Autori
Lorenzo Paglione, Angelo Nardi, Livia Maria Salvatori
Le dinamiche di salute in ambiente urbano rispondono perfettamente al concetto di complessità. Studiarle, comprenderle e soprattutto diffonderne la conoscenza è fondamentale per migliorare lo stato di salute della popolazione urbana.
L’epidemiologia è una scienza urbana. Generalmente, le origini dell’epidemiologia moderna vengono infatti ricondotte a John Snow, medico inglese che proprio attraverso una innovativa rappresentazione geografica di un evento epidemico ne identificò la fonte (in tutti i sensi [1]), permettendo, prima ancora della scoperta dei microorganismi, una completa risoluzione della stessa (e parzialmente identificandone anche empiricamente le cause). Igiene, epidemiologia e statistica sono alla base della nascita dello stato moderno, e della moderna concezione urbana. Assieme alla psichiatria hanno guidato le discutibili scelte di ‘risanamento’ dei grandi centri urbani europei, in cui in nome dell’igiene venivano sventrati i centri storici medioevali, ed espulse dagli stessi le “classes dangereuses”. L’igiene e l’epidemiologia guidarono la nascita dell’urbanistica come disciplina, ed in generale permisero un notevole miglioramento delle condizioni di vita nelle città anche grazie agli sforzi di una nuova generazione di professionisti guidati dai principi del socialismo, da Virchow a Celli, grazie soprattutto alla sistematizzazione delle reti di acque potabili e reflue, al generale miglioramento del comfort abitativo ed alla fortissima azione di contrasto alla malaria (Celli stesso fu deputato socialista del Regno D’Italia, e fece approvare la norma per la produzione del chinino antimalarico di stato [2]). Ma oggi la disciplina dell’Igiene, Epidemiologia e Sanità Pubblica, più in crisi che mai, ha la necessità di riscoprire queste origini per dare nuovo slancio al proprio ruolo sociale, ed ancora una volta l’occasione è offerta dall’urbano.
La salute di popolazione è un elemento complesso, influenzata dai determinanti sociali di salute, a loro volta distribuiti in modo diseguale secondo il gradiente delle classi sociali. Istruzione e reddito rendono conto in larga parte delle disuguaglianze sociali in salute: chi si trova più in alto nella scala sociale ha un’aspettativa di vita più lunga ed in una condizione di salute migliore di chi si trova più in basso [3, 4]. Le forme di accumulazione di capitale, sociale, economico e biologico, alla base dello stato di salute di ciascuna persona, determinano, dunque, un gradiente di salute [5]. Questo si riflette nei contesti urbani – ma non solo – in una vera e propria geografia delle disuguaglianze sociali in salute. Come ripetutamente sottolineato da chi da anni si occupa del tema delle disuguaglianze sociali in salute, è fondamentale, in prima battuta, far emergere queste disuguaglianze attraverso studi, valutazioni, ricerche. Questo permette, in primis, di fornire evidenze ai decisori politici, così da affrontare attraverso politiche intersettoriali la questione (anche perché, oggi, praticamente tutto il peso delle disuguaglianze sociali ricade, in ultima battuta, sul Servizio Sanitario Nazionale). In secondo luogo, e questo è un dato molto spesso sottovalutato, fornisce ai soggetti che ne sono direttamente interessati gli strumenti per comprendere le proprie condizioni di vita e di salute, con la possibilità di rompere quello schema colpevolizzante e stigmatizzante con cui, ad esempio, sono trattati gli stili di vita scorretti, o le patologie psichiatriche (visto che entrambe queste condizioni hanno una fortissima componente sociale, del tutto indipendente dalla volontà della singola persona che le subisce). Per fare ciò sono però necessari alcuni presupposti, che dovrebbero essere alla base del funzionamento delle istituzioni sanitarie. Una chiave di volta potrebbe essere quella di migliorare la capacità di lettura dei contesti attraverso l’integrazione tra l’epidemiologia, i real world data, ovvero quelle informazioni, opportunamente trasformate in dati, provenienti dai processi urbani e comunitari quotidiani, e le statistiche amministrative correnti. Questa integrazione potrebbe riuscire, finalmente, a collegare un mondo fortemente caratterizzato dal dato quantitativo con l’analisi qualitativa, trasformando in informazioni fruibili i contributi, in termini di lettura, avvenimenti e percezioni, che provengono ad esempio dalle realtà associative, dai comitati di quartiere, e dalle singole persone o comunità. Tutte queste informazioni devono poter essere tradotte in indicatori, e questi indicatori devono essere fruibili dalla cittadinanza, dalle associazioni, ma soprattutto dagli enti e dalle istituzioni preposte al governo del territorio.
