Autore

Cristiano Tancredi

A poca distanza dal Monumento Naturale Fossa della Cecchignola e il Parco dell’Appia Antica, nel bel mezzo dell’Agro Romano, si trova o meglio si trovava l’orto di Giulia.

Quest’esperienza è nata dalla determinazione di una giovane imprenditrice agricola, che mossa dalla voglia di rilanciare e difendere un patrimonio identitario: il terreno di proprietà della sua famiglia da circa cento anni, ha tentato di opporsi all’ennesima operazione di consumo di suolo e di “valorizzazione immobiliare” nella Capitale.

Tutto ebbe inizio quando nel 1992 si costituì il Consorzio Colle delle Gensole con l’obiettivo di edificare un comparto di 25 ettari per realizzare palazzi residenziali, in un’area situata all’interno del G.R.A. nel settore delimitato da via Ardeatina, via di Tor Pagnotta e via della Cecchignola[1].

Giulia e la sua famiglia avevano inizialmente sperato che questa esperienza non li riguardasse in prima persona, ma nel 2010 venne stipulata la Convenzione Urbanistica, con la quale i titolari dell’iniziativa poterono valersi degli espropri dei terreni dei proprietari non aderenti, per opere di interesse pubblico. Iniziò così un lungo braccio di ferro che è tutt’ora in atto.

Almeno cinque generazioni della famiglia Marocchini hanno coltivato queste aree, oltre a stabilirvisi ed è per tale motivo che l’imprenditrice ha rifiutato tutte le proposte di acquisto del suo terreno. Purtroppo, il 19 dicembre le ruspe si sono presentate sull’orto andando a distruggere tutti i prodotti invernali pronti per il raccolto, rendendo vane fatiche, ore di lavoro e andando a minare pesantemente i sogni di una giovane che invece di essere premiata per aver scelto di tornare a lavorare la terra, viene ostacolata con ogni mezzo dalla politica a più livelli.

 

[1] Le aree: “costituenti il Comprensorio Colle delle Gensole, risultano inserite tra quelle edificabili sin dal Piano Regolatore Generale del 1962 tra gli ambiti delle lottizzazioni convenzionate, zona E1” e a seguito dell’Accordo di Programma sottoscritto nel 2010 tra il Presidente della Regione Lazio e il Sindaco di Roma Capitale sono “compensazione di quota parte delle aree di proprietà ricomprese nell’ex comprensorio E1 “Tor Marancia” (fonte: www.colledellegensole.it).

Orto di Giulia distrutto dalle ruspe

Cosa sta accadendo a Roma?

Il rumore dello scasso delle ruspe della Cecchignola fa eco a quelle in azione, proprio negli stessi giorni, nel Parco delle Energie e Lago ex Snia.

Dinanzi a questi rinnovati appetiti edificatori, mai del tutto cessati nella città del mattone per eccellenza, quella che apparentemente sembra una lotta di poca importanza o un evento isolato frutto di diatribe locali si configura come una battaglia giusta da combattere per il destino dell’Urbe e un caso da far conoscere a tutta la cittadinanza, in quanto nel 2023 un progetto di edilizia residenziale su terre agricole, nel bel mezzo di fondamentali corridoi ecologici risulta essere decisamente illogico.

Quanto accaduto appare ancor di più una insopportabile beffa anche alla luce delle rinnovate attenzioni da parte dell’attuale amministrazione comunale su temi connessi alla tutela e potenziamento dell’agricoltura urbana e periurbana, che in una diversa visione di sviluppo di Roma, dovrebbe rafforzare la sua naturale vocazione di Capitale Agricola d’Europa, avvicinando a questo ramo del settore primario anche giovani lavoratori e lavoratrici[1].

Alla luce dei fatti descritti, appare più che logico chiedersi come sia possibile che vengano portati avanti progetti di nuova edilizia residenziale nell’agro romano in tempi in cui la limitazione al consumo di suolo e la rigenerazione urbana rappresentano assiomi condivisi dalla maggior parte degli studiosi e dall’opinione pubblica. Soprattutto è più che lecito domandarsi, a fronte delle numerose unità abitative inutilizzate situate nell’area comunale, quale sia il senso di continuare a costruire nuovi alloggi che rimarranno in gran parte invenduti o inaccessibili per tutta quella fascia di popolazione che si trova a vivere una condizione di emergenza abitativa.

