Autore

Federica Borlizzi, Sara Fiordaliso, Ilaria Manti, Dafne Marzoli (Nonna Roma)

L’ 8 marzo l’Istat ha diffuso le stime preliminari della povertà assoluta riguardanti l’anno 2021: sono 5 milioni e 600 mila gli individui in povertà assoluta, il 9,4% contro il 7,7% del 2019, ossia oltre un milione in più rispetto all’anno precedente.

Nel 2019, la povertà assoluta nel nostro paese si assestava sui 4,6 milioni ma la pandemia ha determinato un aumento del +21,9% di nuovi poveri che ha toccato il milione, di cui 532 mila (+22,9%) donne e 222 mila (+23,2%) giovani.

Il Covid-19 ha fatto emergere le storture di un sistema economico e sociale che, già nella fase pre-pandemica, mostrava livelli di disuguaglianza elevati, acuiti in questi due anni.

Durante la nostra esperienza abbiamo però constatato come le conseguenze dell’emergenza sanitaria ed economica non sono uguali per tutte/i: maggiore è la marginalità sociale, maggiore è l’esposizione agli effetti della crisi. Dopo aver messo in campo molteplici attività, dalla distribuzione alimentare a domicilio, a quella di strumenti informatici, all’apertura di centri di accoglienza per senza dimora e dopo aver visto moltiplicarsi giorno dopo giorno le richieste di aiuto, abbiamo ritenuto non fosse più rinviabile uno studio delle storture sistemiche che determinano tali livelli di esclusione, disagio sociale e impoverimento della popolazione e abbiamo deciso di farlo ponendoci dall’angolo di visuale degli ultimi di questa città, di chi vive la marginalità economica e sociale più estrema: gli homeless.

Il Rapporto “Dalla strada alla casa” sui senza dimora a Roma cerca di analizzare il fenomeno a tutto tondo, partendo dai dati delle statistiche nazionali, passando per i diritti, negati a chi non ha una residenza, fino ad arrivare alla proposta di un modello di accoglienza innovativo che possa invertire la rotta delle politiche sociali attuate negli ultimi anni. Nell’analisi si individuano cinque proposte che potrebbero consentire di affrontare il fenomeno degli homelessness, non solo garantendo un “riparo” nel periodo invernale ma anche avviando dei percorsi di reale emancipazione di queste persone dalla condizione di marginalità.

Dentro i dati: quanti sono, chi sono e i fattori determinanti la condizione di senza dimora

Quello dei senza dimora è un fenomeno complesso da analizzare: il verificarsi di tale condizione è legato a molteplici fattori determinati dal contesto socioeconomico, da elementi sistemici e da accadimenti biografici che non consentono di fornire risposte univoche e standardizzate, ma composite e multidimensionali. Inoltre, quella degli homeless è una hard to reach populations: i membri che ne fanno parte sono difficilmente intercettabili per una serie di fattori comuni come la mobilità geografica, la mancanza di un recapito telefonico, gli ostacoli linguistici e comunicativi. Questa è una delle cause principali delle problematiche riguardanti le rilevazioni del fenomeno, legate a doppio filo con la mancanza di una definizione uniforme di homeless.

Roma vede la presenza stimata di circa 16.000 senza dimora (Caritas 2018) includendo le persone che vivono in strada, accedono a dormitori e mense e gli abitanti degli insediamenti informali.

In generale, nel nostro paese le stime ufficiali sugli homeless sono pubblicate principalmente da tre fonti: Istat, Caritas, Fio.PSD (Federazione Italiana degli Organismi per le Persone Senza Dimora). Se da un lato queste statistiche hanno il grande vantaggio di basarsi su una solida metodologia statistica, ovvero il campionamento indiretto (basato sui pasti erogati e i posti letto associati alla popolazione di homeless che usufruisce dei servizi) (1), dall’altro presentano il grande limite di non riuscire a raggiungere tutta quella parte di popolazione d’interesse che non si rivolge a mense e/o a centri di accoglienza.

