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Metrovia

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METRO C: PROPOSTE PER UN PROGETTO COMPIUTO

COL FINANZIAMENTO A FARNESINA L’OCCASIONE PER UNA RINASCITA DELLA LINEA 

Il progetto di una metropolitana è un intervento eterno, che traccia le future connessioni della città. Per questo un’opera così importante dev’essere concepita nel modo migliore, con estrema attenzione alle scelte. Tanto più a Roma, che sconta clamorosi ritardi sulla rete del ferro e che sulla buona riuscita delle opere strategiche si gioca la possibilità di recuperare.

Il recente finanziamento di Metro C fino a Farnesina è di per sé un’ottima notizia, dopo quasi un decennio di nulla o poco più. Al centro c’è il nuovo tracciato che dalla stazione Venezia attraversa corso Vittorio Emanuele, supera il Tevere, scambia con Metro A a Ottaviano, raggiunge piazzale Clodio e quindi, con un percorso ancora in discussione, arriva al ministero degli Esteri. Parliamo delle tratte denominate T2 e T1, il cui iter ondivago e frammentato nel tempo non ha favorito l’emergere delle soluzioni ottimali. Proprio per questo, prima di prendere decisioni di tale rilevanza, occorre fare un’analisi aggiornata di quanto è stato prodotto fin qui, per ottenere il massimo dalle infrastrutture che ci accingiamo a realizzare.

Vogliamo dunque segnalare, ora che si entra nel vivo del progetto definitivo, quei correttivi che riteniamo indispensabili al miglioramento dell’opera.

E che riguardano due capitoli:

  • l’asse di corso Vittorio Emanuele;
  • le possibili destinazioni finali.

Fig. 01 – In rosso la tratta T2 e in verdastro la T1 da realizzare

ASSE DI CORSO VITTORIO EMANUELE

I TRE GRAVI HANDICAP DELLA FERMATA CHIESA NUOVA

Corso Vittorio Emanuele pone tuttora tre grandi criticità, legate alla scelta della fermata Chiesa Nuova.

La prima riguarda la posizione delle fermate. L’asse di corso Vittorio ha una mera funzione di attraversamento, ma non costituisce di per sé il fulcro dell’interesse, nell’ansa barocca. Non è quindi trascurabile il tema del posizionamento della stazione sul suo percorso, che si deve necessariamente legare alle sue capacità attrattive e funzionali. Va infatti considerato che l’elemento focale di questa parte del tessuto storico si dipana lungo l’asse trasversale che da corso Rinascimento arriva a piazza Farnese, attorno a cui gravitano le principali centralità: largo di Torre Argentina, piazza Navona e Campo de’ Fiori.

Ecco dunque che sotto questo profilo essenziale, la prevista fermata di Chiesa Nuova manca completamente l’obiettivo, essendo ubicata su una piazza alquanto distante da tutti i luoghi di maggiore richiamo (fig. 02).

Fig. 02 – La posizione di Chiesa Nuova, lontana dagli attrattori e dai percorsi principali

La seconda criticità riguarda la scansione delle fermate. La soppressione della stazione Argentina ha lasciato un “buco” in una fondamentale area del centro storico, con conseguente squilibrio nel distanziamento delle fermate. Chiesa Nuova risulta così sbilanciata verso Castel Sant’Angelo e lascia scoperta la tratta fino a piazza Venezia, “dimenticando”, come detto, i punti d’interesse primario.

È da notare infatti che tra Chiesa Nuova e piazza Venezia ci sono circa 1.200 metri, mentre la distanza tra Chiesa Nuova e Castel Sant’Angelo è di appena 650 (fig. 03).

Fig. 03 – La dislocazione attuale delle fermate

L’esistenza di Chiesa Nuova chiama dunque Argentina, cioè la costruzione di una seconda stazione (con tutti i costi, i tempi e le problematiche archeologiche che questo comporta), quale catalizzatore capace anche di riequilibrare la distribuzione delle fermate. Restando invece le cose come da progetto ultimo, la metropolitana darebbe all’ansa barocca un grado di copertura non proprio ottimale, in un punto di rilevanza secondaria rispetto ai suoi veri attrattori.

Ma c’è un terzo elemento fondamentale che gioca a sfavore di Chiesa Nuova e che aggiunge un grande problema pratico da risolvere: i lavori per la realizzazione di questa fermata impatteranno con il tracciato della tranvia TVA.

