Autore

Carlo Saitto e Lionello Cosentino

Roma per le sua estensione geografica, per il peso della sua storia e per l’ingombro delle sue presenze istituzionali, occupa uno spazio che, nella percezione diffusa, è addirittura maggiore delle sue dimensioni reali e che si allarga per comprendere, nella sua vastità, non solo l’Area Metropolitana ma l’intera Regione.

Se però si prende in esame il Lazio e si usa la chiave di lettura delle differenze di salute, quello che sembra emergere non è il quadro per quanto vario e frastagliato di un organismo unitario, segnato dalla presenza della capitale, ma un fenomeno molto più complesso caratterizzato da un lato dalla contrapposizione tra la condizione privilegiata del Comune di Roma e quelle decisamente penalizzate del resto della Città  metropolitana che lo circonda e delle altre provincie della regione e, dall’altro dalla capacità di Roma di riepilogare al suo interno una stessa estrema contrapposizione tra privilegio e disagio.

Ad uno sguardo più ravvicinato emerge infatti una distanza tra i Municipi che appare in qualche caso clamorosa. La città appare divisa nelle sue condizioni di salute, almeno quanto lo è da quelle dei territori circostanti, nonostante l’osmosi quotidiana del pendolarismo e nonostante il sempre più accentuato spostamento delle attività produttive ai margini e all’esterno degli insediamenti più antichi.

Una rappresentazione sintetica, ma molto affidabile ed efficace, delle condizioni di salute di una popolazione è offerta dai tassi di mortalità standardizzata, da valori di mortalità cioè che tengano conto della sua composizione per età e per sesso.

Se si usa questo metro per misurare le disuguaglianze tra aree diverse del Lazio il quadro che emerge è quello rappresentato dalla Tabella 1.

Tabella 1. Tassi standardizzati di mortalità per Ambito Territoriale e confronto con Roma

Equità e salute a Roma

Quando si esclude Roma, la Città metropolitana fa osservare il più elevato tasso di mortalità della Regione, superiore del 12% a quello di Roma e superiore anche a quello di tutte le provincie del Lazio. Sembra quasi  che la prossimità geografica alla Capitale invece di costituire un fattore di protezione rappresenti un rischio, che collocarsi alla ‘periferia del centro’ comporti un eccesso di marginalità rispetto alle provincie, dove si costruiscono invece modalità di risposta relativamente più efficaci e forse meno disuguali. Sembrerebbe in altri termini che la periferia geografica amplifica il difetto di salute soprattutto quando diventa periferia sociale e culturale.

Per cominciare a leggere e misurare il peso della disuguaglianza economica e culturale nella formazione della disuguaglianza di salute si può allora partire da Roma e provare a scomporre il suo apparente privilegio per mettere in evidenza la geografia delle sue differenze e la loro relazione con lo stato socioeconomico

Utilizzare il Comune di Roma come terreno di indagine trae vantaggio da alcune specificità che lo caratterizzano e che possono essere utili  a mettere in evidenza il problema delle disuguaglianze infatti:

Le differenze socioeconomiche all’interno del Comune di Roma sono fortemente associate all’area di residenza e si osservano rilevanti variazioni del reddito medio tra i Municipi

Le dimensioni del Comune, per territorio e popolazione (1.285 Km2 e circa 2.800.000 residenti), consentono di contare in ciascun Municipio su una base di popolazione adeguata all’analisi e ai confronti

Esiste nel Comune di Roma una presenza estremamente diffusa di servizi e presidi sanitari, pubblici e privati che sono rapidamente raggiungibili in qualunque zona della città.

Le strutture esistenti erogano nel loro insieme ai residenti volumi molto elevati di prestazioni sanitarie con un numero di prestazioni per residente tra i più alti d’Italia

Sono disponibili per Roma, con un accesso relativamente agevole, numerose serie storiche di dati demografici, sociali e sanitari.