Un esempio positivo di come compensare la parzialità dei dati è rappresentato dalla città di Torino (Istat Working Paper 2019), dove si è svolta un’indagine sperimentale sulle persone senza dimora con campionamento diretto, in cui luogo e tempo non sono determinati ma casuali dato che dipendono dagli itinerari delle Unità di strada (2).

Da un punto di vista qualitativo l’ultima indagine che ci fornisce consistenti informazioni su caratteristiche e condizioni di vita dei senza dimora a Roma è quella promossa dalla Fondazione Rodolfo Debenedetti e Roma Capitale nel 2014 con l’obiettivo non tanto di quantificare il fenomeno, quanto piuttosto di capirlo e monitorarlo.

Da questa analisi emerge la distribuzione dei senza dimora sul territorio (3), differenziato per Municipi da cui si evidenzia che la concentrazione di homeless è più alta dove è maggiore la densità abitativa e di servizi.

Rispetto alla composizione della popolazione, i senza dimora sono nella maggioranza di sesso maschile, stranieri, con età media nei dormitori di 45 anni ed in strada superiore a 35 anni. Rispetto al dato nazionale (14,3%) a Roma è più alta la percentuale di donne rilevate nei dormitori romani (22%).

Un altro dato importante è la tendenza alla cronicizzazione della condizione di senza dimora, il deterioramento delle aspettative (il primo episodio di homelessness si è verificato in media 5 anni prima dell’intervista) e il bassissimo tasso di accesso ai sussidi (3% della popolazione a fronte di un’entrata media per persona corrisponde a circa 222 euro al mese). La perdita del lavoro è l’evento più incidente sulla perdita della dimora: in oltre la metà dei casi dovuta alla congiuntura economica e precarietà dell’occupazione. Per gli stranieri, il secondo fattore per incidenza (19%) è la condizione di migrante o comunque la presenza di problemi legati al possesso dei documenti. Con riferimento alla salute, ben il 73% afferma di essere stato malato nel mese precedente all’intervista. Di questi, il 32% non si è rivolto ad alcun servizio sanitario. Sulla difficoltà di accesso al servizio sanitario, è bene evidenziare che il 54 % delle persone intervistate in strada ha dichiarato di non avere un indirizzo di residenza. Per chi è stato intervistato in dormitorio, la percentuale di persone senza residenza è pari al 23%.

Di fronte ad un tale scenario locale emerge una carenza assoluta di servizi: secondo i dati consultabili nel Sistema Informativo Unico di Monitoraggio e Intervento Sociale (SIMIS) di Roma Capitale, alla data del 18 marzo 2022, considerando i servizi del circuito per senza dimora, si rilevano nell’intero territorio cittadino 1.180 posti con riferimento ai servizi di accoglienza notturna e 220 posti con riferimento ai servizi di accoglienza diurna.

Si evidenzia inoltre la distribuzione fortemente disomogenea dei servizi nel territorio cittadino, con ben 6 Municipi che hanno nel proprio territorio un numero posti di accoglienza notturna pare o inferiore a 20 e la presenza di servizi di accoglienza diurna (H4 – H9) in soli 5 Municipi (i restanti 10 Municipi ne sono completamente sprovvisti). I Centri per nuclei mamme con bambini sono presenti in soli 5 Municipi per 178 posti totali. Per programmare e definire interventi e politiche efficaci che possano fornire risposte reali allo scenario fin qui descritto, l’acquisizione di informazioni rappresentative del fenomeno dei senza dimora risulta essenziale.

