Fabrizio Rufo

Sapienza Università di Roma, Dipartimento di Biologia Ambientale

Fabrizio.rufo@uniroma1.it

Tra le ambizioni storiche della città di Roma e del territorio laziale spesso si dimentica la loro vocazione di centro scientifico. Da tempo a Roma e nel Lazio è presente la più grande concentrazione di università, centri di ricerca e laboratori d’Italia e una delle più grandi d’Europa. Come testimonianza di questa attività scientifica esistono spazi di grande interesse storico e straordinarie collezioni museali alle quali sarà dedicata, nel prossimo autunno, una mostra internazionale presso il Palazzo delle Esposizioni. Il quesito è come valorizzare e rendere fruibile per l’innovazione sociale questo patrimonio che vede integrarsi molteplici discipline scientifiche (astronomia, chimica, fisica, informatica, ingegneria aerospaziale, matematica, medicina, paleontologia, scienze biologiche, scienze della terra). Questa sfida consiste, in primo luogo, nell’organizzazione dei contenuti (oggetti, luoghi e persone della storia scientifica della città) all’interno di una piattaforma sociale innovativa, che deve integrare soggetti di diversa tipologia (studenti, cittadini, turisti, studenti, imprese) anche attraverso un approccio di citizen science (science for the people, by the people). Pensare la Roma del nuovo millennio significa rappresentare l’immagine e l’identità di una storia unica. Una storia nella quale la scienza è fondamentale anche per affrontare le sfide le sfide drammatiche del mondo contemporaneo.

«Il cozzo delle idee»

Il 14 marzo 1881 Quintino Sella, mineralogista, industriale tessile, presidente dell’Accademia dei Lincei, ministro delle Finanze dell’Italia post-unitaria, pronuncia un discorso in Parlamento, nel corso del quale ricorda un colloquio avuto dieci anni prima con lo storico tedesco e premio Nobel per la letteratura Theodor Mommsen: «Una sera, nel calore della conversazione, dopo aver parlato di Roma antica, di Roma papale, di idealismo, di realismo e di non so quante cose, il fiero teutonico si alza e mi dice in tono concitato: ma che cosa intendete di fare a Roma? Questo ci inquieta tutti; a Roma non si sta senza avere dei propositi cosmopoliti. Che cosa intendete di fare?

Io cercai di tranquillarlo (e credo che oggi si sarà tranquillato, visto che non abbiamo neppure la virtù di soffrire un tantino per arrivare a maggiore grandezza). Ma io gli dissi: sì, un proposito cosmopolita non possiamo non averlo a Roma: quello della scienza. Noi dobbiamo renderci conto della posizione che occupiamo davanti al mondo civile, da che siamo a Roma.» (Sella, 1887: 292)

C’è in questo politico piemontese, tra i più accesi sostenitori della presa di Roma, un’ambiziosa visione. Roma capitale dell’Italia unita deve essere la capitale della scienza. Questa è l’idea di Sella per dare una nuova funzione nazionale e internazionale alla città. Affiancare al cosmopolitismo della classicità e della cristianità quello fondato sulla promozione della ricerca e del progresso scientifico: «Il cozzo delle idee, bene inteso, se vi ha luogo in cui debba dar buoni risultati, questo deve essere in Roma… qui deve essere un centro scientifico di luce, una università principalissima, informata soprattutto ai principi delle osservazioni sperimentali che sono sempre imparziali e senza idee preconcette» (Caracciolo, 1999: 100)

Questa visione perde slancio con la morte di Quintino Sella e per l’inadeguatezza delle istituzioni e della società civile, ma non scompare. Tra il 1894 e il 1914, vengono organizzati a Roma almeno 27 congressi internazionali di varie discipline la cui impronta riflette una cultura laica e modernista in cui la scienza era considerata al servizio della società.

Del resto, ancora oggi Roma e la sua area metropolitana sono la più grande concentrazione di università, centri di ricerca e laboratori d’Italia e una delle più grandi d’Europa. Secondo i dati del rapporto presentato nel 2017 dal ministero dello Sviluppo Economico nella città ci sono circa 250 mila studenti, 12 atenei, 48 enti di ricerca e più di 200 laboratori di ricerca il che significa decine di migliaia di docenti universitari, ricercatori e tecnici. Quantitativamente siamo di fronte a un centro di medie dimensioni che vive inglobato nella metropoli ufficiale ma queste due entità non hanno un rapporto organico, ma solo un legame incongruente e sfilacciato fatto di episodi, di contingenze e di emergenze spesso legato a interessi corporativi e particolari.