Abbiamo già analizzato in un precedente documento (“Tram TVA, le scelte tecniche da fare per una vera rivoluzione del ferro” scritto e promosso da Metrovia, Roma Ricerca Roma e Per Roma), le caratteristiche della nuova tranvia Termini-Vaticano-Aurelio, che dovrà togliere gli autobus dall’asse di via Nazionale – corso Vittorio per dare vita a un servizio finalmente fluido, rapido e regolare, sul modello delle moderne tranvie europee, e quindi in sede esclusiva e a priorità semaforica.

Ma, per come è configurata piazza della Chiesa Nuova, lo scavo occorrente per inserire lo “scatolare di stazione” di metro C invade il tracciato del tram.

Si osservi nell’immagine di fig. 04 l’impronta rettangolare della stazione (tratteggio rosso), che ha una dimensione di 30×60 metri: occupa l’intera sede stradale. In quell’area di cantiere si dovranno realizzare: la palificata perimetrale, con trivellazioni profonde 40 metri; gli scavi archeologici; il solaio in calcestruzzo che sorreggerà il piano stradale. Il tutto per una tempistica stimabile in circa 3 anni, con ripercussioni sul traffico in superficie. Solo una volta assicurata la tenuta del solettone potrà essere ripristinata la normale circolazione, completando la stazione “per sottrazione” (cioè scavando all’interno dello scatolare) senza più impattare sulla superficie stradale.

Fig. 04 – Lo scatolare di stazione a piazza della Chiesa Nuova

Queste operazioni potranno anche essere programmate per fasi, lavorando prima su una metà dell’area e poi sull’altra, al fine di consentire il passaggio di auto e mezzi pubblici. Ma appare sin d’ora evidente che la conformazione della piazza e il restringimento cagionato dal Palazzo Avogadro Martel, non si prestino a soluzioni comode e indolori.

Si può dunque immaginare che, nel migliore dei casi, il tram potrà transitare a un solo binario, con relativi rallentamenti e limitazioni del servizio a cantiere in corso.

Ha senso dunque realizzare una tranvia moderna ed efficace, per poi bloccarne (o limitarne) subito dopo la funzionalità col cantiere di Chiesa Nuova, peraltro smontandone una porzione appena costruita? Perché correre il rischio concreto di ritardare di alcuni anni l’apporto positivo del TVA sulla mobilità del centro storico?

È invece essenziale garantire la piena operatività del TVA appena attivato. Serve proprio per minimizzare i disagi alla mobilità durante il periodo dei cantieri: con un tram in piena funzione i passeggeri non subiranno alcun danno per i lavori della metro, turisti compresi.

Si pensi poi all’importanza di fidelizzare gli utenti del nuovo servizio tranviario. Cosa alquanto difficile se l’operatività e l’efficacia ne vengono immediatamente limitate.

Occorre dunque una soluzione. Che passa per la riconsiderazione di alcune proposte del passato, che intendiamo riprendere e riadattare alla situazione odierna. Ma prima è bene conoscere tutta la storia, per fare tesoro degli errori compiuti.

L’OCCASIONE PERSA: LE GALLERIE “LARGHE”

Già nel 1998 fu presentato dall’amministrazione Rutelli il cosiddetto “metodo Roma”, per la realizzazione delle tratte T3 e T2. Un sistema che prevedeva gallerie “a grande diametro”, cioè tunnel più larghi (10 metri invece di 6) che avrebbero ospitato, oltre ai binari del treno, anche le banchine, in prossimità delle stazioni (fig. 05). Un sistema innovativo e a suo modo geniale, che risolveva molti problemi. Non più tunnel discontinui, interrotti dalle stazioni scatolari realizzate con scavi tradizionali “in allargo”, occupando superfici considerevoli di cantiere, ma talpe escavatrici (TBM) che avanzano sottoterra con continuità, a sezione regolare, lungo tutto il percorso.

Gli unici scavi superficiali rimanevano quelli per le discenderie in corrispondenza delle uscite delle stazioni, con ingombri assai limitati.

