma
Metrovia
Roma, 15 gennaio 2022
Il presente documento è il frutto di un lavoro congiunto tra l’associazione Roma Ricerca Roma, che ha lo scopo di socializzare e rendere operative le tante ricerche che la comunità scientifica ha prodotto in questi anni sulla città, e il team di Metrovia, che propone fattivamente un cambiamento radicale nella mobilità romana. Il documento è stato discusso e condiviso con una commissione di tecnici, studiosi, professionisti e rappresentanti del territorio.
Il tema è cruciale per Roma, dove la profonda crisi del trasporto pubblico locale esaspera le disuguaglianze socio-economiche e i divari territoriali tra cittadini, venendo percepito sempre più come un vero “pericolo pubblico”. Una distorsione da correggere, perché le infrastrutture della mobilità e i mezzi pubblici della città e del suo hinterland svolgono invece un ruolo chiave per migliorare gli spazi urbani, per la salute, il benessere e la qualità della vita dei cittadini. Inoltre, a Roma come in ogni altra grande città, non esiste prospettiva di sostenibilità ambientale senza un deciso cambio di indirizzo in tema di mobilità.
Roma Ricerca Roma e Metrovia propongono quindi agli amministratori e ai cittadini una nuova “rivoluzione del ferro”, nell’ottica di un complessivo riequilibrio modale delle forme di trasporto. Una rivoluzione che permetta di sfruttare con efficacia molto maggiore le infrastrutture esistenti e di tornare a progettare nuovi servizi, moderni e funzionali.
In questo quadro e con queste finalità si definiscono le linee guida per correggere indirizzi e contenuti del Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) attuale. Beninteso, senza stravolgerlo e dunque senza impedirne l’approvazione: il fine comune è quello di agevolare l’avvio di alcuni importanti progetti per Roma, progetti che non possono più attendere.
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Sintesi
- Roma è una città difficile da muovere perché nelle vaste periferie si è espansa a macchia di leopardo (sprawl urbano), implicando maggiori costi per la creazione e gestione dei servizi pubblici, divari nell’accessibilità tra centro e periferie, frammentazione urbanistica.
- Questo modello insediativo non facilita la “transizione ecologica”, che invece deve tradursi presto in fatti tangibili e davvero incisivi: ridurre il numero dei veicoli privati in circolazione a tutto vantaggio del trasporto pubblico di massa.
- I primi passi verso una mobilità alternativa (sharing, isole ambientali e piste ciclabili) non sono sufficienti: bisogna potenziare i servizi esistenti, in particolar modo nelle zone periferiche, e privilegiare sempre più la mobilità attiva a piedi e in bicicletta.
- Ma è sulla capacità diffusa di muoversi a medio e lungo raggio che si vince la partita: serve una vera “rivoluzione del ferro”, con l’azione combinata delle 4 metropolitane sotterranee, delle linee urbane di superficie sulla rete ferroviaria esistente e di tram di moderna concezione.
- Il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) della giunta Raggi punta nella giusta direzione solo nelle intenzioni, ma non si pone il problema degli effetti sulla città e non innova veramente l’impostazione né del servizio urbano sulle linee ferroviarie né dei nuovi tram.
- Il tram sui Fori rappresenta un grande errore, che va cancellato perché limiterebbe moltissimo la trasformazione dell’area archeologica centrale ed è una soluzione peggiore dal punto di vista trasportistico rispetto alla linea Termini-Vaticano-Aurelia (TVA).
- Un elemento cruciale per migliorare il sistema tranviario è invece il nodo di Porta Maggiore, che sopporta attualmente un traffico eccessivo, e rappresenta anche una grande occasione di riqualificazione urbana insieme a via Giolitti.
- Un primo lotto funzionale su cui intervenire può essere la tratta iniziale del tram G (l’attuale Roma-Giardinetti) da Termini al Pigneto e la modernizzazione delle linee tram esistenti 3, 5, 14 e 19.
- Un secondo lotto funzionale è nel quadrante est: la realizzazione del tram H tra le metro A (Anagnina) e C (Torre Angela) passando per l’Università di Tor Vergata; l’ultima tratta del tram G non sulla Casilina come prevede il PUMS ma verso Torre Spaccata e Cinecittà Est.
- Per non perdere finanziamenti, tempo e opportunità, e favorirne l’approvazione definitiva, non proponiamo una revisione dei contenuti del PUMS attuale, ma la rivalutazione delle priorità, che costituiranno le basi su cui avviare la riscrittura di un nuovo PUMS più ambizioso.
- In parallelo al PUMS, la pianificazione delle infrastrutture di trasporto e dei servizi va unificata in una Agenzia regionale della mobilità che coinvolga Roma Capitale, la Città Metropolitana e la Regione Lazio, in modo da definire un unico quadro integrato e coerente di interventi.
