Autore
Ella Baffoni
pPubblico, dunque sociale
Il sociale come valore nella gestione dei beni comuni. E’ la proposta di Solid (rete cittadina dinamica) ha presentato all’assemblea convocata a Spin Time, l’occupazione di via santa Croce in Gerusalemme. In platea a discuterne insieme ai rappresentanti delle tante realtà sociali sotto sgombero in questa fine di anno anche – è questo il fatto nuovo – molti amministratori di Campidoglio e Municipi, che si sentono impegnati dalla recente campagna elettorale in cui la questione della famigerata delibera 140 del 2015 non è stato l’ultima delle questioni aperte.
Certo, l’attacco è a ampio raggio. Da una parte la Corte dei Conti che spinge le amministrazioni a esigere i canoni di affitto; dall’altra l’iniziativa privata – e anche semipubblica, per la verità, come quella di Rfi verso Scup – vivacizzata dalla speranza dei fondi del Pnrr, che vuol ridisegnare la città suggerisce che sarebbe bene che le realtà sociali facciano rete.
Bisogna riaprire il discorso sulla città pubblica
Ma non c’è solo questo. E’ anche l’occasione, in fondo, per ridiscutere della città pubblica, della condizione economica e pandemica che ha ridotto spazi e servizi sociali, e del processo di privatizzazione che avanza a spron battuto.
La proposta di Solid, generoso tentativo, ha alcuni punti di ingenuità. Propone: «Piuttosto che determinare un canone da applicare in maniera rigida – canone commerciale diminuito o canone sociale – sarebbe invece opportuno applicare una valutazione d’impatto sociale e ambientale degli interventi e dei progetti realizzati e da realizzare. L’integrazione dell’impatto nelle scelte di gestione strategica del patrimonio prevede che il canone sia commisurato sia alla capacità di generazione di valore economico da parte del soggetto che ne ottiene l’affidamento, sia alla capacità di generare impatti sociali e ambientali positivi. La misurazione dell’impatto sociale positivo, infatti, può essere opportunamente tradotta nel suo equivalente finanziario, adottando diversi criteri e indicatori ormai diffusi».
Una trappola. Innanzitutto perché misurare il valore d’impatto sociale non è cosa semplice; pur se affidato a una supercommissione che raccolga docenti universitari e tecnici, come stilare criteri inoppugnabili? E poi: non c’è il rischio che la valutazione si limiti a “scalare” dall’affitto un preteso costo del servizio reso, che si tratti di una scuola per stranieri, di un doposcuola per bambini, di una ludoteca, di una biblioteca e persino di alloggi popolari? Una sorta di subappalto senza gara, che alleggerisce, per di più, le spalle dell’amministrazione del compito di fornire adeguati servizi sociali.
Un passaggio rischioso
Lo conferma implicitamente l’ex assessore Luca Bergamo, che apprezza l’idea e fa l’esempio del verde pubblico. Non è pensabile, dice, che sia gestito tutto dall’Ufficio giardini, ben vengano associazioni e gruppi di cittadini che se ne prendono la responsabilità. Già, l’Ufficio giardini ora ha 150 dipendenti circa, la maggioranza più che cinquantenni. Un tempo erano tremila, e giovani; poi sono arrivati gli appalti per la manutenzione del verde, anche alle coop di Buzzi, e le assunzioni non le ha fatte più nessuno. E’ questo il modello che vogliamo?
Non è l’unico problema. I centri sociali sono spazi di libertà e conflitto, intervengono sui desideri, non solo sulla risposta ai bisogni, sottolinea Christian Raimo, assessore alla cultura del III municipio. Senza nulla togliere all’importante compito che si sono date le reti sociali durante il lock down, hanno distribuito i pacchi solidali per sostenere le nuove povertà e per cambiare il mondo, non per ottenere l’appalto della distribuzione.
