Energie e reti a servizio della città, tra giustizia sociale e ambientale

Le infrastrutture e i servizi pubblici di Roma e del suo hinterland, in particolare sanità, acqua, energia, trasporti e rifiuti, sono fattori chiave per il miglioramento dell’ambiente urbano nel suo insieme e per la salute, il benessere e la qualità della vita dei cittadini. Insieme al welfare, la fornitura di beni e servizi di base è cruciale per le opportunità delle famiglie, gli investimenti delle imprese, la crescita dell’occupazione e della “economia fondamentale materiale”. Il deterioramento e, in alcuni casi, la profonda crisi dei servizi pubblici a Roma, soprattutto trasporti e igiene urbana, esasperano le disparità tra cittadini, venendo percepite sempre più come un vero “pericolo pubblico”. 

Le criticità determinano elevati costi per i cittadini e l’ambiente, e non permettono di ridurre le disuguaglianze socio-economiche e i divari territoriali alimentati da:

  • un’offerta di bus, metropolitane, ferrovie e persino della mobilità condivisa squilibrata tra aree della città, con l’uso massiccio di veicoli privati e un trasporto pubblico percepito di scarsa qualità e basso appeal, peggiorato dagli attuali problemi di bilancio di ATAC;
  • una tariffa rifiuti elevata rispetto alle altre grandi città italiane, in cambio della quale i servizi di AMA sono troppo spesso insufficienti per le utenze sia domestiche che commerciali, peraltro con effetti di forte pressione ambientale in alcune aree della città e con scarso interesse verso l’economia circolare;
  • l’ambiguità nella definizione degli obiettivi industriali di ACEA, la maggiore multiutility pubblico privata cittadina per il servizio idrico e l’energia, con una conseguente scarsa attenzione nei confronti della water ed energy poverty che esiste in città e riguarda molte famiglie;
  • una diseguale distribuzione dei servizi socio-sanitari di prevenzione e cura più presenti nelle zone centrali della città, sostanzialmente dentro il GRA, cui corrisponde una salute peggiore (e indici di mortalità maggiore) nelle zone periferiche e nell’hinterland;
  • incuria urbana diffusa, che alimenta la percezione di insicurezza soprattutto nelle zone periferiche dove le strade, molte delle quali ancora non trasferite al demanio comunale, sono poco o male illuminate nonostante le nuove lampade a led.

Per ognuno di questi servizi descriviamo brevemente i problemi attuali della loro gestione, cercando di evidenziare inefficienze nella produzione, divari territoriali nell’offerta, disuguaglianze socioeconomiche nel consumo. Per cambiare questa realtà inadeguata, iniqua e inefficiente non bastano piccoli aggiustamenti nell’offerta dei diversi servizi, ma serve scardinare la governance tradizionale delle reti e degli ecosistemi.

Sono almeno quattro i luoghi comuni da ribaltare per definire un nuovo paradigma di gestione dei servizi pubblici a Roma, ripensando e combinando insieme elementi pubblici, di mercato (ove utile, con regole certe e rispondendo alle esigenze pubbliche) e civici o autorganizzati:

  • la presunta dicotomia tra una gestione pubblica inevitabilmente inefficiente e una gestione “privatistica” sempre efficace, quando invece serve un’integrazione della sfera pubblica e privata;
  • la visione dei servizi pubblici come costo da ridurre e ottimizzare per la cittadinanza e le casse comunali, invece che come investimento sociale per generare benefici collettivi e diffusi;
  • l’idea che la regolazione sia una questione meramente tecnica e neutrale, da cui la politica deve tenersi lontana, e non invece discrezionale e orientata a rimuovere divari territoriali e disuguaglianze;
  • considerare la sostenibilità degli ecosistemi come un vincolo da subire e non invece come un volano per accelerare l’innovazione tenendo insieme giustizia sociale e giustizia ambientale.

Il dossier è parte di un lavoro collettivo dal titolo Manifesto per Roma, che viene interamente pubblicato in questo sito, nella sezione Proposte. A questo capitolo hanno contribuito: Daniela De Leo, Edoardo Esposto, Alfredo Macchiati, Lorenzo Paglione, Federico Tomassi (coordinatore), Edoardo Zanchini.

1. Introduzione

Le infrastrutture e i servizi pubblici di Roma e del suo hinterland, in particolare sanità, acqua, energia, trasporti e rifiuti, sono fattori chiave per il miglioramento dell’ambiente urbano nel suo insieme e per la salute, il benessere e la qualità della vita dei cittadini. Insieme al welfare, la fornitura di beni e servizi di base è cruciale per le opportunità delle famiglie, gli investimenti delle imprese, la crescita dell’occupazione e della “economia fondamentale materiale” (Collettivo per l’Economia Fondamentale 2019: 27-28). Questi settori possono contribuire allo sviluppo urbano, se modernizzati e combinati con l’innovazione tecnologica, il mutamento delle forme di produzione e lavoro, la sostenibilità ambientale, l’economia circolare, la resilienza ai cambiamenti climatici.

Invece in tutta Italia si sono aggravati i divari nell’accessibilità e qualità dei servizi fondamentali fra centri e periferie, tra aree urbane e aree interne, nei diversi ambiti della vita umana: istruzione, salute, mobilità, comunicazioni, casa e welfare. Ciò impatta più sulle fasce deboli della popolazione e meno su quelle che possono ricorrere più facilmente ai servizi privati, senza riuscire a controbilanciare le disuguaglianze di reddito. Nella prospettiva qui assunta, non solo questi divari sono considerati ingiusti, ma rappresentano anche la principale causa della “reazione di rabbia e risentimento dei ceti deboli e subalterni […] alla radice dell’arresto dello sviluppo e della fragilità della democrazia” (Barca 2019: 8).

A Roma il deterioramento e, in alcuni casi, la profonda crisi dei servizi pubblici, soprattutto trasporti e igiene urbana, esasperano le disparità tra cittadini, rappresentando ormai un disservizio costante e venendo percepite sempre più come un vero “pericolo pubblico” (Tocci 2019). È oggi persino difficile sperare in un miglioramento delle condizioni di vivibilità per i cittadini, tra malfunzionamento dei servizi, smog e aumento della spesa quotidiana (Zanchini 2019). Garantire la vita civile del più gran numero di cittadini richiede la riorganizzazione in primo luogo di trasporti e igiene urbana, che peraltro rappresentano le voci principali di costo nell’ambito dei servizi pubblici locali (Macchiati 2019).

La valutazione soggettiva dei romani sulla qualità dei servizi è emblematica: se risultano di poco insufficienti l’illuminazione pubblica (5,8) e i servizi sociali (5,5), un’insufficienza più decisa viene assegnata ai servizi cimiteriali e ai parchi (5,2), alla metropolitana (5) e alla sosta a pagamento (4,8), mentre l’insoddisfazione diventa grave per il trasporto pubblico di superficie (4,1) e soprattutto per pulizia stradale (2,8) e raccolta dei rifiuti (2,7) (Agenzia SPL 2019). Durante il primo periodo dell’emergenza del COVID-19 i giudizi cambiano in parte, influenzati in positivo dalle misure apprezzate di prevenzione, dalla maggiore regolarità e dalle azioni per ripartire (come corsie ciclabili e monopattini elettrici), ma in negativo da contrazione e modifiche di alcuni servizi (Agenzia SPL 2020a, 2020b).

Governare una città come Roma è senz’altro complicato (D’Albergo e De Leo 2018), ma se la dimensione dei problemi è andata significativamente crescendo in questi anni non dipende solo dell’incapacità della giunta attuale di governarli con efficacia. Appare piuttosto l’esito – in misura maggiore o minore secondo le diverse tipologie di servizi – di numerose criticità accumulatesi nel corso degli ultimi decenni: inazione politica senza imprimere le svolte necessarie, dissipazione delle risorse (suolo, natura, aria, acqua, energia, rifiuti), appropriazione di rendite di posizione e beni comuni, investimenti decrescenti a fronte dell’aumento della superficie urbanizzata, spoils system altamente politicizzato ma ben poco democratico, amministratori e manager autoreferenziali e disinteressati a standard minimi di qualità, regolazione spesso limitata ai confini comunali senza un coordinamento a scala almeno metropolitana.