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Una città difficile da muovere
Per la mobilità, Roma ha un problema intrinseco, legato al suo modello insediativo. È una città cresciuta a macchia di leopardo, lasciando ampi spazi vuoti sul territorio, alternati a concentrazioni abitate a volte anche molto dense. Questo processo dispersivo (noto come sprawl) è ancora in corso, interessando l’hinterland e i comuni della prima fascia. Si tratta di un fenomeno che ha implicazioni pesanti in tre direzioni.
Anzitutto il fattore economico. Coprire un territorio così vasto e diradato sconta un rapporto costi-benefici assai svantaggioso. Sia col trasporto pubblico su gomma, perché una rete di autobus capillare che deve percorrere molti chilometri a bassa densità abitativa paga un massiccio dispendio di mezzi e personale o, in alternativa, una forte penalizzazione delle frequenze. Sia col trasporto su ferro, perché le metropolitane ipogee richiedono tratte molto lunghe a servizio di territori a densità assai disomogenea, con un costo chilometrico non compensato adeguatamente dai bacini d’utenza.
Poi il fattore sociale. A fronte di una zona centrale meglio coperta dalla rete del ferro e dai bus, esistono periferie e marginalità scollegate, isolate, scarsamente servite. Un divario territoriale che è causa anche di una grave disparità nell’accesso al servizio. Che significa meno opportunità di lavoro, svago, contatti, tempo libero. Quindi peggiore qualità della vita, con conseguente aumento delle diseguaglianze sociali.
Infine, il fattore urbanistico. Un territorio così frammentato e sottratto alla pianificazione è anche privo di una rete di trasporto efficace. Interi quartieri sono cresciuti spontaneamente senza adeguati servizi, altri vengono costruiti ancora oggi a prescindere dalla presenza del trasporto pubblico. Da qui i presupposti per l’isolamento, l’incuria e l’emarginazione.
A questi problemi la mobilità deve trovare una risposta.
Non si può più prescindere dal Transit Oriented Development, che significa massimizzare la presenza di tessuti urbani, servizi, punti di interesse, ubicati a breve distanza dal traporto pubblico, raggiungibile prevalentemente a piedi o in bicicletta. Un indirizzo funzionale anche a sviluppare i servizi di prossimità intorno alle stazioni ferroviarie, considerato che già 2 milioni di romani abitano o lavorano entro 3 km dalle attuali stazioni.
E poi occorre che la nuova mobilità diventi occasione per una effettiva “rigenerazione” urbana: recuperare, riqualificare, densificare quando necessario, sono alcune parole chiave che devono accompagnare la progettazione del nuovo trasporto, imprescindibile dalle sue implicazioni sul paesaggio urbano e sul tessuto sociale.
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Roma e la transizione ecologica
Ma un altro elemento essenziale da considerare è l’emergenza ambientale che incalza. Occorre ridurre CO₂ e polveri sottili. Non c’è più tempo: la cosiddetta “transizione ecologica” deve tradursi presto in fatti tangibili e davvero incisivi.
Sotto questo aspetto Roma può fare molto, specie nel campo della mobilità. È una città fortemente inquinante, ancora molto lontana dalle istanze di sostenibilità ambientale, ed è una città che funziona male, costretta pertanto a ripensare i servizi e il suo modello di sviluppo. Ha quindi ampi margini e tante motivazioni per innescare questa benefica rivoluzione, facendo fino in fondo la sua parte.
Nella capitale sono presenti quasi 1,8 milioni di auto[1], di cui un quarto ad alto impatto ambientale: sono 62 veicoli ogni 100 abitanti, contro i 45 di Parigi, 36 di Londra, 35 di Berlino e 32 di Madrid. Il tasso di utilizzo dei mezzi pubblici a Roma è del 19%, contro il 39% di Madrid, il 44% di Berlino, il 53% di Londra e il 69% di Parigi[2]. La media di ore giornaliere trascorse in macchina nella nostra città sfiora il primato mondiale, ed è chiaro che la soluzione parta proprio da qui: ridurre sensibilmente il numero dei veicoli in circolazione.
Nelle altre grandi capitali stanno già emergendo proposte concrete di cambiamento, che liberano il centro dalle automobili. Questo succede perché esiste l’alternativa di una rete del ferro diffusa e si può dunque chiedere e pretendere che si lasci la macchina a casa. Ma come è evidente, Roma non è Parigi, né Londra, Madrid o Berlino. È ancora lontanissima dai loro modelli di trasporto integrato, capillare ed efficiente. Ed è una città ferma da troppo tempo, rimasta molto indietro non solo per quantità, ma anche per qualità delle sue infrastrutture di trasporto.