Fig. 05 – A sinistra, il tunnel tradizionale, di 6,70 mt. A destra, il tunnel del “metodo Roma”, di 9,80 mt, contenente le banchine

Venivano meno così le onerose opere eseguite col metodo tradizionale: grandi parallelepipedi di cantiere con enormi volumi di terra da movimentare nel sottosuolo, con trattamenti preliminari e particolare cautela per l’incidenza sulle preesistenze del tessuto storico. E per contro si ottenevano numerosi vantaggi: maggiore flessibilità nella scelta delle stazioni; possibilità di adattare, entro certi limiti, la posizione delle banchine alla migliore ubicazione individuata per le uscite esterne; utilizzo dei marciapiedi come vie di fuga lungo la linea; maggiori spazi per l’inserimento dei locali tecnici; riduzione dei tempi di realizzazione.

Infine, onde evitare sommovimenti anche minimi del terreno (le cosiddette “subsidenze”), i tunnel a diametro maggiorato prevedevano un passaggio a profondità maggiori, ma tale onere veniva ben compensato da un migliore controllo dei cedimenti e dal risparmio economico nell’esecuzione delle stazioni.

L’assenza dello scatolare aveva dunque consentito al “modello Roma” di posizionare le stazioni con un buon margine di flessibilità, tanto che nel progetto preliminare approvato nel 1999 in Conferenza dei servizi, la loro ubicazione su corso Vittorio era ben migliore di quella odierna. In particolare figurava uno schema a quattro stazioni tra cui spicca una fermata a Sant’Andrea della Valle (baricentrica tra Largo Argentina e piazza Navona) e una fermata sotto il Tevere (a Castel Sant’Angelo) con uscite sulle due opposte sponde del fiume (fig. 06). Il tutto a perfetta copertura del bacino d’utenza.

Oltre che ad un vantaggio ingegneristico, le “grandi gallerie” erano infatti funzionali anche ad un preciso disegno urbanistico: la pedonalizzazione del centro storico, grazie alla presenza di una metropolitana sufficientemente capillare. Un sistema che oggi può essere riconsiderato a tre stazioni (Venezia, Navona, Castel Sant’Angelo), ma che resta squilibrato nel momento in cui rimane la stazione meno importante di Chiesa Nuova e viene invece a mancare quella strategica di Argentina.

Fig. 06 – Lo schema a quattro fermate proposto con il “metodo Roma”, nel progetto preliminare del 1999

Il “metodo Roma”, così come proposto, però aveva un tallone d’Achille: i piccoli scavi per le discenderie (scale mobili, con risalita “a proboscide” dal piano banchine alla superficie) richiedevano una tecnologia dannosa per l’integrità dei reperti eventualmente incontrati nello strato archeologico, anche per le necessarie iniezioni di consolidamento del terreno interessato. Questo intervento, “a foro cieco” (cioè con scavo interamente sotterraneo), rendeva inoltre impossibile lo scavo archeologico preliminare, che è uno degli obiettivi che alletta le Soprintendenze, quando si realizza una metropolitana. Per questo, con il completamento della prima fase di indagine nel 2008, i pareri della Soprintendenza e del superiore Ministero, posero prescrizioni proibitive per quel sistema, rendendolo impraticabile in quella formulazione. E questo bastò ad archiviarlo, senza voler esplorare soluzioni di risalita alternative, che pure sarebbero state possibili.

È così che nel 2010 si ritorna alla soluzione tradizionale con i tunnel stretti e gli scatolari di stazione, optando a quel punto per la sola Chiesa Nuova, ritenuta in quel momento l’unica fermata possibile su corso Vittorio, con noncuranza per il vulnus urbanistico che arrecava: un approccio dunque esclusivamente ingegneristico e di comodo.

Un’evoluzione assai vantaggiosa del “metodo Roma” viene però rilanciata nel 2017 durante la fase consultiva precedente all’elaborazione del PUMS, quando il Comitato Metro X Roma (MxR) la rielaborò integrandola al “sistema Barcellona”: alle gallerie di grande diametro da scavarsi in profondità (circa 45 metri, invece dei 30 previsti, per non rischiare cedimenti del terreno) si associarono le “stazioni a pozzo” (realizzate con scavi a sezione circolare) da raggiungere con batterie di ascensori veloci (fig. 07).

I vantaggi di questa proposta erano molti: gli ascensori garantivano un accesso in profondità ben più rapido delle lente scale mobili; tali discenderie avrebbero comunque richiesto “pozzi” di dimensioni assai più contenute dei consueti “scatolari”, mantenendo quindi la flessibilità nell’ubicazione delle stazioni; inoltre, grazie alle ridotte dimensioni, si poteva pensare a stazioni a doppio pozzo, capaci di riprendere la dislocazione emersa nel “modello Roma”, migliorandola. Senza contare che la sezione circolare si presta meglio ad assorbire le spinte del terreno, rispetto alle pareti ad angolo dello scatolare.