Queste criticità determinano elevati costi per i cittadini e l’ambiente, e non permettono di ridurre le disuguaglianze socio-economiche e i divari territoriali alimentati da: 

  • un’offerta di bus, metropolitane, ferrovie e persino della mobilità condivisa squilibrata tra aree della città (in termini di infrastrutture, servizi e rapporto con l’hinterland), con l’uso massiccio di veicoli privati e un trasporto pubblico percepito di scarsa qualità e basso appeal, peggiorato dagli attuali problemi di bilancio di ATAC;
  • una tariffa rifiuti elevata rispetto alle altre grandi città italiane, in cambio della quale i servizi di AMA sono troppo spesso insufficienti per le utenze sia domestiche che commerciali, peraltro con effetti di forte pressione ambientale in alcune aree della città e con scarso interesse verso l’economia circolare;
  • l’ambiguità nella definizione degli obiettivi industriali di ACEA, la maggiore multiutility pubblico-privata cittadina per il servizio idrico e l’energia, con una conseguente scarsa attenzione nei confronti della water ed energy poverty che esiste in città e riguarda molte famiglie;
  • una diseguale distribuzione dei servizi socio-sanitari di prevenzione e cura più presenti nelle zone centrali della città, sostanzialmente dentro il GRA, cui corrisponde una salute peggiore (e indici di mortalità maggiore) nelle periferie e nell’hinterland;
  • incuria urbana diffusa, che alimenta la percezione di insicurezza soprattutto nelle zone periferiche dove le strade, molte delle quali ancora non trasferite al demanio comunale, sono poco o male illuminate nonostante le nuove lampade a led;
  • servizi culturali (musei, teatri, biblioteche, mostre, Auditorium) ancora quasi esclusivamente concentrati nei quartieri centrali della città, e che pur rappresentando un’eccellenza sono lontani dai romani nelle periferie e nell’hinterland.

Per ognuno di questi servizi descriviamo brevemente nel par. 2 i problemi attuali della loro gestione, cercando di evidenziare inefficienze nella produzione, divari territoriali nell’offerta, disuguaglianze socio-economiche nel consumo (tranne l’energia, vista la sua regolazione e il suo mercato nazionale).

Nel par. 3 sintetizziamo i quattro luoghi comuni da ribaltare per definire un nuovo paradigma di gestione dei servizi pubblici a Roma. Infine, nel par. 4 avanziamo alcune proposte coerenti con il nuovo paradigma, per ognuno dei servizi descritti.

2. Inefficienze e disuguaglianze nella gestione dei servizi

Inefficienze (costo per i cittadini e capitale naturale)

Il primo fattore critico dei servizi pubblici a Roma riguarda l’inefficienza nella loro gestione, in termini sia di risorse finanziarie necessarie (e quindi di costi per gli utenti), sia di spreco di risorse naturali e/o esternalità. Sebbene vi siano ambiti dove la gestione opera in maniera efficiente, in molti casi non vi è una proporzione tra quanto viene richiesto ai cittadini per un servizio pubblico – tramite tariffe a carico dei soli utenti e/o tasse pagate da tutti i contribuenti – e il livello di efficacia e qualità del servizio stesso, come una vera e propria tassa occulta a svantaggio dei romani. Secondo un indicatore basato sul confronto tra spesa e offerta di servizi, Roma risulta in 32posizione su 52 comuni esaminati, a indicare ampi spazi per un efficientamento (Banfi 2019).

È in particolare la localizzazione intorno al GRA e nell’hinterland dei nuovi insediamenti residenziali, direzionali e commerciali, nell’ultima ondata edilizia iniziata negli anni 90, che fa aumentare il costo di gestione dei servizi e aggravare i problemi strutturali delle aziende pubbliche. Lo sprawl nelle periferie più esterne di Roma e nei comuni della prima cintura, con insediamenti isolati dal tessuto urbano preesistente, tende ad aumentare la dispersione della domanda di servizi sul territorio, e le aziende che li erogano devono servire aree sempre più vaste (Tocci 2008: cap. 3). A fronte di entrate pubbliche che non crescono nella stessa misura, aumenta la distanza tra i cittadini (nelle abitazioni, uffici e negozi) e i centri o i depositi delle aziende, si allunga la rete stradale da manutenere, pulire, illuminare o percorrere con gli autobus, aumenta la complessità delle attività di gestione, soprattutto nelle periferie che soffrono di più le capacità declinanti di offrire servizi adeguati (Tomassi 2010). A parità di popolazione residente, serve una spesa maggiore a carico della collettività per tentare di mantenere la stessa efficacia, e quindi una minore efficienza, con un vero e proprio “costo collettivo della città dispersa” (Camagni et al. 2002).

Mobilità 

Le scelte modali dei romani – come quelle degli italiani – rimangono fortemente orientate alla mobilità privata, molto più rispetto agli altri grandi paesi europei, sebbene sia positiva la maggiore propensione dei cittadini agli spostamenti a piedi e in bicicletta anche dopo la fine del lockdown per la pandemia del COVID-19 (ISFORT 2020). Roma, in particolare, sconta noti disservizi in termini sia di efficacia nell’offerta di trasporto pubblico locale (TPL), sia di scarto tra corse programmate ed effettuate, evidenziati dalla bassa soddisfazione dei cittadini (Agenzia SPL 2020c: 102-107 e 116-126). Le cause sono diverse: la rete su ferro poco sviluppata e poco integrata tra metropolitane e ferrovie, la rete di autobus al contrario molto estesa sull’enorme territorio comunale ma poco funzionale, l’età media elevata di vetture e treni in circolazione (16 anni sulla linea B, 21 sulla Roma-Viterbo e addirittura di 34 anni per i tram, Legambiente 2019: 48-49), la scarsa manutenzione delle infrastrutture esistenti (basti pensare alle scale mobili), la gestione industriale inefficiente di ATAC con i problemi di bilancio3 e il continuo cambiamento dei suoi manager (Tocci 2018; Tomassi 2013).

Poiché l’offerta per abitante del TPL è pari alla dotazione di rete per l’intensità di servizio sulla rete stessa, scomponendo l’indicatore vediamo le differenze tra Roma e Milano (Tomassi 2018). Nel servizio di superficie la Capitale ha una dotazione di rete maggiore, ma un’intensità di servizio minore rispetto a Milano: le linee di autobus, filobus e tram a Roma sono capillari, ma devono percorrere lunghe distanze per raggiungere la domanda rarefatta nei quartieri sparsi delle periferie a bassa densità, e quindi passano con minore frequenza alle fermate, risultando poco affidabili per i passeggeri. Nella metropolitana, invece, l’offerta per abitante a Roma è un terzo rispetto a Milano, come risultato soprattutto di una dotazione di rete notoriamente limitata, ma anche di una minore intensità di servizio sulle tre linee. Infatti, in termini di frequenza del servizio, nella metropolitana di Milano viaggia un treno ogni 2/3 minuti nelle ore di punta, mentre a Roma – a parte la A che è paragonabile alle linee milanesi – la B è a 4/5 (e la B1 anche fino a 15 minuti!) e la C a 9/12 minuti, più simili alle frequenze dei tram (Legambiente 2019: 12-13).

La differenza nell’offerta – in particolare l’anzianità elevata delle vetture e la rete sbilanciata verso il trasporto su gomma – ha effetti sull’efficienza economica: il costo unitario di produzione a Roma è pari a 5,8 euro per vettura-km, superiore alla media di settore (5,5) e al valore di Milano (5,2), con ricavi da traffico per ATAC (2,6 euro per vettura-km) di poco inferiori ad ATM (2,8) (Agenzia SPL 2020c: 107-116), cosicché il rapporto tra ricavi di mercato e ricavi totali risulta a Roma pari al 38% e a Milano al 54% (Mediobanca 2019: 35-48; cfr. anche Carapella et al. 2018).

La perdurante centralità dei mezzi privati fa sì che siano peggiori rispetto alle altre grandi città europee gli impatti in termini di inquinamento atmosferico e incidentalità stradale, che rappresentano una esternalità negativa per la collettività. Sebbene derivanti non solo dalle emissioni dei veicoli circolanti, ma anche dagli impianti di riscaldamento e in misura minore dalle industrie, le concentrazioni medie annue di biossido di azoto (NO2), nonostante il decremento tra il 1998 e il 2015, risultano al di sopra dei limiti previsti dalla normativa europea, mentre il particolato (PM10 e PM2.5) mostra delle concentrazioni medie inizialmente superiori ai limiti europei, per poi scendere pur rimanendo al di sopra della soglia consigliata dall’OMS (Renzi et al. 2016). Incidenti e vittime sono in calo costante da molti anni, come nel resto d’Italia (Istat 2020b): i feriti nel 2019 sono stati circa 16mila e i morti 131 (rispetto ai circa 200 di un decennio fa), di cui 42 pedoni, e altri 62 nei comuni dell’hinterland, ma il tasso per abitante rimane nettamente superiore a Milano, Napoli e Torino (46 vittime ogni milione di abitanti contro meno di 30).