Non basta dunque la manutenzione e non basta una progettazione minimale, priva di ambizioni e di coraggio, per uscire dal tunnel. Occorre invece da un lato insistere con più intensità, qualità e dettaglio nella mobilità alternativa (sharing mobility, ciclabilità, elettrico). E dall’altro porsi da subito l’obiettivo di come invertire, nel medio e anche nel breve periodo, il modo di muoversi a tutto vantaggio del servizio pubblico di massa. Riguadagnando il terreno perso in tema di reti, tecnologie, efficacia. Questo spostamento modale dal mezzo privato al mezzo pubblico, poi, dovrà essere adeguatamente supportato da progressivi strumenti di road pricing, che potranno disincentivare l’uso dell’auto via via che aumenterà l’offerta di un trasporto pubblico davvero efficace.
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Mobilità attiva e condivisa
Negli ultimi anni a Roma si sono visti i primi passi verso la mobilità alternativa: sono stati realizzati oltre 90 km di ciclabili; si è affacciato il car sharing (sia pure con molti margini di miglioramento); si sono diffusi i monopattini. Inoltre è prevista una graduale restituzione degli spazi alla pedonalità, con la progettazione di 27 isole ambientali e delle relative “zone 30” (a velocità limitata) e l’individuazione di percorsi protetti pedibus casa-scuola e Bike to School.
Anche il nuovo Codice della strada si è adeguato, offrendo ulteriori interessanti strumenti alla mobilità “dolce” e “lenta”: la definizione di “zona scolastica”, come strada urbana in prossimità della quale si trovano edifici di uso scolastico, in cui è garantita una particolare protezione dei pedoni e dell’ambiente (è consentito solo il transito a piedi, in bici, ai mezzi per i disabili e agli scuolabus). Inoltre il codice introduce la “corsia ciclabile”, che permette l’inserimento di ciclabili leggere, di più veloce ed economica realizzazione. Sono tutte misure e tendenze indispensabili per migliorare la vivibilità della città e venire incontro ai temi posti dalla crisi ambientale.
Occorre quindi proseguire in questa direzione con sempre maggiore intensità: potenziando i servizi esistenti, in particolar modo nelle zone periferiche; favorendo anche la diffusione del car pooling (la condivisione dello stesso mezzo privato tra più persone con la stessa destinazione) e di un vero bike sharing (da incoraggiare con opportuni incentivi); introducendo i servizi mobility as a service (MaaS) integrati con il trasporto pubblico e con l’azione dei mobility manager aziendali e scolastici.
E poi l’accessibilità urbana nelle aree dense: occorre privilegiare sempre più la mobilità pedonale rispetto all’automobile. E in quest’ottica liberare le strade dalla sosta delle auto, che somma almeno tre fattori critici: di totale inefficienza dell’utilizzo dello spazio pubblico (le vetture restano parcheggiate per oltre il 90% del tempo, sottraendo inutilmente porzioni di strada), di insicurezza (impediscono di vedere i passanti che attraversano) e di inquinamento visivo.
Infine Roma ha bisogno di un piano della ciclabilità ambizioso, che si estenda anche all’area metropolitana. Occorre estrapolare dal PUMS la rete ciclabile che nasce dal progetto WEB Way Endless Bikelane dell’associazione Salvaiciclisti, per organizzare e ricucire in un disegno globale di rete i tanti itinerari segmentati. Un Biciplan comprensivo del GRAB (che attende tempi certi di realizzazione e delle necessarie valutazioni di impatto ambientale nelle ville storiche e nei parchi archeologici), di percorsi casa-scuola e di intersezioni con i nodi del ferro per incentivare l’intermodalità. La rete ciclabile andrà poi anche dotata di segnaletica dedicata con tempi, percorrenze, distanze sull’esempio delle “ciclopolitane” di Pesaro.
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La rivoluzione del ferro per Roma
Il malfunzionamento del trasporto a Roma deriva soprattutto da un grande deficit di infrastrutture, come non si trova in nessun’altra grande città. Non è tollerabile questo ritardo. Nei prossimi anni occorre realizzare un ambizioso programma di opere pubbliche al fine di garantire una capacità diffusa di muoversi a medio e lungo raggio. Perché solo così, spostando un grande numero di persone in tempi veloci, la dimensione metropolitana cessa di rivelarsi un ostacolo e diventa, per tutti, l’opportunità di vivere pienamente la città, rinunciando al proprio mezzo privato.
