di Mario Castagna

Esistono a Roma spazi sospesi, situati in un apparentemente eterno non più e non ancora. In una città che ha la stratificazione di elementi eterogenei come caratteristica precipua del suo essere, può capitare di osservare ai fatti urbani solo come vestigia di un passato che possono alternativamente essere orgoglio da esibire o vergogna da abbattere.
Se invece ci concentriamo sull’esserci di questi luoghi, sull’essere quindi situati in contesti spaziali e storici che ne determinano il loro presente, tra le pieghe di questi luoghi c’è molta più vita di quanto possa immaginarne la nostra fantasia.
L’Idroscalo di Ostia non fa eccezioni.

Nato come scalo per gli idrovolanti già dopo la prima guerra mondiale, sfruttando la foce del Tevere come porto-canale, dall’Idroscalo di Ostia partì (e tornò) la trasvolata oceanica di Italo Balbo. E qui siamo alla storia che non lascia eredità.
Ma veniamo al presente. Punta sacra, documentario di Francesca Mazzoleni arrivato finalmente nelle sale dopo mesi di attesa a causa del Covid, sceglie di leggere questo spazio con la lente del presente, un presente precario e sospeso eppure non di attesa. Lo fa entrando nelle vite degli abitanti dell’Idroscalo, in particolare di un gruppo di giovani ragazze di cui racconta sogni, aspirazioni, timori, litigi e speranze.

Il tocco del documentario è di estrema vicinanza alle vite narrate, con punte emotive particolarmente forti, come il dialogo tra madre e figlia sulla possibile iscrizione di quest’ultima alla scuola per parrucchieri piuttosto che al liceo linguistico. I dialoghi raggiungono sempre lo spettatore, cosa non scontata per un documentario, e la tensione narrativa consegna allo spettatore il cuore complesso delle storie narrate, senza facili rappresentazioni ed allontanando alla grande i pregiudizi. Una narrazione senza naiveté, senza facili innamoramenti ingenui, senza condanne, senza giudizi. Al contrario una narrazione vera, credibile, vicina, intima. Francesca Mazzoleni racconta il presente di questo luogo senza alcuna retorica sul passato. Questo è sicuramente un punto di forza. Questa assenza rende il racconto più autentico, libero da sovrastrutture e situato nel presente.

Le poche testimonianze sul passato dell’Idroscalo sono affidate a Franca Vannini, un’onorevole Angelina del 2021, ma rimangono sullo sfondo e riguardano l’ubicazione del luogo esatto dell’omicidio Pasolini e i recenti sgomberi di Alemanno.La discussione di Franca Vannini sul PCI e il rapporto con le borgate non è nostalgica, ma proiettata al futuro e focalizzata sulla rivendicazione attuale di diritti calpestati in quel luogo così altro. Eppure ciò che si vede all’Idroscalo, incredibilmente nel 2021, è stato un panorama molto comune nella Roma del dopoguerra.
In quegli anni, come in molti luoghi di frontiera ai quali la città volge le spalle, dal Mandrione al Campo Parioli, l’Idroscalo è divenuto uno dei numerosi borghetti abusivi che accoglievano gli inurbati arrivati dalle campagne. Non sto qui a ricordare il complesso rapporto tra il PCI e i “borgatari” né di come il rapporto tra gli “abusivi” e la politica comunale si sia evoluto nel tempo (ne ha scritto Francesco Erbani su Internazionale). La discussione ci porterebbe lontani, senza la possibilità reale di avvicinarsi alle storie raccontate in Punta Sacra.

Più interessante è assumere il punto di vista della regista e vivere il presente vivendo pienamente questa sospensione precaria. Questa vicinanza è il tratto fondamentale del film, come lo era dell’agire politico di un tempo.
Una vicinanza che non condanna né esalta, ma che non si limita a raccontare. Fa in modo che le storie raccontate abbiano la forza di un loro racconto autonomo. Gli fa prendere voce. Abitando questa sospensione, di spazio e di tempo.
Sospensione che diventa custodia, e il parroco dell’Idroscalo sottolinea molto bene come l’assenza di titoli di proprietà obblighi gli abitanti dell’Idroscalo a custodire quel luogo, senza le degenerazioni che hanno caratterizzato l’evoluzione delle ex borgate abusive, divenute il centro degli interessi fondiari nella periferia romana.

Ma sospensione che diventa anche sguardo disincantato ma speranzoso verso il futuro. Francesca e la sua amica alla fine del film si interrogano sul futuro dell’Idroscalo, chiedendosi se ci sarà ancora o se sarà almeno più moderno. La domanda rimane sospesa e vivere questa sospensione è la chiave per vivere Roma, senza l’eredità del passato, senza l’assillo del futuro.