Proponiamo quindi, di realizzare una rilevazione del fenomeno sull’intero territorio di Roma Capitale con dati differenziati per Municipio, includendo nella popolazione da censire gli abitanti degli insediamenti informali, implementando le indagini comunemente utilizzate con una rilevazione complementare, effettuata tramite campionamento diretto attraverso le Unità di strada. Inoltre, data l’estensione e l’eterogeneità territoriale di Roma si rende necessario e auspicabile prevedere una collaborazione e un ruolo attivo dei municipi e della SOS (Sala Operativa Sociale) così da garantire un’ampia copertura e un più rapido ed efficace coordinamento dei diversi soggetti responsabili della rilevazione (unità di strada, associazioni, ricercatori).

I diritti negati

Successivamente il Rapporto analizza i provvedimenti adottati negli ultimi anni dal Comune di Roma sul tema, sottolineando come la totale assenza di politiche strutturali abbia – nei fatti – comportato ulteriori processi di marginalizzazione dei senza dimora. Al riguardo, attraverso una metodologia di ricerca empirica, si prova a fornire una fotografia delle gravissime difficoltà che gli homeless hanno nell’accedere alla residenza fittizia.

La residenza è un diritto soggettivo essenziale per l’esercizio di ulteriori diritti, il cui mancato riconoscimento e/o le cui difficoltà nell’ottenimento comportano una violazione dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale (art. 2 Cost.). Infatti, l’iscrizione anagrafica è la porta di accesso per l’effettivo godimento di fondamentali diritti costituzionali.

Mobilità a Roma

La residenza, dunque, si configura come un vero e proprio “diritto ad avere diritti”, giocando un ruolo fondamentale per la tutela della dignità umana e per l’effettivo esercizio di alcuni diritti essenziali. Ne deriva che le difficoltà di accesso all’iscrizione anagrafica o l’impedimento ad effettuare tale iscrizione comportino delle gravissime conseguenze per le persone vittime di alcuni perversi meccanismi amministrativi o destinatari di normative dalla dubbia legittimità costituzionale. Infatti, a Roma, l’ottenimento della residenza fittizia per i senza fissa dimora è divenuto un vero e proprio percorso ad ostacoli. In particolare, dal 2017 quando la scorsa Giunta Capitolina ha deciso di porre fine ad una collaborazione tra il pubblico ed il settore del privato sociale che durava, con varie forme e non senza alcune problematiche, da più di 30 anni. Questa partnership – sperimentale rispetto alla prassi negli altri comuni – prevedeva la possibilità per le associazioni di volontariato di fornire il proprio indirizzo come domicilio anagrafico delle persone senza fissa dimora prese in carico dagli enti medesimi. Questo sistema si andò ad incrinare nel novembre 2014 quando emerse che ben 2500 aziende “fantasma” risultassero avere la propria sede legale presso gli “indirizzi virtuali” di alcune associazioni. Dunque, per limitare tali effetti distorsivi, nell’agosto del 2015, l’allora Giunta capitolina decise di ridefinire le procedure di iscrizione anagrafica per domiciliazione presso le Associazioni di volontariato, autorizzando a tal fine solo 5 ONLUS (Caritas Diocesana; Comunità di S. Egidio; Associazione Centro Astalli; Casa dei Diritti Sociali; Esercito della Salvezza), in considerazione della effettiva attività svolta sul territorio e richiedendo come fondamento dell’iscrizione la stabilità del relativo rapporto assistenziale (Delibera 280/2015).

Senonché distanza di due anni, la giunta Raggi eliminò del tutto la possibilità per queste 5 associazioni di rilasciare delle residenze convenzionali, affidando la competenza esclusiva agli Uffici Demografici dei singoli Municipi (Delibera 31/2017). Da questa delibera emergono gravi problematiche che intendiamo, di seguito, analizzare.

A) Illegittimità della Delibera 31/2017

Il punto 3 della delibera n.31/2017 della Giunta Capitolina, prevede che il senza fissa dimora che presenti presso il Municipio l’istanza di residenza fittizia debba svolgere preliminarmente un colloquio con il Servizio Sociale competente che dovrà attestarne la condizione soggettiva. L’attestazione è prevista come “condizione di ricevibilità” della richiesta di iscrizione e teoricamente, dovrebbe essere effettuata dagli assistenti sociali entro 5 giorni lavorativi dalla data della istanza del richiedente.