Disponibilità di dati
Oggi è molto complesso accedere ai dati sanitari. Non che non ve ne siano. L’intero Servizio Sanitario genera infatti una enorme mole di cosiddetti flussi informativi sanitari, veri e propri fiumi di dati soprattutto con finalità amministrative e di rendicontazione economica. E’ possibile già oggi, ricondurre alla singola persona la sua storia sanitaria, i ricoveri, il consumo di farmaci, le visite specialistiche ambulatoriali, e tutte queste indicazioni, attraverso algoritmi, possono essere utilizzate, ad esempio, per stimare in una data popolazione la prevalenza delle patologie croniche, i tassi di ospedalizzazione ed accesso in pronto soccorso [6, 7], ma anche valutare eventuali diagnosi specifiche, spia di problematiche relative all’accessibilità ed al contatto con i servizi di cure primarie [8].
In termini pratici, sebbene molte di queste stime e indicatori, calcolati nell’ambito di programmi o di iniziative regionali (come il Programma Regionale di Valutazione degli Esiti[1] o OpenSalute Lazio[2]), siano già disponibili a livello di comune, ASL e, nel caso di Roma, municipio, un passaggio cruciale sarebbe rappresentato dalla condivisione e dall’utilizzo di queste metodologie, oltre che dei loro risultati, anche all’interno dei servizi e delle organizzazioni operanti nel territorio, con il fine ultimo di fornire un supporto strategico e di guidarne le azioni. Sono infatti il livello di dettaglio geografico e il contesto in cui questi indicatori vengono calcolati e discussi a determinarne, in maniera tutt’altro che marginale, le ricadute operative. Riguardo al livello di dettaglio geografico, il solo passaggio da un livello di macroarea (che, nel Comune di Roma, può essere rappresentato dal Distretto socio-sanitario, cioè l’articolazione territoriale delle Aziende Sanitarie Locali, che in termini di estensione e popolazione corrisponde al Municipio) a uno di dimensioni più contenute (ad esempio le sezioni di censimento o aggregati delle stesse, a definire quartieri ed aree più o meno omogenee) avrebbe un impatto sostanziale per gli operatori, sanitari e sociali, del territorio. Se, ad esempio, alle stime di prevalenza già disponibili per Municipio, che nel caso di Roma non hanno alcuna significatività urbanistica, o geografica, o statistica, a causa della composizione stessa dei Municipi, si affiancassero, in maniera complementare, quelle per aree sub-distrettuali, alle finalità attuali di informazione, confronto e audit sui dati, si potrebbero associare, con più facilità, anche quelle di committenza da parte delle direzioni di Distretto, nonché di programmazione di interventi socio-sanitari tailored su popolazioni o aree specifiche. Riguardo al contesto, l’integrazione quali-quantitativa di questi strumenti con la conoscenza del territorio da parte degli operatori, della ASL, del Municipio o di organizzazioni del terzo settore, già nella fase di costruzione degli indicatori stessi, rappresenterebbe un valore aggiunto per una loro elaborazione e restituzione più efficiente ed efficace. I tempi per la realizzazione, quanto mai auspicabile, di questo ulteriore salto in avanti nell’utilizzo dei dati sembrano essere ormai maturi, stando anche a quanto emerge dal Decreto del Ministero della Salute 23 maggio 2022, n. 77, “Regolamento recante la definizione di modelli e standard per lo sviluppo dell’assistenza territoriale nel Servizio sanitario nazionale” (in gergo “DM 77”, cioè il Decreto che riorganizza, sulla base delle indicazioni del PNRR, il cosiddetto “territorio”, ovvero le forme di assistenza extra-ospedaliere) che sottolinea, tra l’altro, l’importanza della stratificazione della popolazione e della conoscenza delle condizioni demografiche dei territori come strumento di analisi dei bisogni.
