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Barbara Brollo e Filippo Celata

Tra i finanziamenti del PNRR di cui la capitale potrà beneficiare da qui al 2026, spicca tra i due progetti specificatamente destinati a Roma quello relativo a beni culturali e turismo: “Caput mundi” (il secondo è dedicato a Cinecittà), che si integra con gli interventi previsti per il Giubileo del 2025.
Gli obiettivi sono (come al solito) altisonanti: promuovere il turismo come fonte di reddito e occupazione. Incrementare (“moderatamente”) gli arrivi, la competitività dell’offerta, la sua professionalizzazione e “differenziazione per tipologia di turista”. Sviluppare un turismo rispettoso dell’ambiente e sostenibile. Valorizzare gli elementi identitari e ‘autentici’. Migliorare la reputazione e l’immagine del ‘brand’ Roma. Attrarre turisti, talenti e investimenti. Ma anche “alleviare la congestione delle grandi attrazioni culturali (over-tourism)”, e riconciliare “la vocazione turistica con la vita dei cittadini”.
In questo articolo vedremo soprattutto in che cosa, in pratica, consiste il programma, a partire da quelli che sono a nostro avviso i nodi più problematici: 1) la relazione tra beni culturali e turismo; 2) il rapporto – in questo senso – tra centro e ‘periferie’; 3) l’opzione di concentrare gli interventi in pochi poli e l’alternativa che, anticipiamo, è stata prescelta: quella di disperderli su una miriade di siti. Il programma si compone infatti di ben 347 interventi, che nella mappa qui sotto abbiamo localizzato e sintetizzato. E ovviamente: 4) il rapporto tra visitatori e abitanti, e l’over-tourism.

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Sul primo punto, sebbene il programma si riduca prevalentemente a interventi di conservazione e riqualificazione del patrimonio, i suoi obiettivi si iscrivono quasi interamente nella logica dell’attrazione e della promozione turistica. Prova ne sia che la regia è affidata al Ministero del turismo, il quale si occupa (male) solo di questo. Si conferma un’interpretazione per la quale il patrimonio culturale ha valore solo in questo senso, e un discorso che considera solo marginalmente la sua fruizione e fruibilità da parte degli abitanti.
In merito al secondo punto, un intervento di questo tipo finisce inevitabilmente per concentrarsi nelle zone centrali della città, perché è lì che si trova gran parte del patrimonio valorizzabile a fini turistici. Dai 520 milioni previsti nel progetto, il 62% finirà nel I Municipio, mentre il 25% in Comuni della Regione Lazio diversi da Roma. Tra tutti i quartieri di Roma, solo in circa un quinto di essi è previsto più di un intervento, o una spesa superiore al milione di euro.
È il caso, in particolare, dell’ambito di intervento più corposo: Roman Cultural Heritage, con un finanziamento totale di 176 milioni (34%). L’ambito prevede interventi su alcuni grossi poli progettuali, dai 15 ai 28 milioni ciascuno, che sono poi anche i progetti più interessanti, e dei quali qui possiamo dare solo il titolo e alcuni rimandi (ove disponibili): il progetto Celio, riguardante prevalentemente l’Antiquarium comunale; il progetto più volte proposto, rivisto e rimandato di risistemazione dell’area dei Fori imperiali; la riqualificazione del Parco di Colle Oppio e delle Terme di Tito e Traiano; il Campidoglio; i “luoghi nascosti del Parco del Colosseo”. L’ambito include anche progetti esterni al centro storico – il completamente della “Città delle Arti” presso l’Ex Mattatoio e il Museo della Civiltà Romana – e altri che potrebbero svolgere un ruolo di ricucitura tra centro e città limitrofa – il “Parco lineare delle mura” e il progetto “Teverever” – ma che certo non riguardano le ‘periferie’.
Il secondo ambito, altrettanto corposo (165 mln, il 32%), si chiama dalla Roma Pagana alla Roma Cristiana e dovrebbe strutturarsi in “percorsi giubilari” storico-culturali, con una attenzione ai luoghi “minori” e alla loro integrazione in itinerari più noti. In sostanza, l’ambito si traduce in un numero elevato di interventi di restauro e messa in sicurezza che ricevono in media circa 1 milione ciascuno, disperdendosi su un numero elevato di siti, al centro come in periferia così come nel resto della Regione. Nel primo Municipio, in ogni caso, si concentrerà il 70% del finanziamento.