Igiene urbana

Il Lazio soffre di una cronica carenza di impianti di trattamento e avvio a recupero energetico per i rifiuti “a smaltimento” stimato in 1,4 milioni di tonnellate, il massimo tra le regioni italiane e pari a due terzi del deficit nazionale (REF Ricerche 2020). Una situazione che riflette quella romana, che produce il 78% dei rifiuti della regione. Non essendo stata mai pianificata una filiera alternativa di smaltimento rispetto alla megadiscarica privata di Malagrotta, chiusa nel 2013, Roma è deficitaria per tutto: mancano gli impianti di riciclaggio delle varie filiere (carta, plastica, metallo, ecc.), soprattutto della frazione umida, e manca un termovalorizzatore (TMV) che, dopo aver selezionato quanto riciclabile e mandato in discarica quanto necessario, utilizzi a fini energetici il residuo. L’unico tipo di impianti industriali a Roma sono per il trattamento meccanico-biologico (TMB), anche questi comunque insufficienti, che trattano i rifiuti non riciclabili per inviarne una parte in discarica e un’altra ai TMV fuori regione, vista la ridotta capacità di assorbimento dell’unico nel Lazio, a San Vittore. L’insufficienza degli impianti espone il sistema dei rifiuti al potere di mercato di chi ne dispone in altre regioni, e peraltro lo sbocco dei rifiuti indifferenziati romani rimaneva nel 2018 per il 78% la discarica, una “non-soluzione” contraria alle indicazioni dell’UE. Ma il ritardo tecnologico viene da lontano, perché la politica romana non ha quasi mai investito sul ciclo dei rifiuti, relegando l’AMA alla sola funzione di raccolta, e lasciando coniugare monopolio privato ed estrazione di rendite al proprietario di Malagrotta (Tocci 2020: 190-193).

In tutto il Lazio vengono prodotte 3 milioni di tonnellate di rifiuti urbani all’anno, di cui il 77% nella città metropolitana di Roma (Regione Lazio 2019: 65-85). Di questi 3 milioni, 1,4 sono raccolta differenziata (a Roma l’incidenza della differenziata è leggermente più bassa della media regionale) ma solo 1,1 sono effettivamente avviati al riciclo. Dei rimanenti 1,8 milioni: 335mila tonnellate vanno nelle discariche regionali, 330 in impianti di compostaggio, 345 nel TMV di San Vittore, 850 fuori regione (di cui 250 in impianti di compostaggio). L’attuale dotazione impiantistica di AMA copre solo il 15% del totale dei rifiuti prodotti a Roma, ossia 25% dell’indifferenziato, 10% del multimateriale e l’8% dell’organico, portando il resto a una distanza media di 209 km nel 2019 (Agenzia SPL 2020c: 36-43). In mancanza di impianti adeguati, invece di guadagnare dal trattamento dei rifiuti Roma deve pagare per lo smaltimento, cosicché il costo per i romani è elevato. Il gettito della TARI è infatti enorme, pari a 820 milioni di euro al lordo dell’IVA, di cui, secondo quanto dichiarato dall’assessore regionale ai rifiuti, ben 200 vengono spesi per trasportare, trattare e smaltire i rifiuti fuori regione. Peraltro lo sviluppo della raccolta differenziata, ovviamente positivo, ha determinato un notevole incremento delle risorse ad essa destinata (dai circa 150 euro per tonnellata del 2007-09 agli oltre 300 del 2019, a fronte di ricavi molto bassi) mentre si riducono le risorse per pulizia e spazzamento stradale (Agenzia SPL 2020c: 50-54).

La Regione ha deciso che non è necessario sopperire alla mancanza di TMV, sulla base delle ipotesi contenute nel piano regionale (Regione Lazio 2019, Agenzia SPL 2020c: 43-46). In particolare, il piano prevede minori rifiuti a seguito delle azioni di riduzione (tra 3 e 7% annuo secondo lo scenario di riferimento) e dell’aumento di raccolta differenziata e riciclo effettivo (tra 19 e 35 punti percentuali). Anche con queste ipotesi rimane comunque una carenza notevole nel trattamento dell’organico, soprattutto in prospettiva di un progressivo aumento della raccolta: nell’unico impianto romano esistente, a Maccarese, la capacità autorizzata complessiva è di 30mila tonnellate annue, laddove nei diversi scenari del piano regionale l’organico (umido e verde) andrà da 390mila a 437mila tonnellate annue. Il piano non fornisce un bilancio prospettico dei flussi dei rifiuti, sulla cui base sia possibile valutare la sostenibilità della scelta e il suo costo, e in particolare quante tonnellate di rifiuti continueranno ad andare fuori regione. E non trova neanche una sponda nel piano comunale, solo modestamente attuato dalla giunta Raggi, poiché uno degli obiettivi chiave era portare la raccolta differenziata al 75% nel 2020 ed è stato largamente fallito, attestandosi invece al 45%, con una quota di rifiuti prodotti in calo negli ultimi anni ma comunque pari a 1,69 milioni di tonnellate annue nel 2019 e 1,55 quest’anno a causa della crisi economica (Agenzia SPL 2020c: 27-30, Mediobanca 2019: 27-34). 

Questi documenti non sembrano tenere conto del fatto che una parte dei rifiuti non trova alcuna forma di riciclo. Infatti i rifiuti urbani indifferenziati, anche dopo essere stati trattati dai TMB, per una parte predominante (60-65%) sono destinati alla discarica e per un 15-20% trasformati in combustibile solido secondario e quindi utilizzati nei TMV o per co-alimentare cementifici. L’idea che il problema della gestione dei rifiuti possa essere risolto solo con la raccolta differenziata (attuata con il costoso metodo del porta a porta), senza investire in impianti, si è dimostrata irrealistica, insoddisfacente per i cittadini (Agenzia SPL 2019; 2020c: 59-74) e persino dirompente per i delicati equilibri economici di AMA, su cui è stato scaricato il costo dell’incapacità delle diverse amministrazioni di trovare soluzioni.

Servizio idrico

Nel servizio idrico integrato (SII) locale, Roma Capitale si trova al centro di una doppia struttura di gestione: da un lato partecipa al pari degli altri comuni alla network governance del suo ambito territoriale ottimale (ATO-2 del Lazio) come membro dell’autorità di controllo, e dall’altro lato ha la  capacità di agire direttamente sulla corporate governance di ACEA4 e della sua controllata ACEA ATO 2indicando cariche di peso nel consiglio di amministrazione, sebbene nell’ambito della disciplina CONSOB per le operazioni tra società correlate. La potenziale conflittualità insita in questa struttura di governance spuria è alta, come gli effetti della crisi idrica dell’estate 2017 hanno mostrato (Galanti 2018), ma al tempo stesso la posizione del Comune permetterebbe di indirizzare in senso anche profondamente innovativo la logica operativa e il modello di gestione del SII romano.

La dicotomia tra gestione pubblica e privata è quanto meno ambigua. Il concessionario, partecipato per la quota di maggioranza dal concedente pubblico, adotta logiche operative in linea con la gestione industriale e di mercato del servizio. La capogruppo ACEA distribuisce un elevato dividendo annuo a Roma Capitale (84 milioni di euro proposti per il 2020), mentre a sua volta ACEA ATO 2 lo distribuisce alla controllante per tre quarti (66,5 milioni di euro nel 2018), al netto del fondo di accantonamento obbligatorio, nel bilancio d’esercizio 2018. A fronte di questo trasferimento, ACEA ATO 2 riceve dalla capogruppo le risorse finanziarie per gli investimenti, sotto forma di prestito oneroso a tassi d’interesse superiori a quelli di mercato, tanto che ha accumulato un ingente debito finanziario verso la capogruppo stessa (874 milioni di euro al 2018).

Proprio la crisi idrica del 2017 ha riportato l’attenzione sulla fragilità dell’area della Capitale agli shock ambientali, e per farvi fronte ACEA ha avviato interventi per la riduzione delle ingenti perdite di rete e l’incremento delle fonti di approvvigionamento (avvio del rinnovamento degli acquedotti Peschiera- Capore e “potabilizzazione” del Tevere attraverso l’impianto di Grottarossa). La dispersione idrica rimane però alta anche dopo gli interventi straordinari, con perdite nel 2019 pari a circa il 34% dell’acqua immensa in rete, un dato maggiore delle gestioni più virtuose (Agenzia SPL 2020c: 161-163, Mediobanca 2019: 4-15). Esistono al riguardo tre ordini di problemi: la vetustà degli impianti, tanto di adduzione quanto di distribuzione (soprattutto nel centro storico), con alcune opere risalenti al tardo XIX o inizio XX secolo; l’adeguamento della rete all’espansione urbana poco pianificata; l’intensificazione e maggiore frequenza delle crisi idriche negli ultimi anni. A fronte di queste criticità, gli investimenti sulla rete idrica sono in crescita rispetto al trend passato e alla media nazionale, per adeguarla al fabbisogno potenziale, in parallelo a un aumento delle tariffe (Agenzia SPL 2020c: 159 160).

I consumi a uso domestico a Roma (178 litri fatturati per abitante al giorno), al netto della dispersione, la posizionano con un valore intermedio rispetto alle altre grandi città italiane, sebbene i comportamenti a livello nazionale siano meno accorti rispetto alla media europea (144 litri) (Agenzia SPL 2020c: 157- 158). Nel valutare il consumo delle risorse, un ruolo importante lo giocano comunque, oltre a comportamenti e clima, le carenze strutturali nelle abitazioni e il tipo di apparecchi domestici utilizzati.

