Centocinquanta anni di immigrazione a Roma. Un convegno, il 1 ottobre, organizzato da Cnr-Ismed e Biblioteche di Roma, ha chiuso una prima tranche di un progetto ambizioso di ricerca per conoscere i fenomeni migratori. La coincidenza temporale con la ricorrenza dei 150 anni di Roma capitale non è affatto casuale. E’ vero che Roma è stata fondata – dice la leggenda – da persone venute da fuori, e che è stata a lungo asylum per gente in fuga. Ma la funzione di Capitale ha dato un forte impulso all’arrivo di una migrazione interna, alla fine dell’ottocento.

Una migrazione certo dovuta alla funzione di capitale del nuovo stato italiano (fu nel 1871 che i Savoia e la loro corte si trasferirono a Roma) che si è scontrata con i problemi usuali di quasi tutti i flussi migratori: scarsità di alloggi, diversità di usi e abitudini, differenze di lingua.

Le tappe di ricerca e studio

Il progetto è ricco, anche se si è scontrato con le restrizioni della pandemia da Covid. Al convegno di apertura del 6 novembre 2020 è seguito un ciclo di incontri territoriali ospitati dalle Biblioteche, a Spinaceto, Primavalle, Pigneto, Corviale, Tufello, Borgata Finocchio; sei videolezioni e la presentazione dei libri finalisti dei “Diari multimediali migranti”. Il convegno del 1 ottobre dunque chiude un ciclo che si spera continui: lo studio delle migrazioni – sia che duri, sia che termini la pandemia – sarà sempre più interessante e importante negli anni a venire. Parlano i dati. Oggi, dice Salvatore Strozza, demografo, il quindici per cento della popolazione di Roma è nato fuori dall’Italia o è di origine straniera.

150 anni di immigrazione a Roma

Perché, dice Michele Colucci, tra gli organizzatori del ciclo di eventi, concluso (per ora) venerdì 1 ottobre alla Protomoteca in Campidoglio, “la migrazione è un fatto che riguarda tutti, un orizzonte. Per questo abbiamo voluto rileggere la storia attraverso le migrazioni interne e internazionali, e riportare poi il risultato dello studio e delle ricerche nei territori. La migrazione, che si sia migrante o autoctona, è un agente di cambiamento nella vita delle persone e nella città. Tanto più a Roma”.

Infatti. Luciano Villani ripercorre la storia degli insediamenti informali a Roma, fin dal 1953, quando sui giornali si chiedeva di “fermare l’invasione degli indigenti a Roma”. Cioè l’ondata di contadini impoveriti dalla guerra e dalla spagnola, che cercavano un lavoro e un alloggio, una vita meno grama. Quasi novemila famiglie, in quel tempo, vivevano in grotte o baracche, oltre 37.000 persone, e come il solito il dato è per difetto.

Dalle baracche alla speculazione edilizia

Grotte e baracche, e non solo. Ci furono anche le autocostruzioni, le lottizzazioni abusive nell’agro romano che lo hanno disseminato prima di casette quasi rurali, con orto o giardino, che negli anni ’60 si sono ampliate e sopraelevate. Quando la casetta diventerà palazzina o palazzone, negli anni ‘70-‘80, non si tratterà più di autocostruzione ma arriveranno le imprese, il cemento, la speculazione più rapace. Un’eredità che la città di oggi non ha ancora saldato.

Villani racconta la storia della lotta per la casa, la rivendicazione dei lottisti sostenuti dall’Unione borgate (Ponte di Nona, Palmarola, Infernetto) che chiedono luce, trasporti, fogne, acqua. Le occupazioni, che a San Basilio cominciano nel ’62 e continuano ancora oggi. L’enorme sforzo della giunta Petroselli di cancellare baracche e casette e costruire nuovi grandi insediamenti di case popolari. Uno sforzo che, poi, si è interrotto.