D’altro lato, Caput mundi si pone esplicitamente l’obiettivo della “deconcentrazione territoriale dell’attività turistica”. Alcuni interventi mirano per questo allo sviluppo di itinerari meno noti che si estendono anche alle aree periferiche: dall’Appia alla Salaria, la Flaminia, la Casilina e la periferia Est. L’oggetto non è solo il patrimonio storico-monumentale di cui pure le periferie sono ricche, ma anche lo sviluppo di percorsi alternativi e “identitari” lungo i quali, si legge nel programma, i turisti potranno scoprire “il senso vero della realtà cittadina”, sfruttando la loro (presunta) “voglia di autenticità e contatto con i locali”. L’ambito è in particolare denominato #LaCittàCondivisa (87 mln, 17%) e prevede interventi di riqualificazione e lo sviluppo di percorsi tematici – “in periferia con Costantino”, “lungo la via Appia e Latina” e così via – spalmati più o meno equamente su 10 dei 15 municipi romani. Una maggiore concentrazione degli interventi sarebbe stata in questo caso più efficacie nel perseguire gli obiettivi del programma.

L’eccessiva congestione turistica e i suoi risvolti in termini di over-tourism sono d’altronde oggetto di accesi dibattiti, per lo meno nella gran parte delle grandi città turistiche (molto meno a Roma). Di tali dibattiti troviamo come detto esplicita menzione anche nel PNRR. L’obiettivo, oltre alla “deconcentrazione”, sarebbe sviluppare un turismo “rispettoso della cittadinanza”, garantendo benefici tanto ai visitatori quanto ai residenti, e garantendo la loro compatibilità. Ma anche “sensibilizzare la cittadinanza al turismo”.
L’occasione sarebbe (stata) utile per impostare una strategia più articolata. La questione, come abbiamo scritto più volte, non può ridursi a un problema di eccessiva ‘congestione’ o concentrazione. Valorizzare siti e itinerari più periferici rischia in ogni caso di essere vano: che i turisti decidano improvvisamente di dedicare parte dei loro sempre più brevi soggiorni a Roma per conoscere la “Roma vera” e le sue periferie, è per gran parte pia illusione.
Anche perché a fronte dell’obiettivo della “deconcentrazione”, gli interventi in periferia (e non solo) sono di mero restauro e miglioramento dell’accessibilità, se non di ordinaria manutenzione. È certamente positiva, per quanto detto, la presenza di interventi molto sentiti dai cittadini e che miglioreranno la qualità di alcune aree, come ad esempio la creazione dell’Ecomuseo di Centocelle o la realizzazione di un percorso ciclo-pedonale tra Ponte Nomentano e Pietralata. Ma sono interventi destinati più alla popolazione locale che ai turisti. C’è poi l’ambito #Amanotesa (17 mln, 11%) il quale, accanto a interventi di formazione che dovrebbero contribuire alla qualificazione dell’offerta turistica, accenna al progetto “Parchi Sociali e Culturali”, finanziato dalla missione “Inclusione e coesione” del PNNR, che prevede la ristrutturazione, in ciascun municipio, di un edificio in disuso, possibilmente all’interno di un’area verde, da destinare alla socialità e allo sport.
L’impressione è che non ci sia un reale approfondimento del problematico rapporto tra turismo e vita quotidiana, ma piuttosto un affiancamento di interventi che agiscono sui due fronti. Il fatto poi che la Roma ‘vera’ e ‘autentica’ sia considerata fruibile solo in periferia, tradisce l’idea sciagurata che il centro storico sia irrimediabilmente compromesso in tal senso. È invece al centro, e non certo in periferia, che si pone il problema di riequilibrare il rapporto tra visitatori e abitanti. La sfida è riportare in centro i residenti, sia ad abitare, per frenare una fuga che negli ultimi anni ha subito un’accelerazione impressionante, sia per fruire del suo patrimonio artistico e culturale e dei suoi spazi pubblici. Far tornare i romani a vivere, in tutti i sensi, questa parte della città, la quale svolge (o forse dovremmo dire svolgeva) un ruolo cruciale sia dal punto di vista funzionale che simbolico, e dalla quale gli abitanti si percepiscono sempre più esclusi.
Garantire “benefici tanto ai visitatori quanto ai residenti”, inoltre, non ha solo a che fare con il ‘dove’ vanno i turisti (al centro o in periferia), ma con il modo in cui la ricchezza da loro generata si distribuisce lungo la catena del valore, quanto rimane sul territorio, chi se ne appropria, come i diversi turismi si integrano nella vita economica e sociale della città e al costo di quali impatti. L’idea di un turismo più ‘ricco’, che anch’essa spesso si invoca, anche nel PNRR (l’idea è puntare a un target di turista che combina affari e piacere con reddito medio-alto ed elevato livello di istruzione), potrebbe perfino peggiorare la situazione in tal senso, perché esso spesso si svolge in enclavi isolate dal punto di vista economico-funzionale, prima ancora che dal punto di vista spaziale, dal resto della città.