Divari territoriali

Mentre l’offerta di alcuni servizi pubblici è omogenea sul territorio metropolitano (l’energia e in una certa misura il servizio idrico), per altri è fortemente diseguale, sia a Roma che nei comuni dell’hinterland. Sono infatti molto concentrate, tipicamente nelle zone centrali del capoluogo, l’offerta di TPL e dei servizi di sharing, la disponibilità di servizi socio-sanitari di prevenzione e cura (con i conseguenti effetti in termini di salute e aspettativa di vita), le opportunità culturali fornite da musei, spazi espositivi, concerti, teatri e biblioteche (e persino le librerie private). Appare invece eterogenea  l’efficacia del servizio di igiene urbana, che dipende anche dalle diverse modalità di raccolta dei rifiuti sia tra i quartieri romani che tra i comuni dell’hinterland.

Mobilità

L’offerta di bus, tram, metropolitane, ferrovie e persino di taxi o delle forme innovative di sharing mobility è fortemente diseguale sul territorio. È infatti molto ampia nelle zone più centrali di Roma, all’interno dell’anello ferroviario, dove si incrociano le tre linee metropolitane e sorgono le principali stazioni delle ferrovie regionali, e dove peraltro i diversi servizi di sharing coprono l’intera area, i taxi sono facili da trovare ed è abbastanza sicuro andare a piedi o in bicicletta. Sono più elevate sia la frequenza di passaggio sulla rete di superficie (per la quale i quartieri più serviti sono il centro storico e l’Eur), sia la quota di abitanti vicini ad almeno una stazione della rete su ferro (Lelo et al. 2019: 62-65).

Nei quartieri periferici, e ancor più fuori dal GRA e nei comuni della prima cintura, l’offerta rimane invece insoddisfacente rispetto alla domanda potenziale, in termini di servizi di TPL, aree servite da taxi e sharing mobility, integrazione tra Roma e l’hinterland. La maggior parte della popolazione che vive intorno e oltre il GRA non ha accesso diretto al trasporto pubblico su ferro, tranne a est lungo la Casilina (grazie alla metro C) e verso il litorale (per la Roma-Lido e le fermate urbane della Roma-Fiumicino). A ciò si aggiungono i pesanti disservizi della stessa Roma-Lido e della Roma Nord, sia con corse saltate e riduzione della frequenza, sia con il degrado progressivo di treni e stazioni (Legambiente 2019: 75-76), in attesa della gestione diretta della Regione alla scadenza del contratto di servizio con ATAC. Inoltre, questa situazione di disagio si è andata aggravando negli ultimi anni con le inefficienze del servizio di ATAC e la riduzione delle vetture, dei chilometri percorsi e delle frequenze che impatta pesantemente soprattutto sulle linee periferiche, cosicché chi proviene da più lontano è costretto a tempi di spostamento ancora più lunghi (Tocci 2018).

Considerazioni simili valgono per l’hinterland, in assenza di pianificazione a livello sovracomunale, per cui ogni regolazione della mobilità si ferma ai confini di Roma ignorando comuni come Guidonia, Ciampino e Fiumicino, ormai connessi al capoluogo (CRESME 2020: 30-35), e considerando che dalla città metropolitana provengono ogni giorno (quantomeno prima dell’emergenza sanitaria) 287mila pendolari per motivi di lavoro o studio (Istat 2020a). È rigida la ripartizione tra servizio urbano gestito da ATAC o Roma TPL e servizio extraurbano gestito da COTRAL su gomma e da Trenitalia su ferro, mentre all’estero il TPL è generalmente integrato a livello metropolitano o regionale, e persino a Milano o a Torino le aziende comunali operano su scala sovracomunale. Sono comunque favoriti i comuni lungo le principali direttrici delle ferrovie regionali (il litorale nord fino a Civitavecchia, la linea per Bracciano e Viterbo, e poi Fara Sabina, Tivoli, Ciampino e – in parte – i Castelli Romani), mentre in quelli poco serviti i residenti possono basarsi solo sulla mobilità privata e sul COTRAL, la cui qualità sta comunque crescendo negli ultimi anni almeno in termini di rinnovo del parco pullman.

Questi divari derivano chiaramente dal forte deficit romano per le linee veloci su ferro, a causa dello storico ritardo nella realizzazione delle reti e nel loro ammodernamento rispetto alle grandi città estere ma anche a Milano (Legambiente 2019: 10-13). Le zone più periferiche e l’hinterland subiscono le mancate realizzazioni da parte sia del Comune per metropolitane e tram previsti nel PRG e nel PUMS, sia di RFI per nuove stazioni ferroviarie e adeguamenti infrastrutturali. Il deficit infrastrutturale è tuttavia almeno in parte l’effetto dell’urbanistica romana: nelle aree poco dense è bassa sia l’efficacia del TPL, sia la propensione dei passeggeri a utilizzarlo (Tocci 2008, 2015). Sono economicamente poco convenienti le linee in sede fissa, su direttrici con una domanda potenziale inferiore alle elevate soglie necessarie per ripagare i pesanti investimenti (Tomassi 2013, Lanzetta 2018).

Nella sharing mobility le differenze tra aree centrali e periferiche sono ancora più macroscopiche, con una disponibilità consistente dei vari mezzi (auto, scooter, bici e monopattini elettrici) solo dentro l’anello ferroviario. Per il car sharing, tranne i due aeroporti, l’offerta non copre neanche tutta l’area  dentro al GRA, con molti quartieri popolosi esclusi dai tre operatori presenti (a est arriva poco oltre la stazione Tiburtina, a nord si ferma a corso Francia, a sud a Torrino, a ovest a via del Casaletto), mentre è ancora più ristretta l’area per bike e scooter sharing.

Igiene urbana

Le modalità di raccolta dei rifiuti urbani sono diverse sul territorio romano, e incidono fortemente sull’efficacia del servizio per cittadini e imprese. L’indisponibilità di veicoli adeguati e la quantità di 67mila cassonetti obsoleti rendono complicata la raccolta da parte di AMA. Lo sforzo legato alla raccolta porta a porta in aree difficili, che in termini di lavoratori necessari costa il triplo rispetto a quella stradale, ha peraltro lasciato in difficoltà gli altri quartieri (spesso i più popolosi) dove ci sono ancora i cassonetti per strada. L’appalto all’esterno della raccolta delle utenze non domestiche, dalle scuole ai ristoranti, che doveva alleggerire il compito di AMA, è stato un completo fallimento. L’azienda è costretta a “dirottare” i suoi lavoratori dai turni ordinari per raccogliere anche questi rifiuti, per un servizio di fatto pagato due volte e poco efficace nel mantenere pulite le strade.

Nel monitoraggio della qualità erogata nel 2019 (Agenzia SPL 2020c: 63-65) i municipi più critici per la pulizia delle strade sono stati IV, V e XI (meno del 60% di rilevazioni almeno sufficienti), mentre per le aree circostanti i cassonetti di raccolta stradale i municipi peggiori erano XI, XIII e XV (poco più del 50%). Nessun municipio raggiunge gli obiettivi attesi per questi indicatori, ma i migliori sono il I (78% di strade conformi) e il IX (85% di aree dei cassonetti conformi). Il X raggiunge il massimo livello nell’indice di qualità totale col 91%, seguito da I e IX con l’88%, mentre i valori più bassi si registrano nella zona nord-ovest della città, con il 77-79% dei municipi XIII, XIV e XV.

Sistema idrico

Pur essendo il sistema idrico omogeneo sul territorio, sussistono alcuni elementi di potenziale differenziazione tra Roma e gli altri comuni dell’ATO, che in occasione delle crisi idriche possono comportare divari territoriali nell’offerta, per quanto temporanei. I comuni dell’hinterland romano sono soggetti con regolarità stagionale a turnazioni nell’erogazione del servizio, mentre Roma finora è stata solo marginalmente coinvolta. Questa differenziazione interna all’ATO si mostra con massima evidenza durante la crisi idrica del 2017, tra le più gravi registrate nel recente passato, poiché come accennato non vi fu nessuna misura emergenziale per la Capitale, a fronte di una stretta turnazione (o sospensione del servizio, integrato con autobotti) per alcuni comuni dell’hinterland, secondo la disponibilità delle fonti di approvvigionamento e il sistema di adduzione e di serbatoi (Galanti 2018). La crisi idrica ha anche acuito le conflittualità nella governance dell’ATO-2 per l’incremento della captazione dal lago di Bracciano, che è un ecosistema protetto. Questa misura di contrasto all’emergenza idrica ha visto contrapporsi i comuni che si affacciano sul lago ad ACEA, sostenuta nelle sue scelte da Roma Capitale.