Ecco perché, se si vuole recuperare il passo (e si può fare) a Roma non basta più una semplice “cura”, ma serve una vera “rivoluzione del ferro”, concepita in un’ottica di sistema, coprente e ben integrato: metropolitane, tram veloci, ferrovie urbane. In particolare la ferrovia e le sue stazioni, che attraversano i margini della città e diventano funzionali a molte esigenze appena illustrate: la riqualificazione urbana, l’interconnessione delle periferie, lo scambio modale attraverso parcheggi prossimi al GRA. Favorendo, a basso costo, una mobilità più ecologica e una riduzione delle diseguaglianze.
La rivoluzione del ferro presuppone il completamento della pianificazione ormai consolidata delle quattro metropolitane, con la realizzazione della linea D, la prosecuzione della C e le estensioni di A e B. Sono infrastrutture fondamentali (la D in particolare, che attraversa la città da nord a sud con un tracciato capace di decongestionare molto) su cui Roma sconta un ritardo enorme e il cui iter realizzativo deve ripartire subito.
Ma poi, per dotare Roma di una rete capace di incidere sulle abitudini e cambiare davvero il modo di muoversi, occorre mutare ottica e operare anche in due direzioni altrettanto importanti, al centro del progetto Metrovia.
1) L’introduzione di nuove metropolitane di superficie, che possono essere realizzate da un lato operando direttamente sulle due ex ferrovie concesse, dall’altro sfruttando le grandi potenzialità del nodo ferroviario di Roma, che va liberato dal traffico merci che ancora lo attraversa e va adattato anche alle esigenze del trasporto urbano. Tutti interventi possibili dando seguito alle opere infrastrutturali già previste. In parallelo ai programmi per le linee sotterranee, che restano un orizzonte di più lungo periodo, è quindi possibile realizzare nella capitale una maglia di nuove metropolitaneche corrono sui binari ferroviari, lavorando in simbiosi coi treni regionali, così da intensificare la rete urbana del ferro (a beneficio dei cittadini) e al tempo stesso ottimizzare il servizio per i pendolari. Con convogli allestiti per il trasporto metropolitano, servendo decine di nuove stazioni, moltiplicando i nodi di scambio, collegando le periferie. È una soluzione compatibile con l’attuale esercizio dei treni; possibile grazie alle nuove tecnologie di segnalamento e agli slot liberati dopo l’avvento dell’alta velocità; realizzabile infine appoggiandosi in massima parte agli interventi infrastrutturali già previsti da RFI sul nodo di Roma.
2) Passare a un sistema tranviario ad alta efficienza, di moderna concezione. Occorre importare a Roma il “modello francese” di ultima generazione (adottato a Firenze e a Palermo e in rapida diffusione in molte città d’Europa). Cioè quello di linee dotate di quattro elementi essenziali a garantirne regolarità e rapidità: sede dedicata esclusiva, asservimento semaforico, fermate cadenzate a 400-600 metri, oltre che un’adeguata frequenza. Queste caratteristiche avvicinano il servizio, per molti aspetti, a quello delle metropolitane e fanno una grande differenza sia con i bus, che con le attuali linee tranviarie, che mantengono la promiscuità con altri mezzi (soccorso, taxi, autobus) anche nelle tratte a corsia riservata.
L’azione combinata di metropolitane di superficie su rete ferroviaria e di tram di moderna concezione, all’interno di un sistema del ferro ben integrato anche con le metropolitane esistenti, è la soluzione ideale per coprire distanze urbane medio-grandi. Un servizio capace di abbattere tempi e costi, di sostituire le auto e limitare le emissioni, collegare le periferie, ridurre i divari, riqualificare spazi e quartieri. E poi i tanti nuovi sistemi alternativi per l’ultimo miglio.
È questo il “salto di specie” della mobilità che riporta Roma al passo con le altre grandi capitali d’Europa.
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Un PUMS inadeguato
È dunque davanti a questo primo quadro di opportunità che occorre domandarsi se ciò che è stato messo in campo dalla precedente amministrazione in termini di mobilità sostenibile sia davvero adeguato, cioè se sarà in grado di rispondere alle sfide e alle ambizioni di una grande capitale, o se invece si tratti semplicemente di un timido accenno, insufficiente alla bisogna.
Non mettiamo ora l’accento su tutta una serie di elementi critici non secondari (come l’inutile funivia Casalotti-Boccea; la mancata estensione della funivia Magliana a piazza dell’Agricoltura, dove è prevista la linea D; il people mover verso Bufalotta/Porta di Roma, zona in veloce crescita che invece necessita di un prolungamento della linea B1; ma l’elenco dei punti da rivedere sarebbe lungo) per concentrarci su pochi elementi essenziali, perché di sistema, legati al tema del ferro.