Ebbene si tratta di una previsione del tutto illegittima per due ordini di motivi:

1) l’introduzione, tramite una delibera comunale, di una “condizione di ricevibilità” della richiesta di iscrizione anagrafica non è contemplata dalla normativa nazionale. A ciò si aggiunge un marcato elemento discriminatorio se si tiene presente il fatto che tale condizione non riguarda tutti i cittadini ma solo coloro che, trovandosi in condizioni di disagio sociale, provano ad ottenere la residenza fittizia.

2) Il previsto termine di 5 giorni per il rilascio di tale attestazione di “prima analisi” da parte dei servizi sociali confligge apertamente con quanto previsto dalla normativa nazionale che impone di procedere alle iscrizioni anagrafiche entro 2 giorni lavorativi dalla data di presentazione della domanda (Art. 5, comma 3, D.L. 5/2012).

B) L’impatto sociale della Delibera 31/2017

Le modalità con cui è stata effettuata l’internalizzazione dei servizi di iscrizione anagrafica ha comportato delle gravi ripercussioni con specifico riferimento: (i) ai tempi di attesa e all’insorgere di prassi discrezionali; (ii) alle difficoltà di accesso ai servizi e alla mancata intercettazione dei senza dimora.

(i) Tempi di attesa e prassi discrezionali

La previsione della “condizione di procedibilità” sopra analizzata ha contribuito a dilatare i tempi di attesa per l’ottenimento della residenza fittizia, complice anche la totale carenza di personale all’interno dei singoli Municipi. Premettendo che le tempistiche variano notevolmente in considerazione dei diversi Municipi a cui si fa richiesta, attualmente le attese per la fissazione del 1° colloquio con gli assistenti sociali si attestano a circa 2 mesi nel V Municipio, arrivando addirittura a 6 mesi nel I Municipio.

Si tratta di tempistiche inaccettabili che non rispettano né i termini previsti dalla normativa nazionale (2 giorni dalla richiesta) né quelli stabiliti dalla stessa delibera (5 giorni dalla richiesta).

Così come ampiamente discrezionali ed illegittime sono le prassi riscontrate in alcuni Municipi che portano a richiedere requisiti aggiuntivi per l’ottenimento della residenza fittizia, non previsti dalla normativa. Emblematico, rispetto a ciò, è quanto accade ai cittadini extracomunitari che tentano di rinnovare il proprio permesso di soggiorno e che sono vittime di una doppia beffa: l’ufficio anagrafico che richiede loro il permesso di soggiorno rinnovato per il rilascio della residenza fittizia e, per contro, la Questura-Ufficio Immigrazione che non rilascia il rinnovo del permesso senza che l’interessato abbia preliminarmente ottenuto la residenza. Entrambe, sia chiaro, prassi illegittime che comportano la creazione di un circolo vizioso che sarebbe paradossale non fosse tragico rispetto agli effetti che comporta sulla vita di coloro che ne sono, purtroppo, vittime.

 (ii) Difficoltà di accesso ai servizi e mancata intercettazione delle persone in condizioni di disagio sociale
Una delle preoccupazioni maggiori espresse, fin dal marzo del 2017, dalle cinque associazioni di volontariato che si erano occupate di rilasciare le residenze fittizie era rappresentata dal rischio che, attraverso il nuovo sistema, i Municipi non fossero in grado di intercettare le persone che si trovano in situazione di disagio sociale, condannando quest’ultime ad un ulteriore isolamento.

Alla base di questi timori, il dato empirico: nel 2016, su 21.625 residenze fittizie ben 18.916 erano state erogate nel I Municipio, ciò perché tali enti erano domiciliati proprio nel Centro Storico (si veda la figura qui sotto).