Non è un caso che lo stesso professor Giulio Fioravanti, l’ideatore del “modello Roma”, rilanciò il suo sistema aggiornato per la tratta T2, con un proprio documento dello stesso anno parlando anch’egli di “stazioni profonde costituite da una doppia canna larga (continua o discontinua) e pozzi verticali -con un diametro di circa 25/30mt- per uscite con prevalenza di ascensori. Pozzi comunque sufficientemente ampi da consentire un’adeguata campagna di scavi archeologici”.

Fig. 07 – Barcellona, l’accesso alla stazione con batterie di ascensori

Ma come spesso succede, le buone proposte a Roma non vengono prese sul serio. Specie con l’amministrazione passata, che per gran parte del suo mandato ha volutamente ignorato il tema delle metropolitane.

Perché qui comincia un biennio davvero incomprensibile, che ha compromesso molte cose.

  • Nell’ottobre del 2017 fu stoppata la project review della linea, che la società partecipata Roma Metropolitane aveva ripreso dall’anno precedente.
  • Nel corso del 2018 Roma Metropolitane mise ripetutamente in guardia l’amministrazione sui rischi e le criticità di una tale sospensione, anche per i cantieri in opera. Per tutta risposta la società partecipata fu messa in “fallimento controllato” dal socio unico (il Comune), potendo così portare a termine unicamente le progettazioni in corso. Quindi senza poter avviare nuovi progetti, né nuovi appalti.
  • Alla fine del 2018, l’amministrazione accettò la ripresa della revisione progettuale, ma solo a metà dell’anno successivo mise la partecipata in condizione di avviare il processo. Cioè solo quando le talpe avevano completato la tratta finanziata e, a causa della prolungata inerzia progettuale, stavano per essere tombate sotto il Foro di Traiano, come tappi cementati e inestraibili a chiusura delle gallerie, che avrebbero precluso in via definitiva il prolungamento della linea.
  • Fu così che a novembre 2019, anche su pressione di comitati, cittadini e dei media, venne finalmente approvata e finanziata in extremis, quale variante al progetto appaltato, la tratta fino a piazza Venezia, per arrestare le teste delle talpe in un punto in cui poter essere estratte in futuro, senza danno per le preesistenze.

Ma i due anni persi e poi la fretta di riprendere i lavori fino a piazza Venezia, quasi a tempo scaduto, hanno impedito di esaminare le nuove proposte e di fare una riflessione sulle tecnologie e sulle scelte adottate, che tenesse conto anche delle esperienze maturate nella realizzazione della tratta T3.

Si è così persa l’occasione di predisporre per tempo la stazione Venezia per il nuovo “modello Roma”: sarebbe infatti bastato realizzare in pendenza l’ultimo segmento, così da far scendere le gallerie di ulteriori 15 metri, per rendere applicabile in toto la proposta di MxR, rilanciata da Fioravanti. Perché se è vero che le talpe verranno reintrodotte o estratte a piazza Venezia e che quindi sarebbe teoricamente possibile riprendere la nuova tratta con gallerie di diametro più grande, è anche vero che per evitare cedimenti (anche minimi) del terreno, queste devono stare più in profondità. E per collegare il livello della stazione Venezia ai 45 metri richiesti, occorrerebbe oggi scavare un tratto in pendenza a gallerie maggiorate sotto Palazzo Bonaparte e limitrofi, che giocoforza non avrebbe la profondità di sicurezza, mettendo così a repentaglio il patrimonio edilizio sovrastante.

Per questo, a meno di particolari artifici tutti da definire, tale proposta rischia ormai di non poter più essere raccolta nel suo insieme.

UNA SOLUZIONE POSSIBILE: NAVONA, LA FERMATA “DOPPIA”

Tuttavia, possiamo ancora recuperare una parte importante della proposta, che ci conduce alla soluzione che avanziamo.