Se come sosteneva qualcuno a pensar male a volte ci si azzecca, andando ad esaminare alcuni numeri i dubbi sulla bontà di queste operazioni non possono che aumentare. Come si legge, infatti, nel dossier sulla popolazione di Roma per l’anno 2021:

“La popolazione iscritta in anagrafe a Roma al 31 dicembre 2021 è pari a 2.813.365 unità, un ammontare in lieve calo rispetto alla stessa data del 2020 (-0,3%). Nel 2021 trova dunque conferma il decremento demografico rilevato a partire dal 2012, con la sola eccezione costituita dal lieve incremento registrato tra il 2015 ed il 2016 (+0,3%)”.[2]

La tendenza al 2022 non pare oltremodo mutare. Sono diverse le testate giornalistiche che, nell’anno appena concluso, hanno posto l’accento sulle dinamiche in atto nel Centro storico definendolo urbanisticamente e demograficamente parlando come moribondo[3].

 

[1] Il 24 ottobre 2022 si è svolta la II Conferenza cittadina sull’Agricoltura nella quale si è ribadita l’importanza di ripresa della vocazione agricola del comune di Roma, della valorizzazione del patrimonio rurale negli anni della transizione ecologica per contribuire alla crescita economica della città e fornire una risposta alla crisi climatica in atto. (fonte: www.isprambiente.gov.it)

[2] https://www.comune.roma.it/web-resources/cms/documents/Popolazione_Roma_2021_AS.pdf.

[3] A titolo di esempio: https://roma.corriere.it/notizie/cronaca/22_marzo_12/istat-impietoso-centro-meno-un-bambino-ogni-100-abitanti-b0874b14-a183-11ec-a587-4d905bf0cebb.shtml e https://www.romatoday.it/dossier/economia/roma-sta-morendo-calo-demografico.html.

La città che avanza

Andando poi ad analizzare i dati recentemente forniti sul consumo di suolo nella Capitale, la situazione appare più che allarmante e non si capisce da quando dovrebbe iniziare il tanto auspicato consumo 0, il quale appare, attualmente, poco più che un retorico spot elettorale[1].

Oltretutto, nelle dinamiche eterodirette di espansione della città continua a stupire la totale assenza di una visione sistemica e si interviene incuranti delle conseguenze strutturali, economiche e sociali che un’urbanizzazione sconnessa, a caccia della massima rendita fondiaria, ha comportato negli anni. A tal proposito come affermava Vittoria Calzolari: “Terre, acque, boschi, campagne, parchi, costruzioni e luoghi storici, percorsi, tendono ad essere visti nella loro interrelazione e integrazione come parti di un’unica struttura e di un progetto unitario: tale concetto vale sia per il progetto di conservazione del paesaggio storico che per il progetto di creazione di nuovi paesaggi[2]”.

La “Linea rossa”

Ancora una volta, richiamando quella che è passata alla storia come la “battaglia di Tor Marancia”, si torna a parlare delle compensazioni che aleggerebbero come un minaccioso spettro sull’Urbe. Se il vincolo dei Beni Culturali riconobbe l’inedificabilità dell’area verde senza indennizzo per i proprietari, come ricorda Francesco Erbani:

“L’amministrazione comunale di Roma, gli uffici tecnici e i consulenti hanno infatti ritenuto che le edificabilità previste nel Piano Regolatore del 1962 fossero, nel 2008, ancora perfettamente vigenti[3]”.

Dinanzi a ciò, urbanisti come Edoardo Salzano e Vezio De Lucia hanno sostenuto che: “L’edificabilità è sancita da un Piano sulla base di condizioni demografiche, economiche, produttive che, se mutate, la fanno venir meno. Un Piano deve fissare una serie di regole per l’uso di un territorio che ha validità finché il Piano è in vigore e dunque per un periodo di tempo definito. Quando di Piano se ne fa un altro si verifica se quelle regole e quelle destinazioni sono ancora valide e solo in questo caso si confermano, altrimenti si annullano”[4].

A tal proposito Vezio De Lucia, nel suo ultimo libro, avanza una pragmatica proposta che non può che essere condivisa. Si tratta di tracciare su una mappa, approvata con deliberazione del consiglio comunale, una linea rossa con l’obiettivo di delineare il confine invalicabile tra l’edificato e lo spazio rurale[5].

D’altronde, come Giulia non smette mai di ricordare attraverso la sua tenace resistenza, controbattendo ad una strisciante ideologia di progresso, i nuovi palazzi non sono la modernità.

 

[1] Secondo il Rapporto ISPRA: “Nel 2021, rispetto all’anno precedente, a Roma sono stati consumati ben 105,377 ettari di suolo, una superficie pari a 150 campi di calcio”. (Fonte: https://www.dire.it/05-10-2022/803198-a-roma-nel-2021-un-consumo-di-suolo-pari-a-150-campi-da-calcio).

[2] Calzolari V. 1999, Storia e natura come sistema, Argos, Roma.

[3] Erbani F. 2013, Roma. Il tramonto della città pubblica, Laterza, Roma – Bari.

[4] Ibidem

[5] De Lucia V., L’Italia era bellissima. Città e paesaggio nell’Italia repubblicana, DeriveApprodi, 2022, Roma.