Ma quali aggregati geografici utilizzare?
Appare chiaro quindi come si possa leggere un contesto su più livelli, a partire però sempre dalla disponibilità di metodologie e di strumenti di raccolta dati funzionali (e funzionanti). Per fare un esempio, da un punto di vista censuario, Roma è tradizionalmente suddivisa in oltre 13.000 sezioni di censimento. A tal proposito, è utile chiarire come, seppur non più attive per quanto riguarda quello che oggi è il “Censimento permanente popolazione e abitazioni” dell’Istat, le sezioni di censimento sono state per lungo tempo utilizzate in ambito sanitario nel contesto romano, permettendo l’integrazione di dati sanitari e censuari. Ad oggi, la facile reperibilità dei perimetri delle sezioni di censimento, unita al loro ampio utilizzo nel passato, che determina la possibilità di accedere a serie di confronto retrospettive, determina, a Roma, una loro “sopravvivenza” in campo sanitario. Le sezioni di censimento hanno circa la dimensione di un isolato nelle aree di città consolidata, mentre crescono come dimensioni, fino a comprendere più complessi residenziali nelle aree a ridosso e fuori dal GRA. Queste sezioni di censimento, come anticipato, non sono aggiornate dal 2011, in seguito al passaggio dal Censimento “generale”, rivolto a tutta la popolazione, a quello “permanente”, su base campionaria, e da un punto di vista di ricerca questa è una perdita enorme di dettaglio territoriale del dato, in particolare per i comuni come Roma, dove il dato aggregato non ha alcuna significatività, mentre ovviamente la città ha continuato a consumare suolo ed a crescere. Nelle aree extra-GRA, infatti, oramai anche le stesse sezioni di censimento non hanno alcun valore informativo, in quanto coprono contesti anche differenti tra loro. Un altro elemento a favore dell’attuale utilizzo delle sezioni di censimento è la corrispondenza univoca tra le stesse, le Zone Urbanistiche e i Municipi, in quanto ciascuna suddivisione contiene perfettamente i perimetri della precedente. Questo, ad esempio, permette di dare una localizzazione univoca alla popolazione, in quanto il dato della residenza è “agganciabile” a quello sanitario ed alla sezione di censimento, e le sezioni sono aggregabili in Zone Urbanistiche, e queste a loro volta aggregabili in Municipi. Iniziano a sorgere, però, dei problemi nel momento in cui si vuole effettuare una valutazione più granulare della composizione di popolazione della città. Un’ulteriore perimetrazione, ad esempio, disponibile dal sito del Comune di Roma, è quella dei Piani di Zona. In questo caso, ad esempio, i perimetri dei Piani di Zona non corrispondono ai perimetri delle sezioni di censimento, e, a volte, un PdZ ricade in più Zone Urbanistiche, e pertanto questi sono studiabili solo assumendo dei limiti metodologici. Questo per esempio non permetterebbe l’istituzione, a meno di una revisione dei perimetri delle aree, di uno strumento di approfondimento mirato alle aree di fragilità sociale, come ad esempio quello disponibile in Francia, con gli interventi sui quartieri prioritari e le Zone Urbane Sensibili. Un ulteriore strumento, in uso anche nel contesto romano, riguarda la sovrapposizione di griglie, suddivisioni arbitrarie del territorio che possono permettere una lettura più specifica di un contesto o dei quartieri, pur senza delimitare delle aree territoriali specifiche, come nel caso del lavoro di mappatura preliminare per quanto riguarda “la città dei 15 minuti” [REF[3]].