Di conseguenza, sul totale delle residenze fittizie rilasciate nel 2016 nella città di Roma ben l’87,5% erano attribuibili – nei fatti – alle 5 associazioni e solo la restante parte (12,5%) all’opera delle strutture comunali. Questo dato avrebbe dovuto portare la stessa Giunta capitolina, nel marzo 2017, a valutare con la dovuta cautela l’ipotesi di una immediata internalizzazione del servizio, non supportata né da adeguate risorse e formazione del personale né, tantomeno, da una necessaria fase di transizione.

Invece, l’evidenza empirica sottolinea come il nuovo sistema abbia finito per penalizzare le persone senza dimora, avendo comportato un progressivo calo delle persone cui è stata attribuita la residenza fittizia dai singoli municipi.

Mobilità a Roma - Linea G

In particolare, nel passaggio dal 2017 al 2019 vi è stata una diminuzione del 20% del numero delle residenze fittizie attribuite nell’intero territorio comunale; calo che raggiunge ben il 51% nel contesto del I Municipio. Tutto ciò dinanzi ad un numero di iscrizioni anagrafiche che sarebbe dovuto essere di molto superiore anche in considerazione delle drammatiche conseguenze dell’art. 5 del c.d. Decreto Lupi (D.L. 47/2014) che, impedendo agli occupanti di immobili di poter lì stabilire la propria residenza, ha comportato la necessità per centinaia di persone di dover richiedere l’iscrizione anagrafica presso via Modesta Valenti. Le nuove modalità delineate dalla delibera n.31/2017 sembrano, dunque, avere come conseguenza un’ulteriore invisibilità di quei senza dimora che, prima, potevano almeno provare ad essere intercettati tramite il lavoro di prossimità delle associazioni del terzo settore.

La diminuzione delle persone cui è stata attribuita la residenza fittizia così come i lunghi tempi di attesa per l’attribuzione della stessa ci parlano di un fallimento del modello delineato dalla delibera n. 31/2017. Risulta, dunque, essenziale procedere rapidamente ad un superamento di tale provvedimento, in particolare eliminando ogni riferimento alla illegittima “condizioni di procedibilità” dell’istanza di iscrizione anagrafica; conformandosi alle tempistiche richieste dalla normativa nazionale (2 giorni dalla presentazione dell’istanza, ex art. 5, comma 3, del D.L. 5/2012) e ponendo fine, fin da subito, ad ogni prassi difforme. Inoltre l’internalizzazione del servizio di iscrizione anagrafica deve essere effettuato attraverso delle modalità che – diversamente da oggi- sappiano garantire l’effettività dei diritti dei senza dimora. Ciò implica che l’attribuzione ai Municipi della competenza esclusiva in tale materia debba essere necessariamente accompagnata da: (i) uno stanziamento di risorse finalizzato all’assunzione di un adeguato numero di personale qualificato (es. assistenti sociali e mediatori culturali) presso i Servizi Sociali dei singoli territori; (ii) una formazione del personale nella complessa materia dell’iscrizione anagrafica; (iii) la semplificazione e l’omologazione delle procedure di presentazione dell’istanza da parte dei senza dimora; (iv) il potenziamento dei servizi di prossimità che consentano una reale intercettazione delle persone in condizione di disagio sociale da parte delle strutture pubbliche e la garanzia dell’effettiva presa in carico di queste ultime.

Un nuovo modello di intervento

Infine, nell’ultima parte di questo lavoro, si provano a mettere a confronto buone pratiche e modelli di “accoglienza” sperimentati in Europa ed in altre città italiane, con l’intento di prendere spunto dagli stessi per elaborare una strategia di lungo periodo.

