Roma: un progetto per la città, A cura di Pietro Bevilacqua e Enzo Scandurra, Roma, Castevecchi, 2020, pagine 96

La chiesa di Richard Meier a Tor Tre Teste  |© Andrea Jemolo

Mi piace iniziare da qui: “Roma è la modernità, … nella unicità del suo patrimonio e della sua storia. È il mondo classico che vive nel presente con tutta la sua irriproducibile alterità” per parlare di questo libro agile di 96 pagine (Roma: un progetto per la città, a cura di Piero Bevilacqua e Enzo Scandurra, 2021, Castelvecchi, la citazione è in Introduzione pagina 10) che va ad arricchire la discussione pubblica, uscendo – secondo l’intento degli autori – dal politicismo sui nomi dei candidati sindaco che imperversa sui media. E dalle idee, ad imitazione di altre capitali, che propugnano grandi opere omologanti. 

Arricchire, perché la nostra stessa esperienza associativa in Roma Ricerca Roma, ci permette di testimoniare un nuovo fiorire di studi, di tentativi di superare gli steccati disciplinari per mettere le diverse competenze al servizio di una visione. Visione è l’altro termine chiave del testo, da rivendicare proprio nel senso originario, di sogno, di fantasma che possa ispirare il ritorno a una dimensione pubblica, comunitaria capace di contrastare gli egoismi che hanno prodotto solitudini e disagio, in modo da curare al tempo stesso “Urbs e Civitas”, le sue pietre, i suoi manufatti e i diritti dei suoi cittadini. E urbanistica è quella scienza, è spiegato citando Luigi Cosenza che “rappresenta la condanna delle ambizioni egoistiche … manifestazione di una volontà tesa verso scopi coerenti, costruttivi, creativi” (Scandurra, pagina 17).

Sappiamo bene che a Roma, non solo in quella contemporanea ma anche in quella antica, la bassa cucina, la bassa politica, l’arte di arrangiarsi e il caos, le risse di strada e la prostituzione, l’occupazione abusiva di suolo pubblico (e anche privato), le rendite piccole e grandi e la cortigianeria, sono ingredienti ben difficili da contrastare e da estirpare. Però, in stagioni lunghe o brevi della sua storia una visione, un sogno, hanno riscattato Roma rendendola ciò che è: un unicum che proietta nel mondo e nel futuro la sua civiltà e la sua bellezza. 

La prima parte del saggio di Enzo Scandurra, che apre il libro, riproduce un articolo uscito sul Manifesto il 9 ottobre 2020, “Appia o Casilina? Bellezza o bruttezza di una ex grande città”, che ebbe, già alla sua prima uscita, una notevole eco. Vi si riporta l’episodio raccontato da Curzio Malaparte ne La pelle dell’ingresso degli Alleati a Roma. Lo scrittore è ufficiale di collegamento e suggerisce all’amico, colonnello Jack Cork, un letterato, di entrare dall’Appia antica, dalla Regina viarum, suscitando la meraviglia che possiamo immaginare. 

A seguire Scandurra immagina l’ingresso di un turista da GrandTour dalla via Casilina, è la via “della grande bruttezza”. Borghesiana, Torre Gaia, Tor Bella Monaca, Giardinetti, Torre Maura, Centocelle, Maranella, Torpignattara, Pigneto. 

Porta Furba  |© Andrea Jemolo

Ecco, io vorrei spezzare una lancia in favore della via Casilina e del quadrante Casilina, Tuscolana, Prenestina. Senza negare l’esistenza di scempi e bruttezze, questa parte di Roma ha un fascino particolare che deriva dalla mescolanza di natura e rovine con la storia proletaria del Novecento: Villa Gordiani, il Parco Archeologico di Centocelle, le catacombe di S. Marcellino e Pietro con la tomba della madre di Costantino, S. Elena,  il parco Alessandrino, il Casale della Cervelletta, per non parlare di via della Marana, di Porta Furba e, perché no, di Tor Bella Monaca con le sue strade da metropolis ma anche con la via Gabinia, gli orti urbani e i vincoli archeologici che proteggono l’Agro fino a Torre Angela. La stazione dei pullman di Anagnina, da cui colf, badanti, lavoratori edili partono per raggiungere i centri storici dei Castelli, abbandonati dai residenti e da loro riabitati. Alcuni interventi ERP di qualità e anche alcuni interventi di edilizia agevolata di qualità della fine del secolo scorso convivono con quartieri autocostruiti e con brutture commerciali.