Sulla rete del ferro, il Piano Urbano della Mobilità Sostenibile (PUMS) della giunta Raggi punta nella giusta direzione solo nelle intenzioni: la nuova metro D e le estensioni delle linee esistenti A, B e C; un servizio urbano per le linee ferroviarie; le nuove tranvie. Tre ottimi titoli sulla carta che però, tradotti in pratica, si rivelano in buona parte privi di coraggio e in qualche caso anche di razionalità. Perché per traslare grandi numeri dal mezzo privato alla rotaia non è sufficiente evocare più tram e metropolitane. L’efficacia dei risultati, per Roma, passa soprattutto per il “come”: come si fanno, dove passano, e con quali effetti sulla città.
Sul fronte delle nuove metropolitane di superficie su rete ferroviaria, il PUMS recepisce l’indirizzo introdotto dal progetto Metrovia (e supportato dal consenso dei cittadini nella fase preliminare di ascolto), ma lo sposta in là nel tempo e non lo vivifica con gli elementi essenziali: le decine di nuove fermate possibili e i tanti nodi di scambio che ne derivano. Rimane cioè allo stato di vaga intenzione, di là da venire. E non scioglie il nodo del servizio, che assomiglia ancora ad un incremento del già esistente trasporto dei pendolari (sia pure espletato con treni metropolitani) piuttosto che a un vero servizio aggiuntivo per la città.
E poi i tram. Rispetto al tram di moderna concezione, le 4 linee progettate dal Comune nascono già vecchie: con fermate molto ravvicinate (come nel tratto di Centocelle della nuova tranvia Togliatti), senza un ridisegno adeguato e complessivo degli assetti stradali (siamo ancora ai “binari tracciati a terra”) e soprattutto in sede promiscua con altri mezzi di trasporto (quindi con priorità semaforica soltanto teorica). E anche le 7 nuove linee mandate in progettazione, pur adottando nei bandi di gara prescrizioni di qualità, mantengono anch’esse il difetto della sede non esclusiva.
C’è anche il tema delle sovrapposizioni. Il PUMS prevede ben 15 km (quasi tutti di nuova progettazione) di rete tranviaria “a ricalco” delle metropolitane, mentre altri 3 km coprono una tratta comunque già ampiamente servita dal sistema del ferro (il previsto tram dei Fori). Una prima considerazione è che l’esteso territorio di Roma, in gran parte scoperto dal ferro, avrebbe urgente bisogno di aumentare la rete del trasporto veloce, dando priorità alle zone del tutto prive del servizio su ferro (prevalentemente semicentrali e periferiche), prima ancora che di perfezionare la capillarità con un doppio servizio.
Ma ci sono casi in cui questa sinergia si rivela utile. È indubbio infatti che tram e metropolitana possano svolgere un lavoro complementare (per capacità di carico e distribuzione delle fermate) quando attraversano tratte dense di abitato: per esempio la realizzazione della metro C e della rete tranviaria consente di eliminare nel centro storico tutto il trasporto su gomma, pubblico e privato. Qui la sostituzione della coppia auto-bus con quella tram-pedone diventa il mezzo per ridisegnare la trama dello spazio urbano. Un’operazione che, se realizzata con criterio e sensibilità nel centro storico più ricco e vasto del mondo, può rivelarsi una delle migliori esperienze di accessibilità urbana.
È invece nelle tratte a minore densità che attraversano le borgate cresciute a macchia d’olio che la coincidenza dei tracciati fra tram e metropolitana diventa un vero controsenso, perché la distribuzione capillare richiederà comunque altri mezzi per raggiungere l’interno dei quartieri: come accade per il segmento Parco di Centocelle-Giardinetti del tram G, la cui captazione aggiuntiva rispetto a quella di metro C è irrilevante. Oltretutto stiamo parlando di linee tranviarie efficaci, capienti e regolari che riducono la differenza percepita con le metropolitane.
Infine la materia urbanistica, del tutto trascurata nella redazione del PUMS. Ai già citati temi del centro tram pedonale, di via Giolitti e di Porta Maggiore, si aggiunge l’occasione mancata di legare un servizio urbano di superficie a grandi progetti di recupero, come ad esempio il parco lineare di Roma est, che potrebbe unire un intero asse di quartieri marginali non solo col verde ciclabile, ma anche col ferro.
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L’errore del tram sui Fori
E poi lo sgorbio del tram sui Fori, un viadotto sospeso sopra l’area archeologica. Una linea che renderebbe impossibili due affascinanti interventi di archeologia urbana: il tratto da largo Corrado Ricci a via Labicana, che potrebbe diventare la grande piazza del Colosseo, luogo d’incontro dei cittadini con la storia, il centro degli eventi civili, la piazza del mondo; e il tratto verso piazza Venezia dove, ampliando gli scavi archeologici, si potrebbero ripensare completamente gli itinerari e la fruizione pedonale degli antichi Fori.