A Roma esiste, di fatto, una vera e propria città della scienza in larga parte occulta, soffocata dal formidabile repertorio di impianto umanistico di cui la città dispone, invece di costituire un tutt’uno con esso. Questa incongruenza è, oggi, ancora più marcata perché si parla molto di cultura scientifica e della necessità di uno sviluppo scientifico e tecnologico che sia funzionale alla ripresa del paese, e nello specifico, ad un ripensamento e ad un rilancio di Roma e della sua funzione nazionale.  Questo significa, in primo luogo, definire un’organizzazione dei contenuti (oggetti, luoghi e persone della storia scientifica della città) all’interno di una piattaforma sociale innovativa, che deve integrare soggetti di diversa tipologia (studenti, cittadini, turisti, studenti, imprese) anche attraverso un approccio di citizen science (science for the people, by the people).

Un patrimonio materiale e immateriale sconosciuto

Da sempre l’urbe è un crocevia della scienza che vede il passaggio di personaggi del calibro di Galileo Galilei, Niccolò Copernico, Angelo Secchi, Enrico Fermi, Giovanni Battista Grassi, Stanislao Cannizzaro, Guglielmo Marconi, Nazareno Strampelli, Vito Volterra, per citarne solo alcuni, che nel tempo hanno dato vita ad una miriade di vicende storico-scientifiche note e meno note fatte di umanità, di curiosità e di passione per la ricerca. aerospazio, agronomia, antropologia, astronomia, biologia, chimica, fisica, matematica, medicina, scienze della terra: non esistono discipline che non abbiano trovato nella città di Roma la sede per il loro sviluppo e spesso il loro momento fondativo basti pensare all’astrofisica o alla fisica nucleare. Questo universo di personaggi, luoghi e oggetti non è solo un fondamentale capitolo della storia della scienza ma è anche il portatore di una molteplicità di significati riguardanti il profilo sociale e culturale della città che, se venissero adeguatamente valorizzati e coordinati, potrebbero dare vita a una peculiare esperienza educativa inedita nelle dimensioni e nelle caratteristiche.

Tanti luoghi affascinanti sono lo sfondo di questo percorso: le armonie razionaliste della Sapienza nate dall’ingegno di maestri dell’architettura come Marcello Piacentini, Gio Ponti e Giuseppe Pagano; l’orto botanico di Trastevere alle pendici del Gianicolo il luogo di elezione di un centro studi della biodiversità e della sostenibilità, l’osservatorio astronomico di Monte Mario e quello di Monte Porzio Catone, solo per citarne alcuni.

Ma la vera scoperta sono le ricchissime collezioni museali di carattere scientifico spesso sconosciute o misconosciute che sono composte di oggetti rari, spesso unici al mondo come quelle custodite dal polo museale della Sapienza e dai musei civici tra questi ultimi alcuni possiamo trovare esempi virtuosi di una integrazione tra centro e periferia come nel caso del Museo di Casal de Pazzi. Gli enti ricerca: Inaf, Ingv, Infn, Ispra, Crea, Cnr, Iss, posseggono raccolte di tale rilevanza da lasciare stupito anche il visitatore più informato. A queste collezioni bisogna aggiungere quelle delle accademie e delle società scientifiche e poi ancora quelle possedute dai più svariati ministeri, basti pensare al negletto Museo Storico della Comunicazione in capo al ministero dello Sviluppo Economico nel quale sono conservati i più importanti strumenti scientifici di Guglielmo Marconi; infine è bene non dimenticare le collezioni presenti in alcune scuole anch’esse di assoluto rilievo scientifico e culturale.

Una mostra internazionale intitolata La Scienza di Roma che si svolgerà al Palexpo di Roma a partire dall’autunno del 2021 racconterà queste storie e metterà sotto un cono di luce alcuni degli oggetti più preziosi che fanno parte di queste magnifiche raccolte e che ben rappresentano questa città nascosta. Dall’intuizione utopica di Quintino Sella di trasformare la città in un centro internazionale del confronto di tutti i saperi e di tutte sensibilità culturali, fino alle ricerche odierne che guardano al futuro nelle quali spesso si fondono cultura scientifica e cultura umanistica per realizzare il fecondo «cozzo delle idee» a cui aspirava lo statista piemontese.

Si tratta di un patrimonio qualitativo e quantitativo di rilevanza mondiale diffuso o per meglio dire disperso su tutto il territorio romano e laziale, che potrebbe dare vita ad uno straordinario museo della scienza del quale, purtroppo, la città è ancora priva. Una simile condizione sussiste nonostante chenel corso degli ultimi decenni si siano succedute diverse proposte localizzate in siti che sembravano assai adatti allo scopo, che vanno dall’ex Mattatoio all’area dell’ex Gasometro all’Ostiense, da uno spazio tra il Lungotevere e via Giulia, oggi adibito a parcheggio, per finire con gli edifici di origine militare di via Guido Reni di fronte al MAXXI. È necessario comprendere i motivi del fallimento di quelle che erano buone progettualità, sul piano architettonico come su quello concettuale e ideativo, e procedere ad aggiornarle e a trasformarle in buone pratiche. Un museo dotato di straordinarie potenzialità divulgative e didattiche, grazie al quale potrebbero integrarsi tutte le discipline scientifiche in raccordo con le altre formidabili risorse culturali della città: l’archeologia e l’arte che potrebbe costituire il volano per pensare la Roma del futuro e rappresentare, pur rimanendo ciò che rappresentano oggi, la base di partenza per la realizzazione di una proposta innovativa e di prim’ordine, competitiva rispetto alle realtà di Londra, di Vienna, di Parigi, di New York o di Tokyo.

