di Cecilia Canziani & Andrea D’Ammando

Cosmopolita per vocazione e indolente per scelta, eterna ed eternamente in rovina, Roma è una città difficile da inquadrare, complessa e multiforme, una città – ha scritto bene Marco D’Eramo – «incredibilmente ingannevole: sembra ciò che non è ed è ciò che non appare»[1]. Contraddittoria e ingannevole, d’altronde, Roma lo è sempre stata, almeno nella sua storia più recente, segnata da uno sviluppo controverso e “interrotto” (come ricordava già nel 1978 una celebre mostra di architettura). Ma lo è ancora di più negli ultimi anni. Per un verso, infatti, il racconto contemporaneo non sembra lasciare spazio a discussioni. Complici i disastri delle recenti amministrazioni e una sequela – questa, sì, ininterrotta – di narrazioni mediocri e spesso interessate, questo racconto ci consegna l’immagine di una città prossima al collasso, abbandonata, sporca e disillusa, affetta da un immobilismo patologico. Stretta tra degrado e bellezza, insomma – e sulla retorica del degrado e della bellezza è costruito gran parte del racconto ufficiale – Roma avrebbe ormai imboccato la strada di un lento e irreversibile declino, enfatizzato dal confronto con le metropoli europee più dinamiche e smart. Per altro verso, tuttavia, questo stesso racconto sembra contraddetto da indizi e segnali che, raccolti insieme e osservati con attenzione, contribuiscono a orientare la narrazione della città in una direzione alternativa, se non addirittura opposta, almeno sotto il profilo della produzione culturale. Negli ultimi due o tre anni, Roma ha mostrato infatti una vitalità e una capacità di rinnovamento che contrastano apertamente con l’immagine di una città ripiegata su se stessa. E lo ha fatto, per di più, in un momento particolarmente difficile – quello di una pandemia globale – e in un settore che, fino a pochi anni fa, sembrava aver subito un brusco rallentamento dopo la spinta degli anni Novanta e inizio Duemila: il settore dell’arte contemporanea[2].

La rinnovata vitalità dell’arte contemporanea a Roma non ha un unico centro propulsore. Certo, alcune realtà più di altre hanno contribuito a dare slancio e visibilità al settore. E tuttavia questa rinascita – ed è ciò che più conta e fa ben sperare – ha coinvolto tutti i livelli, da quello istituzionale a quello indipendente, e diverse aree della città, dalle zone storicamente più dinamiche e centrali a quelle maggiormente periferiche.

Il dato più interessante è in effetti la rinascita di spazi indipendenti: da Spazio Y al Quadraro, il più longevo, e Spazio In Situ, a Tor Bella Monaca, che festeggia i suoi primi cinque anni raddoppiando gli spazi e gli impegni – studi, ma anche spazio espositivo, collaborazioni internazionali e, da ultimo, una rivista – a Studioli, ospitato in un interessante complesso di garçonnières sul fiume Tevere, non lontano da ponte Milvio, e Post Ex, vecchia carrozzeria a Centocelle, dove oltre agli studi dei fondatori vengono offerti spazi per residenze più brevi, facilitando lo scambio e offrendo a chi è di passaggio a Roma (magari come partner di qualche artista ospitato da una accademia internazionale) un luogo dove lavorare e conoscere altri professionisti. O ancora Ombrelloni a San Lorenzo, SPAZIOMENSA sulla via Salaria – una ex cartiera che ospita un programma di mostre e incontri – fino a Paese fortuna, sito all’interno dell’ex lanificio Luciani su via di Pietralata, e CASTRO, residenza che offre a giovani artisti uno spazio per lavorare e un programma di incontri con curatori e critici, oltre a sessioni di crit (incontri pubblici in cui presentare il proprio lavoro per avere un confronto tra pari). Sono tutte iniziative di gruppi di artisti che scelgono di prendere studio insieme – perché lo scambio è un valore e una risorsa che arricchisce le ricerche personali – e di aprirsi alla città, favorendo il dialogo con la scena artistica nazionale e internazionale e innescando un approccio ecologico alla cultura contemporanea attraverso la collaborazione con soggetti diversi come le Accademie di Cultura straniera – che sono una specificità di Roma –, le gallerie, i musei e le fondazioni: una messa in rete di soggetti privati e pubblici. Tra le realtà non profit di recente apertura, senza poter fornire una mappatura esaustiva, è certo opportuno segnalare Baleno, al Pigneto, uno spazio espositivo che ha sede in una abitazione privata, modulabile a seconda del progetto, né artist run space, né galleria; Spazio Taverna, negli spazi già resi celebri da Incontri Internazionali d’Arte; Numerocromatico a San Lorenzo, che indaga la relazione tra scienza e arte; e infine Villa Lontana, sulla via Cassia, che attraverso un programma di mostre tematiche internazionali mette in relazione la collezione di marmi antichi della fondazione Santarelli con l’arte contemporanea, intercettando una potenzialità e specificità propria della città di Roma. A dare un respiro internazionale alla scena artistica cittadina, peraltro, contribuiscono in modo decisivo i già menzionati Istituti e Accademie di Cultura stranieri, che oltre a ospitare artisti e studiosi offrono programmi di mostre e conferenze pubblici, volti anche a creare occasioni di incontro e scambio con la città.