Servizi sanitari e ambiente urbano

La salute dipende non solo dai servizi assistenziali, ma anche dalla dimensione urbana, secondo due prospettive interrelate: chi sei e dove vivi. Il “chi sei” è legato alle capacità individuali, su cui torneremo (cfr. par. 2.3). Il “dove vivi” interroga invece quelli che sono definiti come determinanti sociali di salute che riguardano il contesto, da un punto di vista anche urbano e urbanistico. È evidente il legame esistente tra i due livelli perché le capacità individuali, a partire dal contesto familiare, finiscono per influenzare la possibilità o meno di vivere in un contesto più o meno agevole, anche mediante fattori esterni come il mercato immobiliare e il quadro economico-produttivo generale.

Per questo, disponibilità e localizzazione di alcuni servizi e attrezzature – strutture sanitarie, impianti sportivi e verde pubblico (Lelo et al. 2019: 92-97) – contribuiscono, in forma diversa, alla salute e al benessere dei cittadini romani, peraltro in una città con una storica disattenzione verso l’economia circolare, le acque, la natura. Poiché servizi e attrezzature non sono utilizzati solo da chi vive in prossimità, la disponibilità sul territorio mette in luce solo la maggiore o minore vicinanza a essi, offrendo spunti di riflessione sulla loro accessibilità e il loro impatto, che dipendono anche dai giorni e orari di apertura e (per gli stranieri) dalla presenza di barriere linguistiche.

In particolare, ospedali, ambulatori e case di cura sono concentrati dentro il GRA, soprattutto nel I e II municipio e all’Eur, mentre sono meno diffuse nelle zone più periferiche salvo alcune eccezioni a nord, a est e sul litorale. Escluso l’ospedale Grassi di Ostia, le grandi strutture ospedaliere si trovano all’interno o a ridosso del GRA, spesso isolate dal tessuto urbano circostante e poco accessibili tramite trasporti pubblici, e in particolare con metropolitana o ferrovia, rendendo disagevole raggiungerli a persone anziane, non autosufficienti o con deficit motori senza ricorrere ai mezzi privati. L’arroccamento del sistema sanitario nazionale nelle “fortezze” ospedaliere e l’indebolimento dei presìdi territoriali rende più difficile ridurre i divari di salute tra quartieri (Tocci 2020: 208-212). Proprio per ovviare a questo, la Regione sta implementando un nuovo modello fondato sulle “Case della salute”, distribuite sul territorio in maniera più diffusa rispetto agli ospedali.

Oltre alla sanità in senso stretto, anche i divari territoriali tra i quartieri sulla disponibilità di aree sportive o verdi, o al contrario le problematiche specifiche di inquinamento dell’aria o del suolo, incidono sulla salute psico-fisica e il benessere dei romani secondo dove vivono. Gli impianti sportivi pubblici o privati sono concentrati lungo due assi: il primo e principale è il fiume Tevere, dai confini comunali a nord passando per il Foro Italico e per l’Eur, fino al litorale di Ostia; il secondo, più piccolo ma comunque importante, è l’Appia Antica e in generale il quadrante sud-est. Per il verde urbano (giardini, ville, parchi e aree naturali protette) il massimo si raggiunge nel X municipio con 54 mq per abitante, dovuto al grande parco di Castel Fusano, seguito a distanza da II, IV e IX (circa 20 mq), mentre il minimo si registra in XIII e XIV municipio (4-5 mq) (Agenzia SPL 2020c: 77-80). Se in città rimane una grande estensione di spazi aperti, spesso non curati e non accessibili, con scarsa presenza o cattiva distribuzione di piante, negli ultimi anni, per scongiurare i rischi di cadute dovute alla scarsa manutenzione, sono stati abbattuti nelle parti centrali della città numerosi alberi, non sostituiti con piante più giovani e capaci di controbilanciare inquinanti e anidride carbonica.

Al contrario, ha un impatto rilevante sulla salute la concentrazione in certe aree della città di inquinanti atmosferici, in particolare il PM2.5, cui sono attribuibili più di 12mila decessi prematuri solo nei dieci anni dal 2006 al 2015 (Renzi et al. 2016). I valori di concentrazione di PM10 e NO2 più elevati sono stati registrati all’interno del GRA, e per il secondo le maggiori criticità si osservano lungo le grandi arterie stradali e autostradali (Roma Capitale 2020). Ma soprattutto alcune zone periferiche della città soffrono la presenza di fattori specifici di inquinamento del suolo e dell’aria con sostanze potenzialmente dannose, a più riprese oggetto di studi epidemiologici per indagare eventuali collegamenti con le patologie accusate dai residenti (ARPA Lazio 2013, DEP Lazio 2015, Commissione parlamentare 2017: 331-347). È il caso della Valle Galeria in prossimità dell’ex discarica di Malagrotta e delle raffinerie, di Settecamini e Case Rosse vicino all’inceneritore della BASF, di Rocca Cencia e via Salaria intorno agli impianti dell’AMA, del quadrante est della città che subisce frequenti roghi tossici. 

Disuguaglianze socio-economiche

Sono i gruppi più deboli (giovani coppie, famiglie numerose, precari e immigrati) che – in mancanza di politiche abitative abbandonate in Italia e a Roma ormai da troppo tempo8 – cercano case più grandi e convenienti per l’acquisto o l’affitto, spesso fuori dal GRA o nelle nuove periferie dei comuni dell’hinterland. Quasi 200mila persone dal 2001 al 2020 hanno lasciato i quartieri interni dotati di servizi e trasporti, per andare a vivere fuori dal GRA in zone che ne sono in gran parte sprovviste e nelle quali è molto più costoso realizzarli, eccetto i grandi centri commerciali che spesso costituiscono il fulcro dei nuovi insediamenti. Si tratta di nuclei familiari caratterizzati da età media, istruzione, opportunità lavorative e reddito inferiori alla media romana, e condizioni peggiori di disagio abitativo, cosicché le disuguaglianze spaziali si sommano a quelle socio-economiche (Lelo et al. 2019: 6-39).

Mobilità

Come già visto, l’offerta più ampia di TPL o mobilità condivisa e la maggiore facilità di muoversi a piedi o in bicicletta riguardano i residenti dei quartieri più centrali, spesso appartenenti alle fasce sociali medio-alte in termini di istruzione, occupazione, reddito e salute. Chi abita dentro l’anello ferroviario, e in parte anche nella periferia storica, può scegliere varie alternative di mobilità (comprese le diverse forme di sharing, peraltro più costose rispetto al TPL sebbene inferiori ai taxi) e beneficia generalmente di percorsi più brevi verso i luoghi di lavoro o di studio. Al contrario, a subire i problemi peggiori di mobilità sono sia gli abitanti di gran parte delle periferie più esterne, soprattutto nel quadrante est della città e verso il litorale di Ostia, che mostrano il maggiore disagio socio-economico rispetto alla media cittadina, sia i pendolari che arrivano ogni giorno a Roma dai comuni dell’hinterland, compresi gli stranieri che vivono fuori città.

E anche gli effetti sulla mobilità dell’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia del COVID-19 hanno colpito di più gli abitanti delle periferie, spesso poco qualificati e occupati in lavori manuali inadatti allo smart working, che devono utilizzare autobus o metropolitane e che subiscono i contingentamenti degli ingressi e il rischio di contagio. Invece, i residenti con reddito medio-alto che abitano nei quartieri più centrali possono maggiormente sfruttare le opportunità del lavoro agile o comunque muoversi in maniera sicura più facilmente a piedi, con biciclette o con i servizi di sharing.

Ma c’è un elemento che contribuisce a rendere ancora meno eque le condizioni sociali ed economiche dei romani in relazione al TPL. Poiché questo è finanziato solo in parte da biglietti e abbonamenti, e per il restante dalla fiscalità generale, gli abitanti delle periferie ne sopportano i costi come tutti tramite le tasse pagate su reddito e consumi, ma beneficiano dell’offerta meno rispetto ai residenti dei quartieri più centrali, con la conseguenza di una redistribuzione “involontaria” a favore delle fasce sociali medioalte che vivono dentro l’anello ferroviario. Questo fattore è solo in parte bilanciato dalle agevolazioni tariffarie esistenti per gli abbonamenti Metrebus sulla base dell’ISEE destinate ad anziani over 65 e 70, disoccupati, invalidi, titolari di pensione sociale, rifugiati politici, famiglie numerose, giovani e studenti.

Igiene urbana

La tariffazione del servizio di igiene urbana, costoso per le carenze impiantistiche e per la conseguente necessità di trattamenti fuori regione, impatta inevitabilmente sul reddito disponibile delle famiglie romane. A Roma la TARI nel 2020, per una famiglia con 3 componenti e appartamento di 120 mq, è di 452 euro, superiore a ogni altra grande città italiana, compresa Milano dove si pagano 407 euro, tranne Napoli che è la più cara (Agenzia SPL 2020c: 54-57). Sono enormi le differenze tra i comuni nei livelli tariffari, che non sembrano derivare né dalla quantità di rifiuti prodotta, né dall’efficienza del servizio, né dalle disomogeneità nel perimetro delle attività. Non vi sono statistiche sulla qualità del servizio che consentano di spiegare queste differenze, a parte l’enorme estensione comunale romana che  probabilmente implica costi unitari elevati: Roma Capitale, come gli altri comuni, non documenta le ragioni alla base dei livelli tariffari adottati, che non includono parametri di qualità.