Un ulteriore problema deriva dall’incompatibilità tra gli strumenti di rilevazione. Un esempio riguarda gli incidenti stradali, dove le persone coinvolte non vengono “tracciate”, ovvero non vengono registrati i codici fiscali, o comunque questi non sono disponibili neanche nei flussi informativi (protetti per privacy). Questo non permette, ad esempio, di seguire l’evoluzione degli esiti di un incidente, e pertanto le lesioni ed i costi sanitari diretti non possono essere conteggiati ma soltanto stimati, limitando (e di tanto) la possibilità di lettura ed emersione del fenomeno (ricordiamo come a Roma si verifichino oltre 11.000 incidenti stradali l’anno – per i quali siano state chiamate le forze dell’ordine, unica eventualità che determina la registrazione dell’evento – con oltre un centinaio di morti e 13.000 feriti), e quindi il suo governo, anche in termini di percezione del rischio da parte della popolazione. Un altro esempio riguarda il mercato immobiliare. Vi sono già delle preliminari evidenze di associazione tra valore degli immobili ed esiti di salute [9], ma gli studi risentono sempre di un problema di perimetrazione delle aree, in quanto i dati OMI dell’Agenzia delle Entrate sono basati su aree differenti dalle Zone Urbanistiche, e soprattutto non aggiornate rispetto alla crescita frammentata della città. Ancora una volta, muoversi su perimetri comuni, anche integrando banche dati delle sempre più pervasive piattaforme di mercato immobiliare (o di affitti brevi) potrebbe permettere una più profonda conoscenza del contesto ai fini dell’intervento pubblico.
Ribaltare l’asimmetria nel datapower
Vi è un “però”. Perché, infatti, l’utilizzo dei dati sociosanitari per le finalità di programmazione delle attività, incluse quelle di prevenzione, sebbene possa sembrare legittimo e, come detto, auspicabile, al di là di problematiche organizzative e di competenze presenti nelle Amministrazioni, non è esente da problematiche legate alla privacy. L’identificazione di aree o gruppi di popolazione in cui una concentrazione di fattori di rischio o di outcome di salute negativi possa far necessitare un intervento tailored, cioè mirato, può rientrare nella cosiddetta “medicina di iniziativa”, approccio proattivo alle questioni di salute, basato sull’anticipazione (predizione) delle problematiche di salute invece che sulla loro attesa, auspicato da molti documenti di indirizzo e normative [10, 11, 12], ma che stenta a prendere piede nella realtà quotidiana dei Servizi Sanitari Regionali. Tra i motivi dell’accoglienza tiepida che tale approccio riscuote nei contesti sanitari vi è senza dubbio la difficoltà nella gestione del trattamento dei dati, difficoltà che, ad esempio, la ASL Toscana Sud-Est ha – letteralmente – dovuto sperimentare a proprie spese: nel 2020, un’ingiunzione del Garante della Protezione dei Dati Personali, dopo un riscontro di una illiceità nel trattamento dei dati, dovuta principalmente a questioni tecniche nella gestione dei dati, ha dovuto non solo interrompere un progetto sperimentale di medicina di iniziativa in collaborazione con i Medici di Medicina Generale del territorio, ma anche vedersi sanzionare per la cifra di 100.000 euro [13]. In modo simile, nel 2022 il Garante ha ammonito la Regione Lazio, rea di aver effettuato elaborazioni di dati personali (essenzialmente l’aggregazione di dati sanitari) e di averli inviati, dietro richiesta, al Ministero della Salute, nell’ambito di un programma di medicina predittiva, senza aver effettuato tutti i passaggi tecnici (valutazione di impatto) che, secondo la normativa vigente sulla privacy, sono in capo al titolare del trattamento dei dati. Insomma, l’invito affinché le Pubbliche Amministrazioni concepiscano un nuovo modo di intendere i dati, da cui possa emergere un nuovo paradigma per la prevenzione e l’assistenza, viene reso pubblico a gran voce; d’altro canto, però, le ASL e le Regioni si trovano prive di risorse (in alcuni casi normative: la già citata L.17/2020, al fine dell’elaborazione di modelli di medicina predittiva, rimanda all’emanazione di un regolamento ad hoc; il Garante, in più occasioni, ha stabilito che la stratificazione della popolazione e l’identificazione di categorie potenzialmente target di interventi devono essere considerate finalità di utilizzo dei dati ulteriori rispetto a quelle strettamente necessarie alle ordinarie attività di cura e prevenzione, imponendo, con questa interpretazione, notevoli ostacoli tecnici alla loro esecuzione [14, 15]. Per affrontare le questioni tecniche dell’elaborazione dei dati, subendo moniti e interruzioni di progetti sperimentali che, alla luce della finalità dell’interesse pubblico che perseguono, lasciano l’osservatore perplesso, soprattutto in confronto all’utilizzo, all’apparenza ben più disinibito, che grandi colossi nel privato profit sembrano fare dei dati personali dei propri utenti.
