di Alessandra Valentinelli
«Cosa Scegli?» Così titola l’ultimo comunicato della mobilitazione che in questi primi giorni di maggio si sta allargando in difesa del lago Bullicante ex Snia; l’ultima, si spera, puntata della lunga vicenda che da trent’anni contrappone la proprietà della ex fabbrica al quartiere impegnato in difesa degli spazi verdi del Prenestino.
La storia è spesso comparsa sui giornali romani: nel 1992, dopo aver comprato la vecchia area industriale, teatro glorioso delle lotte operaie dell’immediato dopoguerra, dismessa già nel 1954, la nuova proprietà avvia i lavori per la costruzione di un centro commerciale. L’area è attigua, e in piccola parte ricadente, nel comprensorio SDO dove di lì a poco inizieranno gli espropri che sanciranno la fine del progetto direzionale e la restituzione al quartiere del polmone verde atteso dopo decenni di crescita speculativa.
Due metri quadri di verde procapite, questo l’esito della grande espansione che dopo la guerra investe il V Municipio, la metà del minimo stabilito per legge. Nel mare della città compatta, le aree SDO che il PRG ha vincolato sin dal 1962 e così preservato dall’edificazione diventano un’isola contesa: tra quanti ancora puntano a saturarle e quanti ritengono quell’ultimo “vuoto”, la principale occasione di riscatto del quartiere; la destinazione a verde, il segno tangibile che per l’intera città inizia una diversa stagione, fondata sulla salvaguardia del patrimonio collettivo, la riqualificazione dello spazio pubblico, il contrasto alla rendita. Sono gli anni della Variante di Salvaguardia, della difesa dell’Agro Romano e, nell’area, del vincolo che la Sovrintendenza pone nel 1995 sui contesti di giacenza del compendio romano imperiale “Ad duas lauros”: un lembo di campagna antica dentro la città, uno straordinario giacimento archeologico, un parco dal valore storico, culturale e ambientale assimilabile ai grandi parchi nobiliari dell’Urbe.
Indifferente al cambiamento che spira in città, la nuova proprietà della Snia sceglie il confine del vecchio SDO per riaffermare grigie consuetudini: vagheggia un centro commerciale, tre piani di negozi fuori terra, tre di parcheggi interrati, e inizia gli scavi; quando intercetta la falda, ne ha appena terminato lo scheletro. Sarà la Regione a interrompere i lavori nel 1993: manca la concessione, l’edificio è abusivo. L’acqua intanto colma la voragine del cantiere. Mentre partono i ricorsi e si accende la protesta, il lago si stabilizza e la natura prende il sopravvento.
Un palazzinaro puro sangue non demorde; negli anni non si contano i progetti presentati, tutti rigorosamente in deroga, per gonfiare i metri cubi e abbattere i metri quadri da riservare alle dotazioni collettive. Ma la continua bulimia della proprietà tiene viva anche la protesta, che rigetta gli interventi e, metro per metro, ottiene gli espropri; l’ultimo nel 2014 acquisisce l’area del lago. A salvarsi è il cuore di un ecosistema che già allora conta 80 specie di uccelli selvatici, molti nidificanti: si rifugiano tra il canneto, sotto i rovi che hanno invaso il vecchio cantiere, nei tronchi delle robinie spuntate tra le macerie; germani e picchi, rapaci e aironi, lucciole e libellule richiamano le scuole, la popolazione, gli studiosi.
Rilievi e ricerche mostrano una biodiversità, insospettabile a poca distanza da Porta Maggiore, ricca di specie autoctone e di pregio che, dalla simbiosi con i processi di rinaturazione, ricavano terreni più profondi, al riparo dal sole, dai dilavamenti, dagli inquinanti: un nuovo ecosistema, adattato all’ambiente urbano, strutturato e resistente.
Chi frequenta l’area impara a riconoscere salici e allori, la macchia spontanea e le erbe nomadi. Inizia a osservarne la crescita, e così a distinguerne le strategie di interazione, di mutuo arricchimento e supporto. Ritrova nel rinselvatichimento, il contatto perduto con la terra, un fascino irresistibile, il senso e l’energia per una nuova battaglia, quella per la tutela ambientale.
L’istituzione del Monumento Naturale nel 2020 deve molto alle passioni che il lago, con i suoi colori, i suoi profumi, il suo silenzio ha saputo suscitare, instaurando quel rapporto di rispetto che è il solo a permettere all’uomo di comprendere l’insegnamento della natura: attivando intelligenze, creatività e saperi per costruire territori dove le proprie sono le priorità della comunità, dove i luoghi nascono con e per la socialità; ormai qualunque progetto futuro dovrà misurarsi con questa consapevolezza.
Da oltre un mese la proprietà, nella parte rimasta esclusa dal perimetro del Monumento, ha cominciato a sradicare alberi, strappare piante e sbancare terreni. L’allarme della cittadinanza non ha trovato ascolto finché non sono partiti gli esposti. E ancora, dopo che gli esposti hanno mostrato l’assoluta inesistenza di autorizzazioni, l’Amministrazione fatica a fermare i lavori. Manca sempre qualche carta, qualche firma, qualche pronuncia. Nonostante la devastazione, i vigili mandati sul posto non hanno ravvisato nulla di “anormale”. A fianco dei cittadini si è riunito un pool di legali del GriG e Progetto Diritti. Stanno fioccando le denunce: l’area è sotto tutela paesistica, quelli estirpati sono habitat protetti dalle norme comunitarie, anche distruggere nidi in questa stagione è reato. Il PAU ha invocato il danno ambientale. La magistratura farà il suo corso.
A preoccupare però il quartiere è soprattutto il danno arrecato all’ecosistema: il deserto della città che pericolosamente si avvicina, la minaccia della banalizzazione e semplificazione dei processi naturali, il rischio di turbare equilibri fragili oltrepassando la soglia critica oltre la quale la vulnerabilità si tramuta in degrado irreversibile. Perciò le proteste dei cittadini stavolta non si fermeranno se la difesa del verde non sarà ampia, inequivocabile e definitiva. Roma Natura ha già chiesto l’ampliamento dell’area protetta e Zingaretti si è dichiarato pronto ad attuarlo. Ma da troppi anni il Demanio nega la presa d’atto della presenza del lago, le cui acque, bene pubblico per antonomasia, deve accatastare. E se la voce del Municipio resta flebile e troppo spesso impacciata, alla Sindaca si chiede una pronuncia chiara e risolutiva in favore dell’inedificabilità: la Variante e l’esproprio che riconoscano all’area il suo ruolo primario nella Rete ecologica della città; una scelta limpida con cui scegliere di schierarsi dall’unica parte giusta.
Oltre alle immagini dell’autrice, le foto sono gentilmente concesse da:
Enzo De Martino, Marco G.Ferrari, Pierre Kattar, Massimiliano Tabusi