Autore

Ilaria Francucci

Il 14 febbraio 2022 si è svolto alla Sapienza[1] un seminario con lo stesso titolo di questo breve contributo.
Il relatore, Prof. Pier Luigi Portaluri dell’Università del Salento ha posto l’attenzione sulla disomogeneità e discordanza della normazione introdotta nell’ambito del PNRR.

Per inquadrare la questione, occorre tener presente il contesto in cui essa si innesta. In particolare, si tenga conto che l’assetto territoriale italiano si struttura sulla base di una pluralità di enti che agiscono su una dimensione territoriale differente. Se, da una parte, le Province sono ormai retaggio del passato, rimangono protagonisti i Comuni, le Regioni e lo Stato.
Questa struttura si è sviluppata sia sul principio di omogeneità che su quello di prossimità. Sulla base del principio di omogeneità, i Comuni sono sostanzialmente uguali tra loro, cioè ad essi si applica lo stesso diritto. In realtà, molteplici sono le criticità che l’applicazione di tale principio determina. L’agire di un Comune come Roma finirebbe, infatti, per essere regolato allo stesso modo di un Comune di dimensioni ben più piccole, con conseguenze, in alcuni casi, piuttosto negative. È chiaramente difficile giuridicizzare con gli stessi strumenti l’agire di due Comuni che, a fronte delle loro dimensioni, presentano caratteristiche profondamente diverse.
Un grande equivoco si cela anche dietro al cosiddetto principio di prossimità. Seguendo tale assunto, l’amministrazione comunale sarebbe per definizione l’amministrazione migliore, proprio perché più vicina al cittadino, capace di intercettare e comprendere al meglio le varie esigenze. Con la riforma del Titolo V della Costituzione nel 2001, tale principio ha raggiunto il suo apice, ma sono molte le problematiche che il concetto di prossimità può generare in alcuni casi, tanto da concretizzarsi sul piano pratico, in una sorta di “prossimalismo”. L’amministrazione comunale sarebbe “perfettamente catturabile”, cioè in molti casi soggetta a condizionamenti proprio in funzione di ritorno elettorale. Mentre idealmente il principio di prossimità dovrebbe condurre ad un municipalismo alto, nobile e attivo, invece, nella realtà i Comuni si sono dimostrati incapaci di controllare e governare il territorio.
È in questo scenario che, per dirla con le parole del relatore, si “innesta un “sogno”; sviluppare ed affermare il principio di unicità, cioè concludere i procedimenti amministrativi, soprattutto quelli inerenti al governo del territorio, con un solo procedimento all’interno della Conferenza dei servizi. Il fine sarebbe quello di spoliticizzare per quanto possibile la decisione. Si verrebbe, allora, a creare una sorta di duello; i Comuni che rivendicano spazi di non giuridicizzabile politicità, la Regione che vuole, invece, mantenere lo spazio di controllo sulle decisioni urbanistiche comunali.
La norma della Legge Bassanini (Art. 4, comma 3, lett. e, l. 59/1977), cristallizza il principio di unicità, stabilendo che i conferimenti di funzioni devono ispirarsi al principio di unicità, cioè in sostanza tutto il procedimento deve essere concentrato su un solo soggetto, che deve gestirlo in Conferenza dei Servizi.
Questo percorso verso il contenimento del potere dei Comuni nell’ambito del governo del territorio non è stato del tutto lineare. Il d.lgs. 112/1998, ad esempio, ha declinato il principio di unicità del procedimento amministrativo anche in relazione alle autorizzazioni all’insediamento di attività produttive. A tal proposito, però, viene previsto che, ove la Conferenza dei servizi registri un accordo sulla variazione allo strumento urbanistico, la determinazione costituisce proposta di variante, sulla quale si pronuncia definitivamente il Consiglio comunale anche quando vi sia dissenso della Regione. Si arriva, in sostanza, al punto in cui la Regione non può opporsi alle scelte comunali in merito all’insediamento di poli produttivi, anche se sono in variante al piano urbanistico. Ad ogni modo, la Corte costituzionale ha considerato illegittime le pretese comunali di estromettere la Regione da qualsiasi ruolo determinante in merito all’insediamento di attività produttive. L’art. 25 comma 2, lettera g viene dichiarato illegittimo, dal momento che il Comune e la Regione devono essere considerati corresponsabili cosicché la Regione non può essere espropriata del suo potere di concorrere a definire l’assetto urbanistico del territorio (Cfr. Corte costituzionale, sentenza n. 206/2001).