Siamo di fronte ad un vero e proprio paradosso, per cui, a fronte di un datapower immenso delle piattaforme digitali, dei motori di ricerca ed in generale del privato for-profit, il pubblico arranca, bloccato, come anticipato, da vincoli esterni come ad esempio il sacrosanto diritto alla privacy (che però risulta ancora una volta fortemente asimmetrico tra pubblico e privato) ed il limite interno di una fortissima frammentazione tra Pubbliche Amministrazioni, e tra queste e gli enti di ricerca, senza riuscire a svolgere un ruolo perlomeno di guida rispetto all’utilizzo che la collettività può fare di questi dati. Ed è ovviamente proprio l’ambito sanitario quello più attivo in questo momento, con un settore privato trae potere e profitto proprio da quel dato biometrico, a partire dagli smartwatch o da altri sistemi di rilevazione interconnessi, all’interno di un immenso mercato, riguardante la rilevazione – e l’analisi – del dato biometrico individuale, in un settore che, già oggi, vale oltre 200 miliardi di dollari al livello globale, con una crescita stimata, in particolare per quanto riguarda il segmento di rilevazione ed analisi tramite Intelligenza Artificiale, di quasi il 20% annuo.
Orientare la tipologia di informazioni per orientare la programmazione e l’intervento
Ma non si tratta solo di ridefinire i perimetri dell’utilizzo dei dati. Crediamo che accanto a queste informazioni vada infatti considerato l’approccio della cosiddetta citizen science, che riguarda ancora una volta l’utilizzo scientifico delle informazioni provenienti direttamente dalla cittadinanza, ma soprattutto la capacità della cittadinanza partecipe di definire le domande di ricerca stesse, orientando l’azione e ristabilendo le priorità delle amministrazioni. In questo senso, ovviamente, bisogna considerare soprattutto la capacità di maneggiare il dato qualitativo, proveniente da sensazioni, pareri, pensieri, espressi attraverso ad esempio focus-group (anche nell’ambito di progetti di ricerca-azione, in cui è proprio ciò che pensa la popolazione ad orientare la ricerca [16]), spesso considerato comunque uno strumento subalterno al quantitativo, molto spesso più per una difficoltà intrinseca nel suo utilizzo (e per una effettiva difficoltà nel pubblicare il dato qualitativo, specialmente nell’ambito delle riviste biomediche) più che per intrinseci limiti reali nella sua veridicità. Il presupposto fondamentale è quindi partecipazione attiva della popolazione. Vi sono già oggi campagne partecipate per raccogliere informazioni sull’inquinamento dell’aria, sulla qualità delle aree verdi, senza contare la capacità di costruzione partecipata di competenze che deriva dai percorsi sugli orti urbani, dai comitati di promozione della mobilità ciclabile ecc. Tutti questi saperi, nati dal basso e dalla partecipazione, devono poter divenire parte di un percorso scientifico, capaci di trasformarli in evidenze per metterli a servizio del cambiamento. La capacità quindi di integrare qualitativo e quantitativo, in un ciclo di feedback costante, diviene cruciale per poter comprendere e governare la complessità delle città, ma soprattutto per garantire una costante capacità di inclusione e partecipazione all’interno dei processi decisionali, questione assolutamente non più rimandabile (come già spiegato ad esempio a proposito dei contributi sul Dibattito Pubblico[4] e sul destino dell’area dell’Ex-SNIA[5])
Una proposta per Roma
Crediamo quindi che sia venuto finalmente il momento di superare gli steccati rispetto alla proprietà dei dati da parte degli enti che li registrano, non solo per una migliore integrazione e utilizzo dei dati stessi, ma anche e in primo luogo per la condivisione di obiettivi e metodologie comuni tra gli enti e le organizzazioni che li producono. A questo scopo, sarebbe importante iniziare da una “mappatura” dei dati urbani disponibili, seguita da una fase istruttoria sotto forma di vero e proprio audit sulla qualità degli stessi, a partire dalla loro origine, fino alla loro raccolta, lettura e utilizzo nel più totale rispetto della privacy. Questo è fondamentale in quanto oggi abbiamo una fortissima dispersione delle fonti dati, una grande mancanza di omogeneità nella loro raccolta, e tante “fonti silenti”, istituzionali e non, come ad esempio i Dipartimenti di Prevenzione o i Distretti Sanitari delle ASL, ma anche le associazioni di categoria, e soprattutto le associazioni di cittadini ed i comitati di quartiere.