Cioè rinunciare alle gallerie allargate realizzando la linea con le consuete gallerie “strette” (che proseguono quindi dal livello attuale di metro C) e le banchine “in allargo”, ma mantenere il sistema delle “stazioni a pozzo” con gli ascensori. Si perdono i tanti benefici legati al grande diametro, ma si mantengono tutti gli altri vantaggi: le dimensioni ridotte dei pozzi infatti sono la grande opportunità per risolvere i tre seri problemi evidenziati per corso Vittorio Emanuele.

Si tratta dell’unico sistema che non si è mai preso in considerazione, tra le tante combinazioni tecniche esaminate. Un sistema che è ancora possibile agganciare all’attuale stato dell’opera.

A questo proposito prendiamo ancora in prestito quanto indicato da MxR, rilanciando il sistema delle stazioni a due pozzi (fig. 08), ma con gallerie strette e banchine realizzate “in allargo”.

 

Fig. 08 – Lo schema di fermate di MxR, con i doppi pozzi a Navona e Castel Sant’Angelo

Spostando la fermata da Chiesa Nuova a una posizione a cavallo delle piazze San Pantaleo e Sant’Andrea della Valle (la stazione “Navona”), si possono realizzare due pozzi (e quindi le uscite) alle estremità, cioè nelle piazze stesse (fig.09).

Fig. 09 – La stazione a doppio pozzo di Navona

Questa opzione scioglie i nostri nodi iniziali.

Anzitutto riequilibra le distanze tra le fermate e serve direttamente i due attrattori di piazza Navona e Largo di Torre Argentina (che rientra nel “raggio di captazione” dell’utenza e che potrebbe eventualmente beneficiare di un sottopasso di collegamento diretto).

Poi con le due piazze intercetta perfettamente le principali direttrici pedonali di penetrazione al centro storico: quella di piazza Farnese, Campo dei Fiori e piazza Navona (San Pantaleo); quella di largo Argentina, Pantheon e piazza Colonna (Sant’Andrea).

Infine, la ridotta dimensione dei pozzi evita la sede stradale e quindi l’interferenza col tram, che una volta realizzato può quindi convivere con a fianco i cantieri della metro, avendo campo libero per svolgere il proprio servizio. Lasciando così al TVA il ruolo essenziale di mantenere vivi i collegamenti rapidi nell’ansa barocca durante il periodo di costruzione della metro (fig. 10).

Fig. 10 – I due pozzi della stazione Navona non interferiscono con il tracciato del tram

La soluzione a pozzo sarebbe teoricamente applicabile anche a Chiesa Nuova, giacché anche qui il diametro di un singolo pozzo non interferisce col tram. Ma occorrerebbe trovare un luogo per realizzare un secondo pozzo nelle vicinanze (per ottenere la medesima cubatura atta a ospitare tutti i volumi tecnici e gli impianti occorrenti) che oggettivamente pare difficile da individuare. E poi resterebbe comunque l’effetto urbano assai ridotto e la necessità di una fermata aggiuntiva.

UNA “DOPPIA” ANCHE A CASTEL SANT’ANGELO 

Con la stazione Navona, lo stesso sistema “a doppio pozzo” si potrebbe replicare anche per la fermata di Castel Sant’Angelo, oggi posizionata tra piazza Pia e Lungotevere Castello. Collocando la stazione sotto il Tevere e le uscite (i pozzi) sui due opposti versanti del fiume (come nella proposta originaria del “metodo Roma”) si copre per un verso l’area monumentale di San Pietro e Castel Sant’Angelo e per l’altro il tessuto dell’ansa barocca. Dunque un’ottima copertura del servizio, attrattivo per entrambe le sponde, con un cadenzamento molto omogeneo di tutte le fermate (fig. 11).

Fig. 11 – La stazione a doppio pozzo di Castel Sant’Angelo

Resta solo da verificare la modalità e la profondità di esecuzione. Infatti la realizzazione delle banchine in allargo della stazione al di sotto dell’alveo del fiume presenta non poche criticità: gli strati alluvionali e sabbiosi in questo punto sono piuttosto estesi, mentre il terreno argilloso (più compatto e impermeabile) si trova molto più in basso.

Qualora risultasse impossibile l’intervento, resterebbe il posizionamento attuale, sia pure meno efficace.

Sarebbe comunque opportuno ribattezzare la stazione “Sant’Angelo” anziché “San Pietro”, non solo perché è il toponimo corretto ma anche per non generare confusione con l’omonima stazione ferroviaria (che peraltro, in un’ottica di sviluppo del trasporto urbano su ferro, potrà entrare nella rete delle metropolitane).