Da Scup a Communia, pioggia di sgomberi
Se non produci soldi non esisti, è il grido appassionato di Sofia, di Scup. Realtà che abita in comodato d’uso un capannone Rfi e che ha ricevuto l’intimazione di sgombero entro il 31 dicembre: “Abbiamo ragionato, fatto progetti e proposte. Nessuna risposta. Al nostro posto arriveranno appartamenti, alberghi B&b, studenti privati. Eppure non avete idea di che fame di spazi ci sia in città. Noi abbiamo costruito uno spazio del possibile e lo abbiamo messo a disposizione. Ospitiamo assemblee, incontri, gruppi di artisti e filosofi, perfino riunioni di condominio. Roma non è eterna, sta collassando. Abbiamo bisogno di un’amministrazione che ami la vita, non il mercato, che dia spazi a tutti. Contro la fine di questa esperienza, il 21 assemblea pubblica”.
Bisogna che siano ritirate le proposte di sgombero e l’imposizione di affitti di mercato, incalza Giuseppe di Spinaceto. Lì c’è la palestra popolare di via Carlo Avorio, sotto sfratto, sabato assemblea pubblica.
E poi c’è Communia, che occupa le ex officine Piaggio a Scalo san Lorenzo. Anche loro hanno presentato un piano di ristrutturazione dopo un percorso di progettazione pubblica, approvato addirittura dal giunta comunale lo scorso agosto. Ma l’area andrà all’asta il 20 dicembre, e sono pronti ad aggiudicarsela il consorzio di proprietari che vogliono sostituire quei vecchi e fatiscenti capannoni con nuovi appartamenti. Mercoledì scorso a difesa di Scup assemblea pubblica.
C’è lo spazio, e l’ascolto delle amministrazioni, per aprire nuove strade
La valutazione del valore sociale non sarà praticabile, ma il problema che cerca di risolvere c’è, enorme. Certo non basta, ma è qualcosa, una sanatoria che intanto blocchi gli sfratti e rimetta in discussione i canoni esosi, dice Amedeo Ciaccheri, presidente del VIII municipio. Il patrimonio pubblico è vasto, e non adeguatamente censito. E al Pnrr devono partecipare non solo i grandi potentati, ma chi ha idee e creatività, chi esprime bisogni collettivi.
C’è in questo momento uno spazio in cui è possibile discutere di un nuovo strumento di gestione del patrimonio pubblico, dice Alessandro di Esc: non va perduta questa occasione. Ma dobbiamo saper costruire percorsi diversi per le diverse realtà, cittadinanza attiva, associazioni, realtà sociali, autogestioni.
“La 140 la possiamo anche stracciare. Ma una delibera la dobbiamo scrivere, o ce la scrivono loro”, dice Alessandro Luparelli, consigliere comunale impegnato nelle commissioni ambiente e cultura, che proviene da Spartaco. Sì, è questa la questione.
Una delibera. Ma anche una modifica allo Statuto comunale
Ha ragione Raimo, ci sono i desideri, non solo i bisogni. E gli amministratori pubblici non devono solo avere come faro il rendimento economico: la promozione della socialità è una primaria funzione pubblica alla quale deve essere dedicata una parte rilevante del patrimonio. Un principio che andrebbe affermato non solo nella nuova delibera, ma nello Statuto del Comune, con la chiarezza politica e la sapienza giuridica che sono sempre mancate. Solo in tal modo si potrebbe eliminare il commissariamento della Magistratura non solo contabile nel confronti del Comune dopo la vicenda Mondo di Mezzo.
La discussione continuerà, ma dovrà essere stringente, così da stendere una bozza in tre mesi, e ampia, così da coinvolgere il massimo possibile di realtà. Non solo centri sociali, ma associazioni e la parte “buona” del terzo settore, quella che non sfrutta e non specula. Perché il patrimonio pubblico è un volano importante per costruire l’effetto città, la sensazione di vivere vicini e solidali, scoprendo occasioni e incontri. Una ricchezza di cui la pandemia e i primi, durissimi mesi di lock down, ci hanno privato. Dunque ancora più preziosa, oggi e domani.
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