In questa fase, i soggetti istituzionali, al termine di una prima identificazione delle possibili linee di attività, potrebbero aprire ad una call per la cittadinanza, al fine di trovare delle soluzioni condivise per lo sviluppo di sistemi integrati di raccolta ed analisi. Dal processo di audit, in cui si dovrebbe agire, come esposto in precedenza, anche con strumenti amministrativi o adattando gli attuali alle esigenze, dovrebbe poi scaturire una grande fase di riflessione partecipata per lo sviluppo di nuove metodologie, che integrino la lettura qualitativa e quella quantitativa. Vi sono dei tavoli già aperti, a partire dalle problematiche anche già esposte in passato, da chi si è interrogato rispetto soprattutto a “cosa” studiare, e come definire degli ambiti di intervento. Al livello istituzionale comunale sicuramente è interessante l’iniziativa relativa all’Osservatorio sulla condizione abitativa, con tutto il lavoro che sta svolgendo il Dipartimento per la Partecipazione e la Città dei 15 Minuti sullo sviluppo di strumenti digitali necessariamente flessibili, ma serve sicuramente imprimere una forte accelerazione in tal senso, anche coinvolgendo altre amministrazioni che si occupano di gestione di dati e flussi informativi, come appunto quella sanitaria.
Il vero e proprio scontro che si è consumato ad esempio sulla rilevazione, l’utilizzo, l’analisi e l’interpretazione dei dati durante la pandemia, se anche può fare storcere il naso a più di qualcuno, ha rappresentato comunque un momento in cui la popolazione si è interrogata, in alcuni casi sicuramente ponendosi delle domande sbagliate (anche a causa di un dibattito tra “i virologi” piuttosto deprimente), sul senso di quei numeri, e forse sul senso dei dati in generale. Diffondere le competenze epidemiologiche non vuol dire “solo” riuscire ad interpretare (o comunque farsi un’idea) di ciò che ci circonda, significa anche riappropriarsi di una quota di potere e controllo sulle proprie vite. A Roma in particolare occorre attivare processi, attraverso un forte coordinamento stabile tra i tanti enti, le tante associazioni, istituzioni, e la cittadinanza con l’obiettivo di arrivare a parlare uno stesso linguaggio tra livelli amministrativi, ed attori differenti, al fine di migliorare le prospettive di attività delle amministrazioni, il funzionamento degli enti e dei servizi, ed in generale la qualità della vita della popolazione anche attraverso la comprensione e la lettura multidimensionale del territorio. La spinta del PNRR verso la digitalizzazione della Pubblica Amministrazione (che pure deve recuperare un ritardo incredibile), e comunque la maggiore sensibilità dimostrata sul tema dalle amministrazioni, oltre che la grandissima ricchezza rappresentata dall’accademia e dall’associazionismo, possano (e debbano) imprimere una decisa spinta in questa direzione, pena la totale ingovernabilità e frammentazione dei processi urbani.
Bibliografia
1 Koch T. & Denike K. (2009) Crediting his critics’ concerns: Remaking John Snow’s map of Broad Street cholera, 1854. Social Science & Medicine 69: 1246-1251.
2 Angelo Celli. Nascita di una scienza della politica sanitaria. A cura di Stefano Orazi, Università La Sapienza editore, Roma 2014.
3 Jeanne, L., Bourdin, S., Nadou, F., & Noiret, G. (2022) Economic globalization and the COVID-19 pandemic: global spread and inequalities. GeoJournal [Doi: 10.1007/s10708-022-10607-6].
4 Horton, R. (2020). COVID-19 is not a pandemic. The Lancet, 396(10255), 874.
5 Vineis P, Kelly-Irving M. Biography and biological capital. Eur J Epidemiol. 2019 Oct;34(10):979-982. doi: 10.1007/s10654-019-00539-w.