IL FALSO IMPEDIMENTO ARCHEOLOGICO 

Nel valutare questa proposta non si cada nella facile pregiudiziale archeologica, che non ha fondamento.

Le prescrizioni che Soprintendenza e Ministero posero nel 2008, tuttora in essere, sono infatti volte alla tutela dei beni archeologici rilevati in fase di indagine, ma non impediscono l’esecuzione dei lavori. Autorizzano la realizzazione delle paratie perimetrali di sostegno di uno scavo a cielo aperto, al fine di garantire che una seconda fase archeologica preceda qualsiasi attività costruttiva. Questo al fine di poter eseguire un rilievo stratigrafico con lettura e ricostruzione degli strati stessi. Così come è stato fatto, ad esempio, nelle stazioni di San Giovanni e di Porta Metronia.

Quindi sì alle operazioni di cantiere, pur di salvaguardare una preliminare fase di indagine e ricostruzione del materiale archeologico (cosa che col “metodo Roma” non era possibile).

L’ESEMPIO DI CAPODICHINO

Il sistema dei pozzi dunque risponde perfettamente agli obiettivi di fondo della linea: servire l’area del centro storico riducendo quanto più possibile l’impatto delle stazioni profonde e degli accessi in superficie.

E si tratta anche di una tecnologia che sta prendendo piede nelle grandi opere in fase di realizzazione. Si segnala a questo proposito l’esempio del sistema a pozzo con ascensori in realizzazione nella stazione Capodichino Aeroporto della Linea 1 di Napoli, progettata da Richard Rogers. In questo caso il pozzo ha un diametro di 33 metri e prevede al centro il blocco degli ascensori e lungo la circonferenza la scala di sicurezza (figg. 12-13).

Figg. 12-13 – Il cantiere della stazione di Capodichino Aeroporto (a sinistra) e una vista del progetto (a destra)

LE POSSIBILI DESTINAZIONI FINALI

Come arrivare a Farnesina?

Un altro tema da discutere riguarda la tratta da piazzale Clodio a Farnesina. Come raggiungere il Ministero degli Esteri?

La prima opzione è quella del PUMS, che prevede la via breve, con una fermata in prossimità del Ponte della Musica, a servire il Foro Italico. Un’altra opzione invece piega verso il quartiere Flaminio per raggiungere l’Auditorium e poi, con un secondo passaggio sotto il Tevere, ripiegare ancora verso Farnesina (figg. 14-15).

Figg. 14-15 – I due possibili tracciati per arrivare da Clodio a Farnesina

Questa seconda opzione (che deroga dal PUMS ed è più costosa, sia per il doppio attraversamento del fiume, sia perché contempla un tracciato più lungo) ha comunque il vantaggio di servire una serie di attrattori, magari con una fermata aggiuntiva a doppio pozzo ai due lati del Tevere (qui le argille sono poco profonde e sarebbe di facile realizzazione). Servirebbe infatti una zona più densa di abitazioni: il Villaggio Olimpico, le strutture attualmente dismesse dello Stadio Flaminio e del Palazzetto dello Sport, il MAXXI, la futura città della Scienza e soprattutto l’Auditorium.

Per offrire una chiave che potrebbe incidere sulla decisione, vogliamo allargare il campo. Esiste una direttrice nord-sud fondamentale che il PUMS ha trascurato, ma che riveste una grande importanza per la rete del ferro capitolina. E cioè quella che estende a piazzale Flaminio la Roma Lido (figg. 16-17).

Si tratta di soli 4 km in sotterranea che hanno una potenzialità enorme: incrociano tutte e quattro le linee ipogee; possono dotare il centro storico di 4 nuove fermate; collegano Tor di Quinto con l’Eur, assorbendo il traffico oggi concentrato sulla bretella Olimpica-Tangenziale est. Si rimanda al precedente documentoUn nodo metro-ferroviario per l’area di Roma” (pubblicato da Metrovia e Roma Ricerca Roma) per una descrizione più approfondita di questa opzione.

Figg. 16-17 – L’estensione della Roma Lido a Flaminio (a sinistra) e la prosecuzione verso Auditorium e oltre (a destra)

Ciò che in questo contesto è importante sottolineare è che la naturale estensione verso nord di questa linea (che non confluisce sulla Roma Nord, ma può proseguire oltre piazzale Flaminio) toccherebbe i Parioli e l’Auditorium, arrivando sulla Cassia sempre con fermate in punti densamente abitati. Vale a dire che avrebbe una capacità attrattiva complessiva di gran lunga migliore rispetto alla medesima destinazione finale prevista per Metro C dallo scenario tendenziale del PUMS.