Il problema vero è che il turismo produce benefici concentrati ma costi diffusi. Porta ricchezza ma crea prevalentemente occupazione di bassa qualità, alimenta un’economia estrattiva e basata sulla rendita, e ha rilevanti impatti per la città in termini di costo della vita, emergenza abitativa, spopolamento del centro, gentrification, vulnerabilità alle crisi. Una delle dimensioni più rilevanti dell’over-tourism è la diffusione di piattaforme come Airbnb che promuovono una massiccia conversione di abitazioni precedentemente abitate da residenti in affitti brevi ai turisti. Una strategia in tal senso andrebbe ben oltre l’ambito turistico in senso stretto, e potrebbe per esempio integrarsi con altri ambiti di intervento, quali quelli sull’abitare.
Recentemente l’assessore comunale al turismo ha dichiarato di voler rivedere l’accordo a fronte del quale Airbnb raccoglie direttamente presso i propri ospiti e versa al Comune il contributo di soggiorno, senza però fornire evidenze che consentano di capire se la cifra versata corrisponde a quanto dovuto. Il tentativo è sacrosanto, ma riguarda solo una parte del problema, di natura meramente fiscale. È una posizione molto vicina a quella degli albergatori, i quali da anni denunciano una presunta “concorrenza sleale” tra affitti a breve termine e comparto alberghiero. E non è la prima volta che il nodo affitti brevi, in Italia, viene posto esclusivamente in questi termini. Altrove è invece ben noto che i veri problemi sono altri: l’impatto sulla città; gli strumenti messi in campo sono conseguentemente molto diversi.
Come abbiamo scritto nei dossier di Roma Ricerca Roma sull’abitare, e sull’economia urbana, la logica della promozione turistica a tutti i costi e quella opposta della demonizzazione – del turismo o del ‘fenomeno Airbnb’ in particolare – possono trovare una sintesi solo sulla base di una discussione seria di quanto e quale valore i diversi turismi producono per la città, come è avvenuto in molte altre città del mondo. Non serve, necessariamente, il PNRR: il tema deve essere affrontato innanzitutto su base normativa e regolamentativa. Colpisce tuttavia, anche nel PNRR, la riproposizione di vecchie logiche e la scarsa consapevolezza del problema, al netto di qualche correttivo in termini di ‘sostenibilità’ e ‘deconcentrazione’ che rischia per quanto detto di rimanere sulla carta.
Completano il quadro l’ambito #Roma4.0 (14 mln), per la “fruizione digitale” di elementi di attrazione turistica; e l’ambito #Mitingodiverde, per la riqualificazione di 23 parchi, ville e giardini storici (60 mln, 11%). Tra questi ultimi, spicca la presenza di interventi corposi a Villa Pamphili (12 mln), Villa Sciarra (7,5 mln) e Villa Borghese (5 mln), e altri minori – inclusi alcuni previsti lungo la coda della ‘cometa’, verso Ostia. L’occasione sarebbe stata utile per riqualificare e migliorare la fruibilità dell’ampio patrimonio di aree verdi che, soprattutto in periferia, non si qualificano come “parchi, ville e giardini”, e sono anche per questo quasi completamente abbandonate.
Ben venga, per concludere, utilizzare l’occasione del progetto Caput mundi per “rifarsi il trucco”, avviare o portare a termine progetti di cui in alcuni casi si parla da anni, o anche semplicemente sopperire con l’occasione straordinaria del PNRR allo stato pietoso in cui versa l’ordinaria gestione dell’immenso patrimonio romano. Ma se il riferimento all’over-tourism indica che abbiamo forse finalmente acquisito consapevolezza della necessità di ripensare il rapporto tra turistificazione e città, il piano mostra anche che siamo ancora lontani dall’aver capito come.

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Nei mesi scorsi Roma ricerca Roma ha messo a frutto l’attività di studio, seminariale e di confronto con cittadini e associazioni attivi sul territorio in particolare per focalizzarci sulla novità rappresentata dai finanziamenti derivanti dal PNRR, il Piano nazionale di ripresa e resilienza, su Roma e sulla città metropolitana. Sul sito e nella pagina facebook troverai molti contributi sul tema.
In particolare:
– Un piano senza piano
– Quale rigenerazione, per quali periferie? Come e perché (non) si valutano i progetti del PNRR
– Ancora sul PNRR: togliere spazio alle disuguaglianze
– PNRR, rigenerazione e questione abitativa: pubblico, privato o sociale?