Qualora queste risorse venissero immesse in un circuito integrato e affiancate dalla costituzione di un luogo di raccordo ben attrezzato esse potrebbero diventare un imprescindibile punto di riferimento nazionale e internazionale. Raggiungere un simile obiettivo dovrebbe quindi costituire una delle principali sfide della futura politica capitolina, una politica che sia capace di definire il perimetro di un rinnovato rapporto tra scienza e società, trovando un giusto equilibrio tra conoscenze e bisogni mediante un’esperienza di sinergia e di connessione fra vari elementi della città, un ponte tra passato e futuro e, al tempo stesso, costituisca un’opportunità di lavoro per una varietà di competenze; sarebbe, infine, un punto di riferimento per una visione culturale a tutto tondo. I musei della scienza in genere, oltre ad avere la funzione di memoria e conservazione dei progressi scientifici, devono essere uno strumento di formazione e diffusione della cultura scientifica attraverso laboratori interattivi, mostre, incontri con scienziati, campagne e attività di promozione della scienza e della tecnologia, oltre che luoghi di ritrovo e di svago per tutti.

La sfida che Roma si trova ad affrontare è quella di organizzare i contenuti di questo enorme patrimonio materiale e immateriale, dotato di straordinarie potenzialità, che vede integrarsi tutte le discipline scientifiche e che può costituire anche il raccordo con le altre formidabili risorse culturali della città: l’archeologia e l’arte. Questa vera e propria intelligenza collettiva può essere il motore di una città della conoscenza, nella quale coloro che si impegnano ad apprendere, ricercare ed essere creativi, danno vita a forme sostenibili e responsabili non solo di innovazione scientifica e tecnologica ma anche di innovazione sociale.

La città della scienza

Un progetto con queste caratteristiche e dimensioni non può e non deve avere solamente obiettivi di celebrazione culturale fini a sé stessi, ma deve permeare, prima di tutto, il tessuto politico e la coscienza civile dei romani. Diventa così possibile far recuperare visibilità non solo alla dimensione territoriale – ricongiungere centro e periferie – ma anche a un’idea di bene pubblico incentrata sulla sostenibilità sociale e ambientale e sulla sperimentazione collettiva. Questo snodo per Roma fondamentale. Si tratta di sviluppare modelli innovativi di accesso alla partecipazione che devono essere utilizzati anche come un antidoto nei confronti del grumo di interessi corporativi e rendite che immobilizza la città.

Il primo passo da compiere quello di ricostruire una rete di inclusione e di relazioni basata su forme inedite di co-produzione e di public engagement nelle quali si realizzi una collaborazione tra esperti di diversa matrice culturale e professionale e l’opinione pubblica capace di superare quella che con efficace formula Bruno Latour definisce «deficit di rappresentazione» (Latour, 2018: 122). Solo in questo modo ipotesi e soluzioni pensate da soggetti diversi per contesti diversi, diventano proposte e strumenti utili per dare forma a una più avanzata idea di città.  Del resto, la costruzione di uno sfondo e di un contesto comune che consenta di definire lo spazio – materiale e immateriale – in cui si svolge la vita delle singole persone e della comunità, è la scelta politica più importante delle società contemporanee. I sistemi sociali devono per confrontarsi con un’ulteriore sfida: le scelte politiche si compiono nel quadro di una vera e propria trasformazione cognitiva nella quale, gli spazi reali e virtuali, non sono solo un riflesso, ma una diretta espressione. Solo se facciamo nostra questa prospettiva, diventa possibile attivare quella cittadinanza scientifica nella quale forme e azioni di cooperazione virtuosa nei vari luoghi e nei vari momenti contribuisco ad allargare la possibilità di accesso alla conoscenza di una comunità.

La Roma del nuovo millennio non può essere esclusivamente rappresentata dall’immagine di un passato unico. L’identità della città deve riappropriarsi di una storia che si snoda nel tempo nella quale la scienza è stata ed è una componente fondamentale anche per affrontare le drammatiche sfide globali che ci attendono.

RIFERIMENTI BIBLIOGRAFICI

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Latour, B. 2018, Tracciare la rotta. Milano: Cortina.

Paoloni, G., Infrastrutture e servizi culturali: riflessioni tra storia e politica. In: G. Di Domenico, G. Paoloni, A. Petrucciani, ed. 2016. Percorsi e luoghi della conoscenza. Dialogando con Giovanni Solimine. Milano: Editrice Bibliografica. pp. 283-297;  

Rogora, E. ed. 2015. La Facoltà di Scienze dell’Università di Roma. Roma: Sapienza Università Editrice.

Sella, Q. Discorsi parlamentari, I, Roma 1887.

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