Da qui, alcuni elementi di riflessione.

  • Può sempre esistere un’opzione metro per Auditorium, anche qualora oggi si decidesse per la strada più comoda, cioè quella di indirizzare Metro C a Farnesina per la “via breve”.
  • Anche portando Metro C ad Auditorium, questo può diventare un nodo di collegamento tra la C e la Lido estesa a nord.
  • C’è margine per un ulteriore ragionamento sulla meta finale di Metro C.

DESTINAZIONE CASAL DEL MARMO

A proposito di quest’ultimo punto, occorre segnalare che, se la Cassia è la destinazione ideale per completare le potenzialità di collegamento nord-sud offerte dall’estensione della Roma Lido verso il centro, Metro C può avere l’importante funzione di coprire il quadrante ovest, altrimenti destinato a restare privo del trasporto veloce su ferro. Un quadrante che da piazzale Clodio si può attraversare in modo molto efficace. Una direttrice interessante (da verificare e confrontare con opportune simulazioni) può essere quella che da piazzale Clodio percorre la Balduina, scambia con la FL3, passa per Primavalle, arriva poi a Torresina e conclude a Casal del Marmo, con un parcheggio di scambio a ridosso del GRA (fig. 18): una destinazione che renderebbe la Metro C una formidabile direttrice est-ovest di collegamento.

A questo scopo l’estensione in programma dovrebbe essere concepita con una biforcazione subito dopo Clodio, così da portare a compimento la tratta fino a Farnesina, lasciando però aperta la possibilità di una prosecuzione ad ovest (secondo la direttrice indicata o altre possibili), per un futuro sdoppiamento del servizio.

Fig. 18 – La possibile biforcazione di Metro C (in verde) verso Casal del Marmo

A tal fine occorrerebbe riprogettare la stazione Clodio con una configurazione a canne sovrapposte (come la stazione Bologna della Metro B), con le predisposizioni necessarie a consentire la realizzazione dello sfiocco (pozzo per le TBM e trombette di scambio).

L’invito resta comunque quello di pensare le opere in modo che favoriscano ulteriori sviluppi. La mobilità di una città non può essere una programmazione statica, immutabile nel tempo, ma deve periodicamente adattarsi alle trasformazioni e alle relative esigenze, sempre mutevoli di una metropoli.

Dunque prevedere la possibilità di biforcare a Clodio rappresenta un elemento utile e forse necessario, a prescindere dalla specifica destinazione che si vorrà dare.

CONCLUSIONI

In conclusione, vogliamo sottolineare tre concetti che emergono da questa analisi.

L’iter che ha seguito la progettazione di Metro C a corso Vittorio Emanuele ha prodotto una diminutio al complesso del servizio, rispetto alle sue potenzialità, riducendo al minimo l’offerta delle stazioni, con esito insoddisfacente dal punto di vista della copertura. C’è margine invece per affermare un più corretto processo progettuale che passi dalla mera “sottrazione” alla “sostituzione”, quantomeno attraverso la tecnologia delle stazioni a pozzo (ed eventualmente valutando se esistono soluzioni che possano recuperare i tunnel a grande diametro), per ottenere una distribuzione delle fermate che risponda meglio alle esigenze urbane.

Il tema dell’interferenza di metro C con il tram TVA dev’essere affrontato e risolto senza arrecare disagi al servizio. La linea tranviaria è strategica per i collegamenti con e attraverso il centro storico e le sue potenzialità non possono restare inibite per anni. Al contrario, quel servizio può svolgere il grande ruolo di garante di una mobilità su ferro attrattiva ed efficace anche durante i lunghi lavori della metropolitana. E anche qui la tecnologia delle stazioni a pozzo può essere la soluzione.

Infine, se vogliamo guardare alle grandi opportunità non ancora colte dalla rete del ferro capitolina, dobbiamo predisporre le opere affinché lascino spazio a nuove possibili direttrici. La predisposizione di uno sfiocco a piazzale Clodio può essere importante per avere margini di ripensamento e adattamento agli sviluppi presenti e futuri della città.