A questo proposito occorre sottolineare che il tracciato sopra l’area archeologica centrale cancella quarant’anni di dibattito sul “Progetto Fori”: il passaggio del tram infatti limiterebbe moltissimo le numerose ipotesi di trasformazione dello stradone e ne impedirebbe anche la sostituzione (seguendo la grande idea di Petroselli, Cederna, Benevolo, Insolera e La Regina) con una serie di percorsi sopra gli scavi. Cosa dire poi del progetto di piazza Venezia, ridotta a una rotatoria tranviaria?
Rispetto a questa tranvia è di gran lunga preferibile la realizzazione della linea Termini-Vaticano-Aurelia (TVA), che assicura la connessione più diretta e densa da piazza Venezia alla stazione Termini per via Nazionale, dove oggi scorre il flusso di autobus più grande d’Europa. Il tram consentirebbe di eliminarlo, realizzando un trasporto meno inquinante, con maggiore comfort e regolarità, e costi di gestione inferiori. Nell’ipotesi di via dei Fori, invece, non ci sarebbe proprio nulla da sostituire, perché oggi non esiste un solo autobus tra piazza Venezia e piazza Vittorio, e la tecnologia tranviaria verrebbe quindi usata senza produrre alcuna riduzione dell’inquinamento.
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Il nodo di Porta Maggiore
La modernizzazione del sistema tranviario secondo il “modello francese”, oltre che sulle nuove linee, si può adottare anche su quelle esistenti, cominciando a metterne in efficienza ampie tratte: un grande balzo in avanti per la rete odierna, per renderla fortemente attrattiva prima ancora che entrino in esercizio le nuove tranvie.
Perché questo sia possibile, occorre risolvere il complicato intreccio di linee che pregiudica l’efficacia dell’intero sistema tranviario, perché rappresenta oggi un forte rallentamento obbligato, che si ripercuote sulla regolarità di quasi tutta la rete: il nodo di Porta Maggiore. Qui confluiscono ben sette strade, con il relativo sistema di attraversamenti. Oltretutto, questo anello tranviario secondo ATAC attualmente non può consentire un transito superiore a 31 corse l’ora, mentre con l’attivazione di tutte le linee previste dal PUMS ve ne sarebbero fino a 43. La congestione è pertanto assicurata, pena la drastica riduzione delle frequenze.
Oltre a risolvere un problema trasportistico, la soluzione di questo nodo rappresenta anche una grande occasione di riqualificazione urbana. Con una nuova circolazione “a ferro di cavallo”, l’area archeologica (oggi svilita dal caos delle auto e dei tram, quale “spartitraffico di lusso”) può trasformarsi in un giardino pedonale molto ampio, in buona parte libero dai passaggi tranviari: ridando così alla splendida Porta Maggiore, al Sepolcro di Eurisace, alle strade antiche, agli acquedotti e alla Basilica Sotterranea, tutto l’interesse e la dignità che meritano.
Analogo discorso per via Giolitti, strada oggi poco attraente ma ricca di potenzialità inespresse: libera dai binari può essere ripensata come promenade verso la stazione Termini, pedonalizzando ampi settori e valorizzando le sue attrazioni dimenticate: i ruderi a cupola della Minerva Medica, la chiesa protobarocca di Santa Bibiana, il teatro Ambra Jovinelli, l’ala mazzoniana della stazione con la torre dell’acqua.
[1] Rapporto Mobilità 2020 di Roma Servizi per la Mobilità.
[2] Elaborazioni Legambiente su dati ACI e Mobilitaria 2019.
Un possibile schema di sistemazione di Porta Maggiore (dal sito www.metroviaroma.it)
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Un primo lotto funzionale: tratta iniziale della linea G e i tram esistenti
È evidente che la soluzione del nodo di Porta Maggiore comporti il ripensamento del tracciato iniziale della linea G (che riprende esattamente quello della Roma-Giardinetti), il cui passaggio centrale sotto i fornici a fianco della porta costituisce il principale elemento critico di interferenza con tutta la circolazione.
Dirottando invece il percorso di partenza dal capolinea di Termini su via Napoleone III e poi sulla traiettoria perimetrale dell’area archeologica (parallela al ponte ferroviario), si può snellire e fluidificare la circolazione su ferro attorno alla piazza. Il tutto riorganizzando il servizio tranviario nel suo complesso assieme al transito dei veicoli, senza peggiorare le condizioni già critiche per la viabilità. Secondo la logica di favorire il trasferimento della mobilità dalla gomma al ferro, esaltando il contrasto fra un sistema che resta asfittico e un altro che diventa molto performante.