Roma può, insomma, rappresentare un esempio utile per mettere a fuoco le questioni dell’equità in salute e dei suoi determinanti sociali. A Roma, infatti, un sistema sanitario certamente frammentato e disarticolato produce e rende diffusamente disponibile una grande quantità di prestazioni, non solo rispetto ad altre realtà nazionali, ma, per alcuni accertamenti diagnostici, maggiore, in volumi per residente, di quelle osservate in paesi europei come la Germania o la Francia e soprattutto a quelle della Gran Bretagna o dei paesi nordici che presentano modelli di Servizio sanitario nazionale non troppo dissimili da quello italiano.

Le differenze osservate nella fruizione appropriata delle prestazioni disponibili non dipendono dunque dalla loro quantità assoluta o dalla accessibilità fisica dei soggetti erogatori, ma dalla condizione economica e culturale dei cittadini. Siamo in definitiva di fronte al rischio di una carenza relativa in presenza di un’abbondanza assoluta. È il frutto di un modello di Servizio sanitario costruito su logiche di mercato che privilegia il rapporto tra la domanda e l’offerta di prestazioni nella convinzione che questo sia sufficiente a produrre salute.

Il quadro complessivo delle disuguaglianze di salute tra i Municipi di Roma e della loro relazione con le condizioni economiche può essere disegnato confrontando i dati di mortalità e quelli del reddito dichiarato per residente nel periodo 2008-2017. I tassi di mortalità e il reddito medio di ciascun Municipio sono presentati nella Figura 1.

Figura 1. La mortalità generale

Equità e salute a Roma

È evidente che all’aumento del reddito medio si associa una riduzione della mortalità per tutte le cause. Se lo si vuole dire in termini statistici il reddito spiega quasi lo 80% della differenza di mortalità (R2=0,77) e la possibilità che questa relazione sia casuale è estremamente ridotta (F=0,000015).

Tra il Municipio con il reddito medio più basso (Municipio VI) e quello con il reddito medio più elevato (Municipio II) la differenza nel Tasso di mortalità standardizzata è pari al 25%

Quando si considera il grande numero di fattori, individuali, sociali e ambientali, che influenzano il rischio di malattia e di morte può forse sembrare straordinario che una parte così grande delle variazioni del tasso di mortalità generale possa  essere spiegata dal reddito medio del municipio di residenza. Almeno in una grande città come Roma, però, il reddito disponibile corrisponde alle condizioni di vita materiale delle persone forse meglio di quanto non accada nelle città di provincia o nei piccoli centri, rappresentando una sorta di “metarischio” che sottostà spesso agli altri fattori di rischio ai quali si faceva riferimento.

Se si potesse per assurdo determinare un’uguale composizione della popolazione per sesso ed età morirebbero ogni anno nel VI Municipio quasi 200 persone in più ogni 100.000 residenti di quante ne muoiano nel I o nel II Municipio; guardando ai numeri assoluti, se la mortalità nel VI Municipio fosse pari a quella osservata nel II, morirebbero 350 persone di meno all’anno.

Se tutti i Municipi allineassero la loro mortalità a quella osservata nel II, si registrerebbero ogni anno a Roma circa 4.500 decessi in meno.

All’interno del Comune di Roma, dunque, si osserva contemporaneamente il valore di mortalità più basso della Regione ma anche uno dei più elevati.

A alcune considerazioni sembrano dunque indiscutibili:

il reddito è inversamente associato alla mortalità

un intervento equo deve partire dai bisogni di salute e non dalla domanda/offerta di prestazioni

Sono considerazioni che riguardano il Comune di Roma, costruite su dati aggregati per Municipio e l’analisi della relazione tra mortalità e reddito che suggeriscono la centralità di una mappatura geografica del bisogno dei cittadini, bisogno di conoscenza, di tutela dai rischi, di individuazione dei problemi nella loro complessità, e di accompagnamento delle persone.

Questa mappatura rivela anche l’equivoco dell’apparente privilegio che caratterizza il comune di Roma perché evidenzia il riprodursi al suo interno delle stesse disuguaglianze che contrappongono Roma al Resto della Regione.

Le disuguaglianze di salute dunque non sono legate né al numero dei presidi sanitari sul territorio né ai volumi di esami che questi sono in grado di offrire. È necessario sviluppare un altro modello di funzionamento del Servizio sanitario che sia fondato fondati sulla presa in carico degli individui e delle comunità invece che sull’offerta di prestazioni.