In altri termini è un sistema opaco, dove la accountability da parte del Comune sul servizio offerto è assai bassa, e l’unico elemento che il cittadino può percepire, ossia la qualità del servizio, non entra nella definizione della tariffa parametrica. È possibile, oltreché auspicabile, che con il nuovo regime di regolazione, adottato con la legge di bilancio 2018, che assegna le responsabilità della tariffa a un’Autorità indipendente, questo quadro di opacità possa essere finalmente superato.

Peraltro le caratteristiche della base imponibile rendono di fatto la TARI un’imposta patrimoniale, con effetti redistributivi peculiari (Messina et al. 2018, Macchiati 2018). Infatti la tassa dipende solo dalla dimensione e non dal valore dell’immobile, non discrimina adeguatamente fra famiglie in base alla produzione di rifiuti, e inoltre con essa alcuni comuni finanziano anche spese estranee alla raccolta e al trattamento (manutenzione del verde pubblico, derattizzazione, defissione dei manifesti abusivi).

Servizio idrico

I nuovi investimenti e le manutenzioni della rete idrica si riflettono in un incremento tariffario medio per mc (+5,1% nel 2019), che è in continuità con una tendenza di più lungo periodo (Agenzia SPL 2020c: 159-161), in linea con i rialzi consistenti nell’ultimo decennio a livello nazionale (Cittadinanzattiva 2019). Nonostante questi incrementi, la spesa annua media della famiglia tipo di 3 persone con consumi di 150 mc/anno è pari nel 2019 a 291 euro IVA compresa, di sotto della media nazionale (312 euro), e non è semplice trarre evidenze conclusive sugli impatti rispetto alla capacità di spesa delle famiglie. Nel corso dell’anno sono state ammesse 7.910 domande per la fruizione del bonus idrico per un valore economico totale di circa 56.700 euro.

Le determinazioni del valore soglia oltre il quale si profila il rischio di non poter soddisfare i bisogni idrici essenziali (water poverty) variano dal 2 al 5% del reddito annuo, con un moderato consenso intorno al 3% (Martins et al. 2016). Inoltre, è stato proposto che il solo costo dei consumi idrici necessari (ossia per la soddisfazione di bisogni standard minimi) sia considerato ai fini della determinazione dell’accessibilità del servizio, ma la quantificazione del consumo essenziale non è meno controversa. Gli studi a livello nazionale hanno generalmente collocato l’incidenza delle spese idriche sui redditi medi molto al di sotto della soglia del 3% (Massarutto 2015; Miniaci et al. 2008). Un più recente contributo ipotizza un’incidenza media nazionale del consumo idrico necessario sul reddito disponibile del 2,7%, mentre stima un’incidenza media significativamente più bassa a Roma, pari all’1,2% (REF Ricerche 2018). Una mappatura sistematica della sostenibilità economica delle tariffe potrebbe agevolare la costruzione di strumenti di regolazione universale, aggiuntivi rispetto al bonus idrico9 e agli interventi discrezionali locali10, resi ancor più urgenti dalla crisi economica generata dalla pandemia del COVID-19.

Servizi sanitari e ambiente urbano

Se la salute è una questione legata anche alla dimensione urbana, oltre alla prospettiva del “dove vivi” cui abbiamo già fatto riferimento (cfr. par. 2.2), il “chi sei” è legato alle capacità individuali che vengono influenzate da eventi della vita di ciascuno: il contesto di partenza alla nascita, il livello di istruzione, il  lavoro svolto, le proprie capacità economiche. Tutti questi fattori sono definiti come determinanti “prossimali” della salute, perché riguardano appunto le risorse che ciascuno può o meno mobilitare.

Rispetto a queste determinanti, il servizio sanitario dovrebbe compensare le mancanze economiche nelle aree a basso reddito, garantendo un omogeneo livello di salute della popolazione. Invece, in termini di condizioni di vita e salute tra i diversi municipi di Roma, nonché tra la città e l’hinterland – aree caratterizzate da livelli sociali ed economici eterogenei – esistono differenziali importanti, in primo luogo sui tassi di mortalità. Prendiamo il tasso standardizzato (sulla base della composizione per età della popolazione, in modo da poter comparare i risultati) di mortalità per tutte le cause nel 2017, secondo i dati di OpenSalute. Il tasso nel VI municipio (969 ogni 100mila abitanti), quello con il maggiore disagio socio-economico e il minore reddito pro capite, è molto più alto rispetto al II (774), quello più ricco di Roma, segnalando come nella stessa città possano sussistere disuguaglianze rilevanti in termini di esiti di salute. Ma nell’hinterland, con un reddito medio inferiore a quello romano, i tassi salgono ancora superando la soglia di 1.000 ogni 100mila abitanti nei distretti di Guidonia (massimo con 1.034), Velletri, Palestrina e Mentana-Monterotondo. Lo Studio longitudinale metropolitano, a cura del Dipartimento di Epidemiologia della Regione, ha messo in evidenza l’associazione tra determinanti sociali e salute, mostrando come a livelli di istruzione minori (Cacciani et al 2015) o a status occupazionali più bassi (Paglione et al 2020) corrisponda una maggiore mortalità.

Le differenze osservate in termini di mortalità sono quindi ascrivibili a un insieme di fattori, legati allo status socio-economico, che a sua volta spiega una diversa distribuzione degli stili di vita all’interno delle classi sociali e tra quartieri. Ad esempio, i dati sulla mortalità per tumore possono essere interpretati come il risultato dell’occorrenza della malattia nella popolazione e della sua sopravvivenza, condizionata anche dall’esito dell’assistenza sanitaria. Alcune patologie neoplastiche, come il cancro polmonare o del colon-retto sono in gran parte riconducibili agli stili di vita, che però dipendono comunque dallo status socio-economico, mentre il cancro della mammella è legato a fattori sociali come l’età della prima gravidanza, che dipende in gran parte dalle risorse materiali del nucleo familiare.

Una evidente criticità riguarda, infine, la limitata proattività dei servizi nel rispondere a bisogni di salute complessi ma molto concentrati sul territorio, all’interno di contesti omogenei socialmente deprivati e spazialmente isolati, in particolare i nuclei di edilizia residenziale pubblica (Puccini e Tomassi 2019).

Nelle aree urbane a forte fragilità, dove problematiche sociali ed economiche si combinano spesso con problemi di salute (basti pensare ad esempio alle forme di dipendenza patologica), occorre intervenire trasferendo i servizi all’interno dei contesti. È il caso ad esempio del lavoro che la ASL RM1 sta svolgendo nel complesso ex-Bastogi (Iorio et al. 2020), e che ha visto operatori dell’ASL istituire un punto unico di accesso socio-sanitario, raccogliendo le necessità degli abitanti direttamente dove vivono.

3. Quattro luoghi comuni da ribaltare

Per cambiare questa realtà inadeguata, iniqua e inefficiente non bastano piccoli aggiustamenti nell’offerta dei diversi servizi. Serve un nuovo paradigma che scardini la governance tradizionale delle reti e degli ecosistemi, ripensando e combinando insieme elementi:

  • pubblici (strategie di policy, organizzazione industriale e produttiva delle aziende erogatrici, coordinamento tra i vari livelli di governo e tra comune capoluogo e hinterland, fonti e criteri allocativi degli investimenti, pianificazione di medio-lungo periodo);
  • di mercato (coinvolgimento di privati, ove utile, con regole certe e rispondendo alle esigenze pubbliche, per mettere a frutto le capacità innovative e imprenditoriali del territorio);
  • civici o autorganizzati (in cui i cittadini e le comunità locali sopperiscono dal basso a carenze o mancanze del pubblico, in termini di servizi e attrezzature – aree verdi, aree gioco, centri e attività culturali, pulizia di strade e spazi pubblici – partecipazione, monitoraggio e valutazione); questo può avvenire con finalità diverse: la soddisfazione di esigenze fondamentali, l’azione simbolica per sollecitare la PA, la critica alla gestione amministrativa della città (Cellamare 2019: 117-118).

Questo nuovo paradigma comprende il ribaltamento di almeno 4 luoghi comuni che pervadono le forme di produzione e gestione dei servizi pubblici, e che sebbene non siano tipici solo di Roma, è nella Capitale che la loro rilevanza e combinazione ha raggiunto effetti deleteri sulla sostenibilità sociale e ambientale dei cittadini e del territorio.