La linea G viene incanalata su via Prenestina, lungo il sedime dei tram attuali, per poi svoltare su circonvallazione Casilina e beneficiare dello scambio diretto con la fermata Pigneto della metro C e delle ferrovie regionali. Infine si ricongiunge su via Casilina, riprendendo il vecchio tracciato.
Si tratta di fare un passo indietro per favorirne due in avanti. La risoluzione del nodo infatti, da un lato migliora appunto l’esercizio del tram G, sciogliendo anche una serie di problemi: elimina le interruzioni ai semafori, fluidificando tutte le corse; evita sia la strettoia a binario unico prima di Ponte Casilino (ulteriore causa di rallentamenti), sia il passaggio “a sfioro” dei condomìni affacciati sulla strettoia, che patiscono un continuo inquinamento acustico. Dall’altro offre l’opportunità di intervenire su un primo lotto funzionale di trasformazione “alla francese” della rete esistente.
Ammodernando i tracciati, prevedendoli in sede esclusiva e con priorità semaforica effettiva, infatti si potrà intervenire:
- sulla linea 3 da via Induno (Trastevere) a piazza Galeno (Nomentana);
- sulle linee 5-14-19 da via Prenestina ai rispettivi capolinea (piazza dei Gerani, da portare a piazzale delle Gardenie per l’interscambio con la metro C, e viale Togliatti).
Senza nuove opere invasive, ma intervenendo soprattutto sull’esistente, Roma ottiene subito tre tranvie di ultima generazione sui vecchi tracciati, che cominciano a marcare la differenza su alcune direttrici importanti. Da piazzale del Verano, con lo stesso apparato tecnologico e infrastrutturale, si prosegue poi con lo sfiocco per via Tiburtina della nuova linea già prevista, fino a Ponte Mammolo.
Il tratto Termini-Pigneto del tram G. In GIALLO il tracciato previsto, in ROSSO la variante proposta.
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Un secondo lotto funzionale: tram H e ultima tratta della linea G
Nel PUMS c’è poi un quadrante che merita un’attenta riflessione: quello orientale compreso tra la Casilina, i quartieri delle Torri e la seconda Università da un lato e le periferie di Cinecittà Est, Romanina e Anagnina dall’altro.
Nel PUMS si è deciso di finalizzare la destinazione del tram G a Tor Vergata. Intervento che, nel quadro della mera riattivazione della linea esistente, estesa fino all’Università, avrebbe contenuto la spesa in un rapporto costi-benefici incomparabile con altri tracciati. Ma lo scenario è cambiato, e si è scelto il rifacimento integrale della linea, con il cambio di scartamento e la conversione in tram dello standard ferroviario. Così i costi sono lievitati al pari di una linea nuova.
Si è poi aggiunta la previsione del tram H (in fase di progettazione), congiunzione tra le metro A (Anagnina) e C (Torre Angela), passando per Tor Vergata. Un collegamento assai efficace, che risulta più rapido (da Termini e soprattutto da Pigneto) per allacciare il centro di Roma alla seconda Università.
Malgrado queste due novità, non si è pensato di rivalutare il percorso del tram G sulla Casilina (peraltro sovrapposto alla metro C, come già evidenziato prima), confrontandolo con un’alternativa ben più vantaggiosa: servire viale dei Romanisti, Cinecittà Est e unire il tracciato con il tram H ad Anagnina. Questa variante andrebbe a servire la densa zona di viale Ciamarra e i suoi dintorni, e capterebbe oltre 14.000 residenti non serviti dalla rete del ferro, a fronte di un aumento dei costi valutabile in soli 42 milioni, in confronto alla realizzazione delle linee G e H.
Necessitando di una modifica al PUMS, e quindi di una nuova valutazione ambientale strategica, questa opzione può essere vagliata attentamente negli studi già avviati per la stesura del PUMS della Città Metropolitana. In fase realizzativa può diventare il secondo lotto funzionale, che segue il primo lotto Termini-Togliatti/Alessandrino del tram G, da progettare e attuare al più presto.
I benefici sono tanti: estendere di molto il bacino d’utenza; portare col ferro all’università di Tor Vergata i numerosi di studenti dell’Appio-Tuscolano; collegare le periferie, con una doppia connessione tangenziale tra Alessandrino, Anagnina e Torre Angela; offrire un collegamento all’università molto più efficace per chi arriva dalla metro C; e infine servire meglio il Policlinico universitario, con una fermata in prossimità dell’ospedale (la linea G invece fermerebbe a 500 metri).
Tratta Centocelle – Tor Vergata. In giallo il tracciato previsto del tram G, in rosso le varianti possibili.
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Approvare il PUMS, ma…
Dunque appare ineludibile il tema del ripensamento del PUMS al fine di correggerne gli errori, colmarne le carenze e recuperare le occasioni perdute.
