
© Maria Teresa Carbone
L’analisi condotta dal dossier di Roma Ricerca Roma su “Energie e reti a servizio della città” in tema di mobilità, sintetizza bene, sotto il profilo urbanistico-insediativo, tutte le criticità di questo atavico problema, per la Capitale.
Non c’è molto da aggiungere dunque su questa parte analitica del documento: a incidere pesantemente sull’insufficienza dei trasporti sono sia il diradamento urbano, sia i nuovi insediamenti sempre più esterni al tessuto consolidato e al Gra. Elementi che rendono strutturalmente complicato servire in modo capillare ed efficiente un abitato così rarefatto e frammentato.
C’è peraltro da sottolineare la gravità di questa situazione, per Roma. Perché Roma è l’unica grande capitale europea che soffre un problema del traffico di queste dimensioni. Non succede così a Londra, Parigi, Madrid, Berlino, dotate di una capillare rete su ferro, in cui l’uso del mezzo privato è assai più limitato.
Ma qual è, oltre al fattore urbanistico-insediativo, l’altro elemento derivato, che concorre a peggiorare le cose? È la scelta strategica della gomma e non del ferro.
Roma è la seconda città più estesa d’Europa in quanto a perimetro urbano, e con queste dimensioni l’unico sistema davvero efficace per la mobilità è proprio quello delle metropolitane. Sono infatti proprio questi i vettori adatti trasportare le grandi masse in movimento: una linea metro può trasportare, come ordine di grandezza, 25.000 passeggeri per ora per direzione, contro i 2.000 di una linea autobus in piena efficienza. E Roma ha pochissimi chilometri di metropolitane in relazione alla sua superficie, mentre ha investito, manco a dirlo, proprio sugli autobus. Una rete assai capillare, che però non è affatto in grado di sopperire alla domanda di mobilità, anche per i problemi legati all’intrinseca capacità del mezzo.
Nel dossier si accenna al “ritardo storico” di Roma sulle metropolitane. I motivi sono principalmente due.
Uno è legato alla questione archeologica. Ha ragione Walter Tocci quando sostiene che questo oggi non deve essere più considerato un problema, ma un’opportunità. Perché tecnicamente esiste il “metodo Roma” (fare i tunnel sotto lo strato archeologico limitando moltissimo gli scavi a cielo aperto); perché l’archeologia sfrutta i benefici di sondaggi che altrimenti non potrebbe fare; e infine perché abbiamo l’opportunità di esporre reperti e rovine altrimenti destinati a rimanere nascosti.
Però se questo è senz’altro vero, d’altra parte non possiamo sottacere che l’archeologia è stato un grande problema in passato, e tuttora costituisce un aggravio, in termini di tempi e di costi di realizzazione.
L’altro motivo è legato al fatto che le metropolitane ipogee sono convenienti quando “fanno carico”: se c’è densità abitativa, il carico è concentrato entro brevi distanze e l’operazione costa meno; se invece per fare carico occorre percorrere superfici molto estese perché la città si sviluppa su lunghe direttrici o perché il modello insediativo si configura “a macchia d’olio” (entrambe caratteristiche di Roma, appunto), allora il tutto diventa assai più costoso.
Considerato quindi questo quadro d’insieme, occorre ragionare se esista un altro modo per riguadagnare il divario accumulato nel tempo, in termini di mobilità.
Le soluzioni individuate da Roma Ricerca Roma con il dossier sulle reti sono tutte apprezzabili e necessarie: la mobilità condivisa, le ciclabili, le reti tranviarie. Ma proprio perché incidono sui numeri in modo limitato e assai graduale, non saranno mai sufficienti se non vengono accompagnate da interventi davvero risolutivi, capaci di colmare, in modo ben più conveniente, la carenza di trasporto metropolitano.
