Autore
Carlo Stasolla, presidente Associazione 21 luglio
Tommaso Vitale, professore di Sociologia a Sciences Po, CEE & Ecole Urbaine
Dal settembre 1994, quando a Roma venne inaugurato il primo insediamento per soli rom (il “campo rom” di via Salviati, tutt’ora esistente), la “politica dei campi” sopravvive nella Capitale, con la sua forte impronta segregazionista ed escludente.
In Italia, sui 17.800 rom in emergenza abitativa[1], il 22% vive nella Capitale, con 2.563 presenze registrate negli insediamenti formali e 1.300 in quelli informali[2]. Le maggiori problematiche abitative si riscontrano nelle città di Roma e Torino dove numerosi sgomberi forzati, realizzati anche nel periodo della moratoria previsto dal cosiddetto “Decreto Conte” (Decreto Legge n.18 del 17 marzo 2020, e successive modificazioni, relativamente all’applicazione della moratoria sugli sgomberi e sugli sfratti da estendere sino al 31 dicembre 2020), rappresentano la cartina di tornasole del governo locale. Gli amministratori, davanti ai puntuali fallimenti, hanno affidato la loro sconfitta all’opzione più facile e meno risolutiva, quella della ‘ruspa’. Non è un caso che le due metropoli siano le uniche in Italia dove da un quarto di secolo è ancora attivo un “Ufficio Speciale Rom” (o “Ufficio Stranieri e Nomadi” nel capoluogo piemontese) chiamato ad implementare un “Piano rom” declinato su base etnica e caratterizzato da una forte impronta ‘culturalista’.
Eppure altrove segnali di discontinuità incoraggiano all’ottimismo. Nell’ultimo triennio numerose Amministrazioni, da Moncalieri a Palermo, si sono adoperate con successo per avviare, e molto spesso concludere, processi virtuosi di superamento dei “campi rom” presenti da decenni sui rispettivi territori[3]. Segnali che indicano come, anche per la nuova Amministrazione Capitolina sia scoccata l’ora per un decisivo cambio di marcia, partendo proprio dalle esperienze condotte in altri capoluoghi, analizzate, studiate, valutate e comparate tra loro in due recenti studi (ISTAT, Abitare in transizione, Roma, 2021, e Associazione 21 luglio, Oltre il campo, Roma, 2021).
Grazie ai fallimenti e ai successi delle Amministrazioni che, con coraggio e spesso nella piena solitudine, hanno condotto azioni di superamento dei “campi rom”, oggi sappiamo che è probabile scontrarsi contro il fallimento laddove:
- si continuino a prediligere “politiche speciali” che prendono forma in uffici, piani, bandi pensati su base etnica;
- non si preveda fin dall’inizio il coinvolgimento diretto dei beneficiari preferendo un approccio top-down;
- si operi in assenza di interventi complessi e multidimensionali;
- si facciano interventi puntuali senza un accompagnamento di medio periodo;
- si riservi scarsa attenzione alla questione di genere e a quella giovanile.
Al contrario abbiamo ormai acquisito consapevolezza sull’importanza di salvaguardare quattro aspetti:
- la promozione di una sinergia tra diversi strumenti in diversi settori di intervento (abitativo, lavorativo, scolastico, sanitario;
- l’abbandono della sottolineatura etnica privilegiando strumenti che seguano un approccio universalistico;
- incentivi per la cooperazione e il confronto sinergico tra istituzioni e terzo settore;
- l’utilizzo di una metodologia adeguata basata sull’ascolto e sul coinvolgimento degli attori locali (in primis gli abitanti stessi dei “campi rom”).
Nel programma elettorale del neo sindaco Roberto Gualtieri sulla “questione rom” (scaricabile QUI) si scandiscono due sintetici passaggi. Il primo è «il superamento dell’approccio etnico e meramente securitario del tema». Realizzare la promessa subito, nei primi 100 giorni, dando un segnale di universalismo forte potrebbe essere vitale per assicurare credibilità alle parole e discontinuità rispetto al passato. Si tratta di cominciare subito con il chiudere l’’Ufficio Speciale Rom’, istituito nel luglio 2017 dalla sindaca Virginia Raggi per convertire le risorse e valorizzarle inaugurando un ‘Ufficio per l’emergenza abitativa estrema’ che si occupi di tutti quei cittadini che da decenni vivono le periferie romane in condizioni transitorie, precarie, marginali compresi, ma non solo, “campi rom” istituzionali e baraccopoli. Il nuovo Ufficio, coordinato dal Gabinetto del sindaco, potrebbe essere radicato presso l’Assessorato alle Politiche Abitative e lavorare in stretto raccordo operativo con gli altri livelli di competenza capitolina, sia centrale che municipale.
Il secondo punto lo troviamo nell’impegno programmatico di Gualtieri quando assicura «una gestione della transizione degli aventi diritto [dai “campi rom” n.d.r.] verso alloggi regolari». Per realizzare questa misura, arrivando a superare tutti i “campi rom” romani nell’arco di un mandato, è necessario per ogni insediamento:
- realizzare una mappatura dei bisogni e delle risorse degli abitanti, considerandoli come portatori di interessi (stakeholders) e non come oggetti passivi;
- promuovere la nascita di un ‘Gruppo di Azione Comunitario’;
- curare e approvare un ‘Piano di Azione Locale’;
- implementarlo attraverso una task force comunale;
- ideare una campagna comunicativa ad hoc;
- garantire il monitoraggio delle diverse azioni e la sostenibilità della loro implementazione nel tempo, senza mai abbandonare nessuno (questi aspetti sono contenuti e dettagliati in: Associazione 21 luglio; Superare i campi rom? Si può fare!, Roma, 2021)
Si tratta di un piano articolato e complesso, reso tale dalla disabitudine nel disegnare politiche partecipative efficaci, capaci di dialogare e avanzare con tutti gli attori in campo. Si tratta di una proposta concreta, praticabile perché istruita nel confronto con le esperienze concretamente implementate in altre città. Basti pensare alla metodologia Romact, un programma voluto dal Consiglio d’Europa e dalla Commissione Europea nel 2013, già comprovato nella prassi in diverse municipalità, o alle pratiche di Community Organizing.
Superare i “campi rom” a Roma? Si può fare! Anzi, si deve fare! I tempi sono ideali e le condizioni estremamente favorevoli. E non solo perché tra gli amministratori è maturata una nuova consapevolezza ma anche e soprattutto perché tra i “figli dei campi”, le giovani generazioni che da decenni vivono dentro questi ghetti, l’anelito a una cittadinanza piena è diventato la componente essenziale di un desiderio individuale e collettivo sul quale non possiamo rinunciare a fare leva per relegare al passato la vergognosa stagione dei ‘campi rom’ romani.
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[1] Cfr. Associazione 21 luglio, L’esclusione nel tempo del Covid, Roma, 2021.
[2] I dati sono stati annunciati dai rappresentanti istituzionali nel corso della conferenza stampa organizzata in Campidoglio dal Comune di Roma il 15 settembre 2021.
[3] Cfr. a questo proposito Associazione 21 luglio, op.cit.