Il comparto privato, dal canto suo, è caratterizzato dalla presenza di altre realtà importanti e strutturate: da un lato le gallerie private, tra cui spiccano le presenze straniere di Gagosian, Postmasters, Emmanuel Layr (che interpretano Roma come un asset, un’esperienza da offrire ai propri collezionisti) e un nutrito gruppo di gallerie italiane note internazionalmente, che ormai da anni sono in costante espansione, tra cui, per citarne solo alcune, t293, Monitor, Magazzino, z2o Sara Zanin, ADA e Materia, affiancate da realtà come Ermes Ermes e Rolando Anselmi – italiani che hanno prima aperto all’estero e ora a Roma –, Lorcan O’Neill, che la città l’ha scelta da tempo, e Galleria Continua, che ha aperto al St Regis una nuova sede; dall’altro lato le fondazioni, sostenute da collezionisti e la cui attività espositiva è mirata per lo più alla produzione e al sostegno di giovani artisti italiani e al dialogo con la scena internazionale: una riedizione del mecenatismo che nei secoli ha caratterizzato Roma. Anche in questo caso la geografia è ampia: la Fondazione Gianfranco Baruchello con sede a Monteverde Vecchio, VOLUME! a Trastevere, Fondazione Pastificio Cerere a San Lorenzo, Fondazione Giuliani a Testaccio, Memmo in pieno centro, Smart sulla Nomentana, Nomas Foundation in viale Somalia (che ha da poco lanciato il progetto Roma Città Aperta: una mappatura degli studi degli artisti che vivono e lavorano a Roma) All’interno del settore privato, inoltre, meritano senz’altro una citazione le case editrici capofila NERO e Cura.