E questo noi riteniamo che sia possibile. Lo diciamo sulla base di un lavoro che abbiamo condotto per oltre quattro anni (www.metroviaroma.it), realizzando un modello che può portare a ottenere le nuove linee metropolitane in superficie, adottando la filosofia del riuso: sfruttando la capacità delle ferrovie esistenti (le due ferrovie concesse, la tratta urbana di quattro linee regionali e una linea merci attuale assai scarica) è possibile sdoppiare il servizio esistente, principalmente appannaggio dei pendolari, affiancando agli attuali treni regionali anche un servizio pensato per chi si muove dentro la città. Parliamo di linee ad alta frequenza, con convogli di tipo urbano, con un totale di 50 fermate aggiuntive, molte più connessioni e piena integrazione con le attuali linee ipogee.
Si tratta di un modello che avvantaggia sia i cittadini che i pendolari. Perché se il servizio metropolitano moltiplica la capillarità e le occasioni di scambio, il servizio regionale può saltare le fermate e condurre direttamente alle stazioni principali, accelerando i tempi di percorrenza.
E si tratta anche di un sistema compatibile con l’esigenza di estendere e migliorare il servizio regionale anche nel bacino esterno alla capitale, quale collettore dei molteplici insediamenti delocalizzati verso la campagna.
Quali sono i vantaggi?
Tra i tanti benefici (tempi e costi ridotti, meno disagi durante i lavori, obiettivi raggiungibili per lotti funzionali etc.) vale la pena in questa sede segnalarne due in particolare.
Anzitutto quello di contenere il processo di allontanamento da Roma. Oggi abitare in città è diventato un peso, perché il sistema della mobilità non funziona e costringe a sacrificare quotidianamente ore della propria giornata, così da rivalutare la vita nell’hinterland, e comprare casa dove costa meno e si ottiene qualche agio in più. Ecco quindi che creare una mobilità più attraente all’interno del raccordo anulare, può favorire un ritorno in città, riducendo il fenomeno espansivo.
L’altro vantaggio è quello di colmare il divario tra il centro e le periferie, in quanto a trasporto pubblico: a fronte delle stesse tasse e della stessa tariffa di viaggio, chi abita ai margini è servito peggio e fa minor uso del servizio. Con l’affiancamento alle attuali linee ferroviarie delle metropolitane di superficie avremmo periferie come Fidene, Serpentara, Tor Sapienza, Ponte di Nona, il Quadraro etc. riconnesse al centro da questa nuova rete di trasporto veloce, frequente e capillare.
Dunque a Roma è possibile ragionare nell’ottica di una vera e propria rivoluzione della mobilità. Non si tratta di uno slogan astratto, e nemmeno di procedere a piccoli passi sconnessi, che spostano poco e tardi. Si può fare invece in modo incisivo mettendo a sistema quello che c’è, riorganizzando la rete su nuove basi, consegnando a Roma, finalmente, la sua trama di metropolitane.
Chiaro e conciso. Sarebbero questi punti sui quali i candidati sindaci e le loro coalizioni dovrebbero prendere posizioni chiare, inequivocabili, vincolanti. Peraltro, dall’articolo di Causi pubblicato sempre su RomaRicercaRoma veniamo a sapere che a Roma non è che manchino i soldi per gli investimenti: ci sarebbero pure, ma non vengono spesi…
Il ragionamento è condivisibile ma la realizzazione di nuove linee metropolitane e di prolungamenti delle esistenti resta comunque necessaria per diversi motivi, ed in particolare:
– servire le direttrici scoperte dalle linee FR
– attestare gli scambi sul GRA delle attuali linee metro e riqualificare i quartieri a ridosso del GRA
– realizzare le stazioni nel centro storico per consentire ulteriori interventi di contenimento del traffico privato a favore della fruizione pedonale e ciclabile.
Sono assolutamente d’accordo. Non ho trattato questo aspetto per brevità, ma il progetto Metrovia (cui facevo riferimento) contempla anche le estensioni delle tre linee metropolitane esistenti e la quarta linea ipogea: la D.