Giganteggia anche qui la figura del sindaco Luigi Petroselli, a cui si devono le fogne, lo smantellamento dei baraccati dell’acquedotto Felice, le case popolari per i baraccati e la nascita del Parco degli Acquedotti, un miracolo di bellezza che confina con Don Bosco, Tor Fiscale, il Quadraro con i murales che rievocano l’insurrezione contro i nazifascisti. Il lastricato dell’antica via Latina, l’acquedotto Claudio, le ville romane, le tombe. A Tor Tre Teste la chiesa di Richard Meier è uno splendido esempio di architettura contemporanea.

Devo la conoscenza di questi luoghi soprattutto alle camminate pionieristiche di Stalker-Primavera romana- Osservatorio nomade e, poi, più recentemente, alle Edizioni del Lupo e a NoiTrek. Tutte associazioni che si dedicano alla conoscenza, alla cura e a battaglie per la qualità di questi territori: il parco del laghetto dell’ex Snia, il Parco che si vorrebbe lineare lungo l’Aniene e il Tevere, percorsi verdi che possono collegare tutta Roma, il GRAB. I ragazzi di NoiTrek con cui ho visitato il parco dell’Acquedotto Felice, l’organizzatrice e l’archeologo, sono del quartiere di Don Bosco: “Con il lockdown – ha detto il giovane archeologo Andrea Papalini – ci siamo dovuti reinventare”. E mentre noi visitavamo le antichità, la sorella di Andrea si era reinventata dando lezione di pilates sul prato, un atleta saltava a corda sulla superficie curva dell’acquedotto Felice, bambini giocavano in mezzo alle rovine, ragazzi immigrati facevano una partita a pallone su uno spiazzo erboso. Insomma una Roma popolare e unica.

Nella mostra Roma 2020-2025 organizzata nel 2015 al MAXXI, l’Università di Los Angeles ha proposto percorsi ispirati ai luoghi del cinema neorealista. Storia del Novecento ma anche storia del secondo millennio, come bene mette in luce nel libro curato da Scandurra e Bevilacqua, Roberto De Angelis che propone la nascita di un “Centro di documentazione sull’asilo e le migrazioni Sher Khan-Metropoliz”, collegato all’esperienza del Museo dell’Altro e dell’Altrove.

La vicenda della libreria “La pecora elettrica” e degli altri locali incendiati a Centocelle, l’aggressione al Roxy bar della Romanina, la vicenda delle proteste di Casa Pound contro l’assegnazione delle case popolari alle famiglie rom ma anche il sostegno che queste famiglie hanno avuto da Nonna Roma che è riuscita a mobilitare tutte le forze democratiche e di sinistra, ci ricordano anche che si tratta di realtà dove alto è il disagio sociale e dove sono in corse battaglie democratiche impegnative.

La via Latina al parco degli Acquedotti  |© Andrea Jemolo

Nel libro Vezio De Lucia affronta da par suo l’annosa questione del Parco dell’Appia Antica: “Il progetto Fori rappresenta al meglio le cose da fare perché, in nome di una malintesa modernità, Roma non sia omologata a ogni altra città del mondo”.

Credo che, per rilanciare il progetto Fori,  si dovrebbe metterlo in stretta connessione con le aspirazioni a una migliore qualità della vita di questi popolosi quartieri.  Le linee metropolitane A e C, del resto, servono abbastanza bene nelle direttrici verticali mentre pessimo è il collegamento orizzontale. A me è capitato in pieno lockdown di prendere il 514 che, affollatissimo, percorre tutta la Palmiro Togliatti riempiendosi all’inverosimile. Naturalmente non esistono collegamenti navetta fra metropolitana e aree archeologiche.