Se da un lato il modello a cui tendere per il futuro è quello dell’Housing First (4) fondato sull’assunto che la casa, in quanto diritto umano fondamentale, è il punto di partenza e non quello di arrivo dell’intervento volto al graduale reinserimento della persona, dall’altro siamo consapevoli che tale progetto richieda tempistiche di medio-lungo periodo per essere attuato. Proponiamo quindi una soluzione intermedia che venga incontro alla necessità di dare risposte immediate e concrete all’assenza di una casa: il Modello di Accoglienza Permanente e Integrato (A.P.I.) che prevede la creazione di strutture differenziate sulla base dei diversi bisogni della persona senza dimora. La permanenza implica la necessità di sganciare l’attivazione dei Centri dall’ottica della stagionalità, che ha caratterizzato le fallimentari strategie messe in campo dal Comune di Roma in questi ultimi anni. Inoltre, un sistema di accoglienza permanente deve prediligere il modello dei “piccoli centri”, ossia di strutture che accolgono fino ad un massimo di 20 persone, con una capillare diffusione su tutto il territorio metropolitano. Con modello integrato si intende, invece, la necessità di differenziare le modalità di intervento sulla base delle caratteristiche e dei bisogni del singolo, in un quadro complessivo volto alla creazione di percorsi personalizzati finalizzati all’emancipazione da una condizione di marginalità.

Tanto ci sarebbe da aggiungere per essere esaustivi di un fenomeno tanto complesso ma questo Rapporto si limita a fornire delle proposte per ribaltare il paradigma di un modello di intervento non funzionale.

Di fronte ad una Roma divenuta sempre più Capitale delle diseguaglianze emerge infatti, l’esigenza di un’inversione di rotta per affrontare i temi del disagio sociale e dell’emergenza abitativa, attraverso adeguate politiche di welfare.

 

 

Note:

(1) L’Istat riporta nella nota metodologica che “Nel campionamento indiretto la procedura di stima è basata sul weight sharing method la cui implementazione necessita della conoscenza sia delle probabilità di inclusione delle unità campionarie selezionate (le prestazioni erogate nei centri) sia delle connessioni tra le unità campionarie e la popolazione target (prestazioni e psd) che, nel caso considerato, non sono del tipo uno-a-uno (la stessa persona senza dimora può essere associata a più prestazioni). I pesi campionari individuali sono ottenuti a partire dalle probabilità di inclusione delle prestazioni e tenendo conto anche del numero di connessioni, o link, tra unità intervistate e prestazioni selezionate. Lo stimatore weight share viene utilizzato anche per campioni selezionati da più liste (incomplete) che possono sovrapporsi, in quanto nella fase di stima permette di tener conto della presenza delle stesse unità statistiche in più liste (stimatori multi-frame) ed evita di contare più volte le stesse persone (Iachan e Dennis, 1993). Il rischio del conteggio multiplo delle unità è un problema tipico delle rilevazioni effettuate tramite i luoghi frequentati dalla popolazione target” (Istat Working Papers, 2019).

(2) Queste infatti, svolgendo direttamente sul territorio un’attività di supporto a chi vive in uno stato di marginalità sociale, potrebbero essere il tramite attraverso cui l’indagine sperimentale permette di stimare anche quella quota di senza dimora che non si rivolge a nessuna struttura e non usufruisce di nessun servizio. Tale rilevazione va comunque considerata come complementare a quelle analizzate precedentemente a livello nazionale e maggiormente utilizzate in letteratura.

(3) In questa indagine non vengono censiti gli abitanti degli insediamenti informali.

(4) Il modello dell’Housing First, nato negli Stati Uniti e diffusosi prima in Europa e conosciuto in Italia per l’iniziativa della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora (fio.PSD). In Finlandia, unico caso in Europa, l’applicazione dell’approccio dell’Housing First sta avendo degli effetti positivi perché il numero delle persone che dormono in strada è andato sensibilmente diminuendo (al 2019 sono circa 5000 le persone che vivono in strada).

Mobilità a Roma - Linea G

Tratta Centocelle – Tor Vergata. In giallo il tracciato previsto del tram G, in rosso le varianti possibili.