Nel 2003, pochi anni dopo, nell’ambito della produzione di energia, l’art. 12 d.lgs. 387/2003, ha previsto che le procedure per localizzare gli impianti di produzione di energia elettrica alimentate da fonti rinnovabili sono regolati da autorizzazione unica, la quale, se necessario, genera variante allo strumento urbanistico. Il Comune si trova a dover subire la scelta presa in Conferenza dei sevizi, anche nell’ipotesi in cui questa localizzazione generi variante allo strumento urbanistico. Lo stesso schema viene ripreso nel Codice dell’ambiente, all’art. 208, in materia di impianti di smaltimento e di recupero dei rifiuti. Sulla base di queste vicende sembrerebbe che il “municipalismo” sia definitivamente sconfitto. Quindi, i Comuni si trovano a dover subire in sede procedimentale le decisioni prese nella Conferenza dei servizi.
Il ruolo delle amministrazioni comunali nel governo del territorio è stato recentemente precisato dalla Corte costituzionale, la quale ha fatto riferimento ad un nucleo minimo di competenze dei Comuni. Si tratta, in sostanza, di capire il cuore, l’essenza del potere comunale di pianificazione territoriale. Il punto centrale è che la Corte non fornisce una regola generale applicabile a tutti i casi, ma lascia che di volta in volta, sulla base del caso concreto, si stabilisca se al Comune residui o meno una certa competenza (Cfr. Corte costituzionale, sentenze n.160/2016 e n. 179/2019).
In questo percorso, quindi, va inserita e contestualizzata la normazione relativa al PNRR, la quale introduce, in molti casi, disposizioni che seguono logiche completamente differenti e contrapposte. L’applicazione del principio di unicità, giunti alle soglie del PNRR, ci diceva inequivocabilmente che la sede decisoria è la Conferenza dei servizi e che quindi la decisione presa al suo interno è titolo per la codificazione della realtà e può incidere anche pesantemente sull’autonomia comunale. Tuttavia, la normazione PNRR sembrerebbe non considerare tutto il contesto e lo sforzo che è stato fatto per superare quel “prossimalismo”, considerato tanto deprecabile da Portaluri.
Se ad esempio, da una parte, abbiamo l’art. 31 bis del D.L. 77/2021 (che reca disposizioni in ordine all’organizzazione della gestione del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza), in materia di impianti di biogas e biometano, in cui il principio di unicità viene declinato nella sua massima espressione, non lasciando alcuno spazio all’autonomia comunale, l’art. 55 del D.L. 77/2021, invece, fa sorgere molti dubbi e perplessità. È previsto, infatti, che l’autorizzazione per interventi pubblici di edilizia scolastica è resa dall’amministrazione competente anche tramite Conferenza dei servizi. Se si va in profondità ci si accorge di qualcosa di importante: in quella Conferenza dei servizi c’è il Comune, il Ministero e la Sovrintendenza, se si tratta di immobili vincolati. Appare chiaramente la problematicità della norma. Infatti, si può immaginare che, nelle decisioni, Comune e Ministero “si schiereranno” contro la Soprintendenza. In sostanza, sembrerebbe quasi che la disposizione intenda tacitare la Soprintendenza, mettendo a tacere il titolare dell’interesse paesaggistico. Il Comune, in questo caso, finisce per assumere nuovamente un ruolo preponderante e fondamentale.
A conti fatti, la confusione generata da queste normazioni è del tutto evidente. Ci lasciano disorientati e incapaci di districarci in un groviglio scomposto di norme, che proliferano senza alcun equilibrio. Portaluri non può fare a meno di notare come sia stato messo in dubbio tutto il cammino compiuto verso l’affermazione del principio di unicità e la delimitazione del potere dei Comuni. Sembra quasi che non si riesca a trovare un punto di equilibrio e si finisca per oscillare continuamente da una posizione all’altra, da un “filomunicipalismo” estremo ad un “filoregionalismo” senza alcun limite.
Rimaniamo allora, ancora una volta, “senza bussola”, tanto da perdere il senso della realtà, nell’ansia incomprimibile di perseguire un obiettivo generale di spesa, previsto e imposto “dall’alto”.

 

[1] Tenutosi il 14 febbraio 2022, nell’ambito del ciclo di seminari organizzati dal curriculum di diritto amministrativo europeo dell’ambiente del dottorato in Diritto Pubblico, Comparato e Internazionale, presso il Dipartimento di Scienze politiche, dell’Università di Roma La Sapienza.