Il volume, senza pretendere di essere esauriente, si pone su un piano propositivo. Piero Bevilacqua immagina la creazione di una “Casa delle scienze umane”, organizzata in tre dipartimenti (Territorio, Welfare, Arti), alla cui base sta l’idea di contrastare “la volontà sempre più unilaterale e ossessiva dei centri del potere economico e di quasi tutto il ceto politico, di chiedere al sapere una immediata utilità strumentale”. Volontà che ha circondato “gli studi umanistici di un alone di inutilità e di discredito”. È bene ricordare, scrive Bevilacqua, “che esattamente la cultura che ha chiesto ai saperi ragioni della loro immediata e spendibile utilità economica è la stessa che ha trascinato il mondo nella più grave crisi economica, sociale, militare, demografica, ambientale mai sperimentata”.

Filippo La Porta immagina un Parco letterario trasversale alla città, attraverso i luoghi di Carlo Levi che “ha capito Roma forse più di chiunque altro”.

Matteo Amati, a nome di RomaAgricola, propone la saldatura di “tre visioni strategiche”, agricoltura, verde pubblico e green economy che, “può disegnare per la città una nuova prospettiva di sviluppo orientata alla sostenibilità ambientale”.

Tor Pignattara, largo Pettazzoni-Acquedotto Alessandrino  |© Andrea Jemolo

Maria Rosa Vittadini e Alessandra Valentinelli la novità rappresentata dalle linee guida comunitarie per il Piano urbano di mobilità sostenibile (2014), al centro dell’attenzione stanno “il benessere dei cittadini” e “l’area vasta”. Occuparsi dell’area vasta, scrivono le autrici, “significa avere ben compreso la crescente irrilevanza dei confini amministrativi … L’assoluta necessità di servire l’estensione dell’urbano fuori da quei confini”.

Purtroppo le linee guida nazionali irrigidiscono quelle europee fissando il perimetro istituzionale e il PUMS di Roma, come d’obbligo, ne segue le indicazioni. Ne deriva per Roma l’obbligo di due Piani della mobilità, uno comunale e uno metropolitano, il che suscita numerosi punti interrogativi e ambiguità nel contesto di una riforma dell’assetto istituzionale rimasta incompiuta. Esso, inoltre, assume il PRG del 2008 come punto di riferimento, rinunciando a una visione strategica di lungo periodo sul futuro della città, ad un intreccio con le politiche urbanistiche, ad affrontare a monte la questione delle scelte tecnologiche più efficienti e efficaci.

Gaetano Lamanna si sofferma sull’ideologia sbagliata che è alla base del proliferare delle RSA, frutto di una società fondata sul mito della velocità e della massima produttività. L’alternativa a cui si deve puntare è “considerare la casa il primo luogo di cura”, il problema è, allora, “intervenire sulle abitazioni degli anziani rendendole adatte alle esigenze dell’invecchiamento” e potenziare i servizi socio-sanitari sul territorio.

Paolo Gelsomini si è assunto il compito di ripercorrere le vicende del PRG approvato nel 2008 a partire dalla prima giunta Rutelli, mettendo in luce il neoliberismo che sottostà alle scelte di tipo contrattualistico fino all’uso deleterio delle compensazioni urbanistiche che hanno vanificato ogni visione strategica.

Per mettere insieme, secondo il filo conduttore del libro, “sogno e pianificazione, immaginazione e realtà, sentimento e ragione, intuizione e progetto, partecipazione popolare e decisione istituzionale” … “una categoria di riferimento al contempo visionaria e progettuale … è quella di sistema”. Sistema della mobilità, sistema culturale diffuso nel territorio, “l’obiettivo finale è quello di lavorare tenendo a mente la lezione del passato per orientare un nuovo modo di affrontare la pianificazione urbanistica per e con i cittadini”.