Il primo luogo comune è la presunta dicotomia tra una gestione pubblica inevitabilmente inefficiente (prendendo TPL e rifiuti come esempi emblematici) e una gestione “privatistica” sempre efficace (per l’energia, comunque con società a partecipazione pubblica). Al contrario, potrebbe essere più efficace integrare la sfera pubblica e privata, anche attraverso aziende municipalizzate quotate come ACEA o partenariati pubblico/privato con gli Enti locali, da valutare e realizzare con modalità diverse secondo il contesto urbano e di mercato, il ruolo della politica, la capacità di regolazione e controllo.

Ma il ricorso a soggetti privati non va perseguito in maniera ideologica: è utile per la collettività nella misura in cui permette di ridurre le eventuali inefficienze e insufficienze della gestione attuale, grazie a competenze, risorse e logiche industriali in settori che ne sono privi, a fronte di un presidio pubblico garantito da agenzie di regolazione interne all’Amministrazione (Tocci 2020: 240-247). L’affidamento al mercato può far ottenere standard di servizio migliori rispetto al passato solo se accompagnato da un forte impianto regolatorio, da capacità di indirizzo, monitoraggio e controllo da parte degli Enti locali e da investimenti adeguati in infrastrutture, senza l’appropriazione di rendite private soprattutto nei casi in cui il contesto competitivo appare debole e poco strutturato (Tomassi 2010).

Il secondo luogo comune è la visione dei servizi pubblici come costo da ridurre e ottimizzare per la cittadinanza e le casse comunali. Al contrario, è essenziale vederli come investimento sociale, risorsa e opportunità da valorizzare: un generatore di benefici collettivi e diffusi, di valore economico e sociale, da finanziare con una combinazione di risorse pubbliche e di tariffe per gli utenti, senza il quale sorgerebbero anzi costi maggiori per la collettività, sia economici che sociali (ad esempio, la spesa sanitaria rispetto alle conseguenze umane ed economiche della pandemia del COVID-19).

Spesso si parla di aziende pubbliche da risanare come se i loro bilanci fossero un problema autonomo rispetto alle scelte politiche, ignorando come costi e benefici ricadano invece su tutti i cittadini, ed è in questa ottica e su questa scala che va trovata una soluzione strutturale (Tocci 2008: 141). Le società che gestiscono in house i servizi pubblici romani, di proprietà al 100% comunale, vanno valutate secondo il  benessere che portano alla collettività e al territorio, al di là dei risultati di bilancio. Questi vanno letti con cautela quando la finalità sociale confligge con la redditività del capitale investito, perché tariffe non remunerative e costi solo parzialmente coperti non rappresentano segnali della capacità competitiva dell’impresa sul mercato (Mocetti e Roma 2020: 15-16). Ai fini collettivi rilevano maggiormente i bilanci di sostenibilità, redatti in modo da evidenziare l’impatto sociale e ambientale del servizio, l’efficacia nella copertura della popolazione e l’equità nella ripartizione dei costi (Tomassi 2010).

Il terzo luogo comune è l’idea che la regolazione sia una questione meramente tecnica e neutrale, da cui la politica deve tenersi lontana. Essa richiede invece un’azione amministrativa discrezionale, che deve essere orientata a rimuovere i fattori che riproducono i divari territoriali e la disuguaglianza socio-economica, perseguendo obiettivi di giustizia sociale ed equità tra i cittadini poiché “le disuguaglianze sono una scelta” (Barca 2019: 9-13). Il quadro delle regole non può essere quindi una scelta tecnocratica, neutrale rispetto alla diversità dei contesti e alle conoscenze o preferenze delle persone nei luoghi, bensì il risultato di un’azione politica discrezionale in merito a quali obiettivi collettivi raggiungere, quali risorse attivare, quali incentivi e disincentivi fornire agli operatori.

Nella stagnazione e nel dualismo dell’economia romana12, una notevole ricchezza collettiva è ancora rappresentata dalle grandi aziende pubbliche, che sono parte dell’economia fondamentale. Oggi subiscono i continui cambiamenti degli amministratori, i forti conflitti d’interesse (l’azionista, ossia il sindaco, viene eletto anche dai 24mila dipendenti delle stesse aziende) e la gestione politicizzata del personale (Macchiati 2019). Come proposto a livello nazionale, anche alle aziende pubbliche romane vanno affidate missioni strategiche di lungo periodo, sia evitando miopi commistioni con la politica sia dando stabilità e certezza al management (Barca 2019: 76-77; Forum Disuguaglianze Diversità 2020).

Ciò è possibile mediante la creazione di posti di lavoro di grande qualità e adeguatamente retribuiti, una capitalizzazione appropriata (anche con partecipazioni private minoritarie) e la capacità di acquisire e promuovere innovazione, ma mantenendo il controllo proprietario pubblico per poter offrire i sussidi necessari (Simoni 2020). Al contempo va avviato un processo di coordinamento e governance a scala metropolitana – soprattutto per trasporti, igiene urbana e welfare – definendo ambiti ottimali di servizio che permettano un’efficace pianificazione sovracomunale ed evitino miopie locali (Causi 2020: 40-43).

Il quarto luogo comune è considerare la sostenibilità ambientale come un vincolo da subire e non come un volano per accelerare l’innovazione a vantaggio dei cittadini, tenendo insieme giustizia sociale e giustizia ambientale. Roma deve dare finalmente concretezza alla rigenerazione urbana che fino a oggi abbiamo visto solo nelle denominazioni degli assessorati, e che invece è la chiave per ripensare la città secondo criteri ambientali e sociali, attraverso lo stop al consumo di suolo, la riduzione dei consumi energetici e idrici, il ripensamento del ciclo dei rifiuti, lo sviluppo dell’economia circolare, la riqualificazione e l’adattamento degli spazi pubblici ai cambiamenti climatici (Zanchini 2019).

La sostenibilità migliora ovviamente l’ambiente, inteso come inquinamento atmosferico e acustico, emissioni di gas serra, degrado delle aree urbane, consumo di territorio e di energia, e riduce i rischi per gli abitanti di avere problemi di salute o di subire incidenti stradali. Ma ha effetti positivi anche sull’economia del territorio (maggiore accessibilità dei luoghi di produzione e scambio, migliore gestione dei servizi pubblici, minori costi di manutenzione), e più in generale sulle opportunità di lavoro e sulla qualità della vita in città (Tomassi 2016). La riconversione ecologica delle costruzioni, degli spostamenti, dei consumi e del ciclo dei rifiuti può far crescere l’occupazione e generare convenienze private nell’investire in una nuova economia del recupero urbano; allo stesso tempo aziende pubbliche moderne e innovative possono promuovere nuove filiere produttive nel risparmio energetico e nella mobilità sostenibile, per una politica a larga scala di green economy (Palumbo 2015, Tocci 2015).

4. Proposte per la città

Il cambio di paradigma è un obiettivo decisivo per migliorare la vita nella Capitale: ridando fiducia ai cittadini nella capacità della politica di garantire i diritti di base, si può colmare il divario tra centro e periferie, ripristinare un minimo di coesione sociale, spezzare il legame tra degrado dell’ambiente urbano e comportamenti non rispettosi delle norme (Macchiati 2019), concetti ripresi dal manifesto “How to build a fairer city” (Engelen et al. 2014). Per realizzare questi mutamenti sono decisive la capacità e la volontà degli amministratori di cambiare lo stato di cose preesistente e di incidere sui comportamenti dei cittadini, con una grande capacità di pianificazione, regolazione e integrazione delle politiche, in un’ottica di lungo periodo rispetto al ciclo elettorale (Tomassi 2013).

Mobilità

Nel mondo sono in corso da alcuni anni innovazioni tecnologiche profonde nella mobilità urbana – derivanti dall’utilizzo diffuso degli smartphone e dai nuovi servizi sharing e on demand – che stanno mutando gli stili di vita e le stesse preferenze degli utenti (Fondazione per lo Sviluppo Sostenibile 2018).

Con le nuove tecnologie si può organizzare in “tempo reale” l’offerta di trasporto pubblico lungo itinerari flessibili secondo la domanda dei cittadini, mentre cresce l’abitudine a usare l’automobile come un servizio senza averne il possesso (Tocci 2020: 186-190). Se vengono proposti miglioramenti radicali e alternative competitive per gli spostamenti, può cambiare anche la mobilità dei romani, permettendo di scegliere la soluzione integrata più comoda e veloce (metropolitana più bici, tram più monopattini elettrici, ferrovia più car sharing) e di ridurre il numero di automobili, come è normale nelle grandi città europee (Zanchini 2019). Già da tempo i romani hanno mostrato disponibilità per le nuove linee su ferro, la sharing mobility e le app su smartphone, e nei mesi dell’emergenza sanitaria abbiamo intravisto un’attitudine crescente verso la mobilità “dolce” a piedi, in bicicletta o con la micromobilità elettrica, anche grazie a un uso massiccio del lavoro agile che ha ridotto le esigenze di spostamento casa-lavoro.