Chi lotta per la casa, chi la compra, chi la costruisce

Lidia Piccioni ha studiato i flussi dei ceti medi: tra il ‘50 e il ‘70 più abbienti, professionisti e alti funzionari di stato si dislocano a Parioli, Prati, Trieste; all’Eur vanno gli intellettuali e la gente dello spettacolo. Chi invece è sedotto dal mito americano di Paperopoli sceglie Casal Palocco, Prato della signora, Olgiata. Enclave chiuse, socialmente isolate, separate dalla città. E’ negli anni ‘70-‘80 che parte dei ceti medi alti si sposta all’esterno, in cerca di villette e verde.

Il piccolo ceto medio sceglie invece le aree di nuova periferia, tra la città consolidata e le borgate, con servizi scarsi, un tessuto sociale frammentato anche se l’edilizia è di media qualità. Proprio qui spesso sono nati i comitati di quartiere che lottano per i servizi, il verde, lo sport, la qualità della vita.

A ricordare chi ha costruito Roma, gli edili, è Ilaria Romeo, responsabile dell’archivio storico della Cgil nazionale. Un archivio ricco di immagini e testimonianze: una forza lavoro spesso immigrata da altre regioni, dequalificata, immiserita. La metà viveva in baracche, preda della precarietà che connota l’edilizia: c’è lavoro finché c’è il cantiere, poi sei a spasso e non restano che il mercato delle braccia dove offrirsi. Famoso quello di Piazza Vittorio, ma c’era anche alla Maranella o davanti ai grandi cantieri. Oggi sono gli “smorzi”, i luoghi di acquisto di laterizi e materiali da costruzione, a funzionare da mercato delle braccia per gli edili che vengono dall’est.

La cultura, la letteratura, la questione delle seconde generazioni

Il fenomeno migratorio ha molte sfaccettature. Luciano Governali ha studiato la questione degli studenti fuorisede. Fabrizio Ciocca il panorama religioso e i luoghi di culto, che siano quelli ufficiali o appartamenti, garage, negozi o cantine risistemati per la preghiera. Corrado Bonifazi sottolinea che tra i problemi c’è il fatto che a Roma la questura concede, in percentuale, meno permessi di soggiorno che a Milano.

Conferma Mohamed Tailmoun, tra i fondatori della rete G2, a molte persone di seconda generazione viene impedita la cittadinanza con norme che valgono solo qui: ad esempio a chi risiede in case occupate. Imgy Mubiayi parla invece della ricchezza letteratura italiana delle migrazioni, del passaggio cioè dal racconto mediato da un giornalista o scrittore italiano alla presa di parola diretta di persone che, o perché hanno imparato la lingua o perché di seconda generazione, non hanno più bisogno di alcuna mediazione.

La memoria dei dimenticati: Sher Kan alla Pantanella

A rompere il ritmo e il significato del susseguirsi di studi è l’intervento di Giulia Fiocca, del collettivo Stalker. Ha posto infatti l’accento sulla vicenda della Pantanella, ex fabbrica in rovina occupata per sei mesi da migranti in cerca di un tetto e sgomberata a gennaio del 1991 dal Comune di Roma, sindaco Carraro.

Una vicenda singolare e sfaccettata, che si intrecciò allora con il movimento studentesco della Pantera. Una vicenda che ebbe tra gli attori il direttore della Caritas Luigi Di Liegro, l’attivista Dino Frisullo e il leader pakistano Sher Khan. Nel 2009 Sher Khan muore di freddo e di stenti in un angolo del giardino di piazza Vittorio. Il gruppo Stalker, per ricordarlo, ha inscenato in quel luogo una sorta di rito laico del ricordo, scrivendo il suo nome con teli colorati, e stringendo ognuno un pugno di ghiaccio, simbolo di sofferenza e di freddo mortale. Nel tentativo, dice Giulia Fiocca, di “rielaborare insieme una storia recente, e darne memoria”.