Anche le istituzioni, tuttavia, stanno contribuendo a riscrivere la mappa cittadina dell’arte contemporanea, ritrovando forza e creando reti virtuose in grado di attivare la formazione di nuovi pubblici. Se si visitano i due musei statali dedicati all’arte contemporanea della città – MAXXI e La Galleria Nazionale – è evidente che c’è stato un cambiamento di pubblico, ed è una felicità vedere le sale attraversate da giovani e giovanissimi. Merito delle programmazioni e del lavoro sulle collezioni, che hanno saputo trovare un punto di equilibrio tra la necessità di un racconto attuale e la ricerca e anche a partire da punti di vista situati, come nel caso del progetto Women Up! alla Galleria Nazionale. Vale la pena segnalare anche l’apertura del MAXXI L’Aquila, pensato non come una succursale, ma come una seconda sede del museo, impegnata nel dialogo con il territorio e le sue istituzioni: in tempi come questi, l’apertura di un nuovo museo dedicato all’arte contemporanea è un segnale importante. Negli ultimi anni, inoltre, una spinta decisiva alla scena romana dell’arte contemporanea è stata data dall’Azienda Speciale Palaexpo, che gestisce il polo costituito da Palazzo delle Esposizioni, MACRO e Mattatoio (ribattezzato da poco Polo espositivo dell’arte e della cultura contemporanea). Forti del nuovo assetto e di una gestione intelligente e incisiva, i tre spazi sembrano aver imboccato una strada promettente anche sul medio e lungo termine: il Palazzo delle Esposizioni, oltre a una serie di mostre importanti, ha ospitato la XVII edizione di una rinata Quadriennale di Roma – ripensata a partire dalla promozione dell’arte italiana, con particolare attenzione ai giovani –, e ne tornerà sede operativa; il MACRO ha finalmente riconquistato l’attenzione nazionale e internazionale che merita grazie a un programma espositivo capace di approfondire episodi rimossi e dimenticati della vita culturale locale e temi urgenti; il Mattatoio, infine, negli ultimi due anni ha lavorato su due ambiti strategici per il futuro della città, la formazione e la produzione, lanciando il Master PACS (Arti Performative e Spazi Comunitari) e il programma di residenze “Prender-si cura”, a cui si aggiunge l’ambizioso programma di mostre “Dispositivi Sensibili”. All’Azienda Speciale Palaexpo, tra l’altro, fa riferimento anche il progetto del RIF Museo delle periferie, focalizzato sul rapporto tra pratiche artistiche e fenomeni urbani e destinato a un rapido e interessante sviluppo negli anni a venire. Anche sul piano della formazione, per chiudere, le cose sembrano andare nella direzione auspicata da tempo da artisti e operatori del settore. Oltre al Mattatoio, infatti, sono diverse le istituzioni pubbliche e private che stanno contribuendo ad ampliare un’offerta formativa di qualità nel campo degli studi artistici. In questo senso, impossibile non citare RUFA, (dove, ad esempio, si sono formati i fondatori di Spazio In Situ), NABA, che ha aperto da poco la propria sede a Roma, IED e il Master of Art della Luiss. Un discorso a parte merita l’Accademia di Belle Arti, che da qualche tempo ha iniziato a dare segnali di rinnovata vitalità, recuperando alla città e alla scena artistica un tassello, quello della formazione pubblica, fondamentale per lo sviluppo del settore.

Insomma, i segnali lanciati dal sistema romano dell’arte contemporanea negli ultimi anni sono incoraggianti, e arrivano sia da protagonisti istituzionali e strutturati che dalle realtà indipendenti e sperimentali. A questo fermento, inoltre, corrisponde una ritrovata capacità da parte della città di attrarre giovani artisti e curatori. È proprio su questo terreno, d’altronde, che si decide buona parte del futuro del contemporaneo a Roma, anche (e soprattutto) dal punto di vista della programmazione e dell’amministrazione cittadina. Per generare una scena artistica vitale e consolidata, in grado di incidere sulla vita culturale della città, è necessario infatti sostenere i settori della formazione e della produzione, favorendo, da un lato, la collaborazione stabile e produttiva tra istituzioni artistiche e formative, e dall’altro, la crescita e lo sviluppo di spazi di residenza, ricerca e sperimentazione. È questa, ci sembra, l’unica via per mettere a frutto la congiuntura positiva che si è venuta a creare negli ultimi anni. Ed è questa, d’altra parte, l’unica strategia possibile per opporre alla narrazione stanca e ripetitiva del degrado il progetto di una città vitale, capace di immaginare il proprio futuro.

[1] M. D’Eramo, La città non così eterna, in AA.VV., The Passenger – Roma, Iperborea, Milano 2021, p. 10.

[2] Sulla rinnovata vitalità dell’arte contemporanea a Roma si vedano anche gli articoli belli e preziosi di Saverio Verini, “A Roma sta ritornando l’arte contemporanea” (https://www.rivistastudio.com/roma-arte-contemporanea/; ultima consultazione 5/6/2021), e Nicola Gerundino, “Roma e la nuova spinta del contemporaneo” (https://zero.eu/it/news/roma-e-la-nuova-spinta-del-contemporaneo/; ultima consultazione 5/6/2021).