D’altra parte però, è comprensibile la pressante esigenza di far partire alcune linee tranviarie importanti per la città, così da non perdere finanziamenti, tempo e opportunità, sbloccando finalmente l’impasse trasportistica in cui Roma è caduta per troppo tempo.
Per venire incontro a entrambe le istanze, questo documento non propone direttamente una revisione dei contenuti del PUMS attuale (con ulteriore dispendio di tempo e il rischio di perdere i finanziamenti previsti), al fine di favorire una sua approvazione definitiva, senza modifiche sostanziali. Ma per evitare che questa approvazione pregiudichi la fattibilità di soluzioni future assai migliorative, intende indicare una rivalutazione delle priorità, tesa a scegliere i progetti su cui procedere, quelli su cui intervenire con opportune modifiche e quelli da sospendere, in attesa di ulteriori valutazioni.
Viene da sé che, una volta incardinati i progetti da portare avanti, essi costituiranno le basi su cui avviare la riscrittura di un nuovo PUMS, che esca dalla logica delle operazioni minimali, di mero assemblaggio di progetti esistenti e di qualche idea sconnessa, ma risponda a una strategia di sistema più ponderata e molto più efficace.
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…con 7 impegni per il presente e per il futuro
Proponiamo dunque di accompagnare l’approvazione del PUMS con una serie di impegni che potrebbero essere formalizzati con apposite risoluzioni dell’Assemblea Capitolina.
- L’impegno a unificare la pianificazione delle infrastrutture di trasporto e dei servizi in un’Agenzia regionale della mobilità che coinvolga Roma Capitale, la Città Metropolitana e la Regione Lazio e definisca un unico quadro integrato e coerente di interventi.
- L’impegno a intraprendere concretamente la strada per adattare il nodo ferroviario di Roma a un trasporto urbano di superficie distinto e integrato con quello regionale, liberandolo dal traffico merci. Sulla base di un progetto definito (anticipandolo dallo scenario tendenziale a quello di piano) attraverso un tavolo comune che coinvolga la Regione Lazio e poi il Ministero delle Infrastrutture e della Mobilità Sostenibile (in assenza e in attesa dell’Agenzia della mobilità). Con un accordo politico forte sul tema, per coinvolgere RFI e Trenitalia, quali concessionari.
- L’impegno a modificare la progettazione della tratta Termini-Pigneto del tram G, prima di avviare la fase esecutiva. Occorre ripensarla contestualmente alla soluzione del nodo di Porta Maggiore e alla riqualificazione di via Giolitti, di cui questo documento ha anticipato alcune possibili linee guida.
- L’impegno a realizzare immediatamente il nuovo tram G da Termini a Togliatti o Alessandrino, e nel frattempo valutare attentamente l’opzione di tracciati più vantaggiosi per la tratta successiva (il percorso viale dei Romanisti-viale Ciamarra-Anagnina, con un bacino d’utenza di gran lunga superiore a Centocelle-Tor Vergata), soprattutto in considerazione della futura linea H, che insieme alla metro C consentirà un collegamento più veloce con la seconda Università.
- L’impegno a sospendere ogni fase attuativa del tram dei Fori, con l’eccezione del deposito tranviario (Centocelle est), che va realizzato al più presto.
- Per i restanti tram previsti, l’impegno a revisionare le progettazioni definitive nel senso di una maggiore cura del disegno dell’intera sezione stradale (via Nazionale); di una scansione più distanziata delle fermate (tram Togliatti); della previsione di una sede dedicata esclusiva (tutti) che consenta l’applicazione concreta della priorità semaforica e una maggiore velocità commerciale.
- Infine l’impegno a impiegare i prossimi anni nell’elaborazione di un nuovo PUMS, in sostituzione dell’esistente, di cui manterrà tutti i progetti avviati.
Per approfondimenti: www.romaricercaroma.it e www.metroviaroma.it
PAOLO ARSENA • ELLA BAFFONI • DANIELE BALICCO • ALESSANDRA CAZZOLA
FILIPPO CELATA • ANDREA CIARINI • CLAUDIO CIPOLLINI • CORRADO COTIGNANO
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Pensate, si capisce quasi tutto ed appare anche fattibile. Tranne qualche esplessione in inglese…
La descrizione del problema generale è quella di una vera rivoluzione. Come tale richiede dei risultati traumatici, delle vittime, che saranno di certo i contribuenti. E un orizzonte credibile di realizzazioni gestite da una amministrazione esperta in realizzazioni, non in sogni ancorché condivisibili.
Io spero il meglio, assieme a tutti voi, ma temo l’ennesima, spero ultima, disillusione. E Dopo? Io non sarà più tra voi, purtroppo.
È l’assoluta priorità per Roma!