6 Calandrini E, Paglione L, Bargagli AM, Agabiti N, Battisti A, Salvatori LM, Marceca M, Brandimarte MA, Di Rosa E, Iorio S, Davoli M, Cacciani L (2023). Does Urbanization correlate with health service assistance? An observational study in Rome, Italy. In: Battisti, A., Marceca, M., Ricotta, G., Iorio, S. (eds) Equity in Health and Health Promotion in Urban Areas. Green Energy and Technology. Springer, Cham. https://doi.org/10.1007/978-3-031-16182-7_6
7 Paglione L, Bargagli AM, Agabiti N, Calandrini E, Salvatori LM, Marceca M, Baglio G, Brandimarte MA, Iorio S, Davoli M, Cacciani L. Urban health and inequalities in highly socially marginalised settings in Rome. Epidemiol Prev 2020; 44 (5-6) Suppl 1:38-44. doi: 10.19191/EP20.5-6.S1.P038.072.
8 Caminada S, Turatto F, Iorio S, Paglione L, Errigo M, Mazzalai E, Jaljaa A, Giannini D, Tofani M, Michelazzo MB, Landi A, Napoli M, Brandimarte MA, Salvatori LM, Angelozzi A, Baglio G, Di Rosa E, Battisti A, Marceca M. Urban Health and social marginality: perceived health status and interaction with healthcare professionals of a hard-to-reach community living in a suburban area of Rome (Italy). Int. J. Environ. Res. Public Health 2021, 18, 8804. DOI: 10.3390/ijerph18168804
9 Cesaroni G, Venturini G, Paglione L, Angelici L, Sorge C, Marino C, Davoli M, Agabiti N. Differenziali di mortalità a Roma: il ruolo dell’istruzione e dei prezzi immobiliari del quartiere di residenza [Mortality inequalities in Rome: the role of individual education and neighbourhood real estate market]. Epidemiol Prev. 2020 Sep-Dec;44(5-6 Suppl 1):31-37. Italian. doi: 10.19191/EP20.5-6.S1.P031.071. PMID: 33415944.
10 Patto per la salute 2019-2021, approvato dalla Conferenza Stato Regioni, seduta del 17/12/2020
11 Ministero della Salute. Direzione regionale per la programmazione sanitaria. Piano Nazionale della Cronicità. Accordo tra lo Stato, le Regioni e le Province Autonome di Trento e di Bolzano del 15 settembre 2016.
12 L. 17 luglio 2020, n. 77. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34, recante misure urgenti in materia di salute, sostegno al lavoro e all’economia, nonché di politiche sociali connesse all’emergenza epidemiologica da COVID-19.
13 Garante per la protezione dei dati personali. Ordinanza ingiunzione nei confronti di Azienda Unità Sanitaria Locale Toscana Sud Est, del 17 dicembre 2020, doc. web n. 9529527
14 Garante per la protezione dei dati personali. Parere sul disegno di legge della Provincia autonoma di Trento che reca specifiche disposizioni in materia di medicina di iniziativa, dell’8 maggio 2020, doc. web n. 9344635
15 Garante per la protezione dei dati personali. Provvedimento correttivo e sanzionatorio nei confronti dell’Azienda Universitaria Friuli Occidentale, del 15 dicembre 2022, doc. web n. 9844989
16 Paglione L, Cacciani L, Baglio G, Brandimarte MA et al. Characterising a Setting with a High Level of Informality, Integrating National and Specialised Surveys, Administrative and Census Data. Urban Health: Participatory Action-research Models Contrasting Socioeconomic Inequalities in the Urban Context, Springer, 2020. 10.1007/978-3-030-49446-9_6.
[1] https://www.dep.lazio.it/prevale2021/
[2] https://www.opensalutelazio.it/salute/
[3] https://izilab.it/citta15minuti/
[4] https://www.ricercaroma.it/partecipazione-al-seminario-il-dibattito-pubblico-alla-prova-delle-prime-esperienze/
[5] https://www.ricercaroma.it/la-citta-al-bivio-tra-nuovo-cemento-e-sfida-climatica-ancora-minacciata-la-tutela-del-lago-bullicante-ex-snia/