Serve un cambio di mentalità sia agli amministratori che ai romani, entrambi abituati da decenni a un modello fondato sul trasporto privato. Chiaramente, su alcuni dei fattori della domanda e dell’offerta di mobilità urbana è possibile incidere solo nel medio-lungo periodo con forti investimenti per la costruzione di nuove reti su ferro (richiedendo finanziamenti statali e comunitari, a cominciare dalle ingenti risorse del Recovery Fund13), l’adeguamento delle linee esistenti e lo svecchiamento del parco mezzi, sbloccando i progetti sia del Comune che di RFI14.

Su altri fattori, al contrario, si può intervenire più rapidamente con azioni in ambito comunale e nella città metropolitana, anche senza necessità di risorse aggiuntive (Tomassi 2013; 2016):

  • l’integrazione orizzontale tra politiche diverse, nella consapevolezza che le scelte urbanistiche, abitative, produttive, commerciali, turistiche, educative e sanitarie di Roma e degli altri comuni determinano le forme e i modi degli spostamenti dei cittadini;
  • l’integrazione verticale delle politiche della mobilità tra Roma Capitale e l’hinterland, delimitazioni ormai inadeguate all’espansione degli insediamenti residenziali, commerciali e produttivi, anche con un’agenzia regionale di regolazione co-gestita dai diversi Enti locali coinvolti (Causi 2018: 146-150);
  • un sistema coerente di politiche della mobilità capaci di cambiare il mix modale tra – veicoli privati da disincentivare nelle aree più centrali con zone a traffico limitato, sosta tariffata, congestion charge e traffic calming, mentre vanno incentivati car sharing e car pooling;
  • mezzi pubblici da favorire con corsie protette, ridisegno delle linee di superficie, frequenza di passaggio alle fermate, maggiore sicurezza e comfort, servizi su chiamata nelle zone periferiche;
  • mobilità “dolce” anch’essa da favorire con allargamento di aree e isole pedonali, marciapiedi protetti, incroci stradali sicuri, piste ciclabili, bike sharing, micromobilità elettrica;
  • intermodalità, tramite sistema tariffario, infomobilità e funzionalità dei nodi di scambio.

Il ruolo di ATAC, dell’agenzia Roma Servizi per la Mobilità e di Roma Metropolitane (al momento in via di liquidazione) andrà ripensato di conseguenza, garantendo nell’interesse pubblico una regia unica per servizi di qualità, efficienti e con investimenti crescenti nel tempo. Mentre la rete e la gestione del servizio dovranno rimanere saldamente pubbliche, l’attività industriale di produzione del trasporto potrà essere realizzata – se ritenuto utile in termini di efficacia e qualità per i cittadini – attraverso gare e sulla base di precisi contratti di servizio, fissando gli standard quantitativi e qualitativi da rispettare, le clausole di riassunzione dei lavoratori, le modalità di controllo anche con la partecipazione degli utenti (Causi 2018: 151-152, Tocci 2018).

Igiene urbana

L’obiettivo primario è costruire una rete di impianti in ambito metropolitano o regionale per chiudere i cicli delle diverse filiere dei materiali, anche se per l’articolazione e il numero di infrastrutture necessarie a Roma non è fondamentale che siano tutte pubbliche. L’interesse pubblico è che funzioni il sistema di raccolta per filiere sempre più articolate, e in parallelo il riciclo e riuso dei materiali, anche creando un mercato più grande grazie al green public procurement. Il ritardo infrastrutturale potrebbe anzi essere sfruttato in positivo, almeno per scegliere gli impianti più efficienti e innovativi, più adatti ad alimentare l’economia circolare (ad esempio la produzione di biometano). In questo quadro la ridefinizione del ruolo di AMA e una diversa organizzazione industriale del settore sono fondamentali.

Ci sarà però bisogno di nuove regole, sistemi di valutazione, procedure di informazione e partecipazione per capire la possibile compatibilità sociale e ambientale degli impianti (molto diversa se si tratta di vetro o organico, di plastica o amianto). L’incapacità di assumersi la responsabilità politica delle scelte è anche conseguenza della mancanza di procedure partecipative con la cittadinanza, con cui ristabilire un rapporto di fiducia, e della divisione di competenze sancita dalla normativa nazionale tra Regione, Città metropolitana, Comune e Municipi. Questa divisione è oggi confusa nel rinvio di competenze per individuare e localizzare gli impianti di trattamento, e destinata a produrre paralisi decisionali, puntualmente verificatesi negli ultimi vent’anni. In particolare, l’ipotesi contenuta nel piano regionale del Lazio che i TMV non sono necessari dovrebbe essere sottoposta a un vaglio accurato, invertendo il processo decisionale e ponendo al centro i cittadini, con esiti effettivamente partecipativi. Il dibattito sugli impianti richiederebbe un’informazione meno ideologica sul ciclo degli impianti e, al contempo, meno astrusa: il piano regionale, nella sua attuale formulazione, non risponde a questi due requisiti e quindi non può essere la base per una discussione informata con i cittadini.

L’altra rete che deve funzionare è quella di raccolta e pulizia nei quartieri, dove imprimere un cambio radicale nel passaggio a contratti di servizio e a controlli davvero indipendenti. In una logica di questo  tipo alcune filiere di raccolta e riciclo possono essere gestite da consorzi e imprese private, se accompagnate da un monitoraggio costante ed efficace da parte dei Municipi.

Dal punto di vista dei costi per i cittadini, si dovrebbe andare verso la tariffazione puntuale, per incrementare e migliorare la qualità della raccolta differenziata, così da associare e misurare per ogni utenza i rifiuti indifferenziati prodotti e conferiti. La riconfigurazione tariffaria porterebbe vantaggi non solo in termini di efficienza dell’assetto di finanza locale e di un utilizzo più consapevole delle risorse ambientali, ma anche sul piano di una più equa ripartizione del carico fiscale fra famiglie. La connessione tra TARI e produzione di rifiuti, dove l’utente paga, in buona parte, per quanto indifferenziato produce (quindi meno ne produce meno spende), costituisce un incentivo a differenziare, inducendo maggiore coscienza e responsabilità nei cittadini, e facendo aumentare la quantità di rifiuti riciclabili.

Le diverse soluzioni operative di raccolta differenziata (porta a porta, centri di raccolta di zona, cassonetti “intelligenti” che leggono le tessere con chip di cui dotare le famiglie) andrebbero valutate sulla base dei relativi costi, che ovviamente dipendono dalla struttura urbana. Occorre soprattutto capire bene quali sono le tipologie di quartieri compatibili con la raccolta porta a porta, su cui si sono fatte in passato scelte sbagliate, ad esempio nei quartieri ex abusivi con una rete stradale inadeguata.

Per realizzare questi cambiamenti, è necessario anche rivedere la missione di AMA, che oggi svolge – con risultati del tutto insoddisfacenti – la parte onerosa del ciclo (spazzamento e raccolta) come fosse un’azienda di logistica e di fatto non gestisce quella remunerativa (trattamento e smaltimento) come un’azienda industriale. La disarticolazione verticale risponderebbe a un criterio di specializzazione, tanto che in regioni virtuose come la Lombardia vi è separazione tra spazzamento e raccolta (affidate ad aziende comunali) e trattamento (dove vi sono più operatori ma la multiutility locale A2A ha una posizione dominante), ma per essere veramente tale richiede la dismissione da parte di AMA dell’unico TMB di cui oggi dispone. La separazione verticale introdurrebbe un incentivo a rendere più efficiente la raccolta: oggi la qualità del differenziato sembra essere bassa anche perché AMA non ha relazioni contrattuali di lungo periodo con chi fa trattamento, ma cerca soluzioni sul mercato di volta in volta. E avere un partner industriale di lungo periodo che esiga una certa qualità della differenziata spingerebbe a sua volta a essere più esigenti nei confronti dell’utenza. Ma un’altra ragione, di natura istituzionale, spingerebbe invece verso la costituzione di una realtà industriale regionale: oggi sono le Regioni che secondo la normativa vigente predispongono e adottano i piani di gestione dei rifiuti. L’impresa deputata a svolgere tale ruolo potrebbe essere ACEA, che ha cultura industriale ed è a controllo pubblico, ricalcando il modello di successo della Lombardia.

Servizio idrico

Per il servizio idrico è necessario un ripensamento degli obiettivi che guidano l’azione pubblica, affinché essa promuova il benessere collettivo e l’uso efficiente delle risorse, prima ancora che la ridefinizione degli assetti proprietari tra pubblico e privato. La debole capacità di indirizzo pubblico sul gruppo ACEA – con un interesse della politica romana che nell’ultimo decennio si è tradotto spesso in semplice spoils system – deve indurre a ripensare la natura degli organi di controllo societari, verso una co-gestione con gli stakeholders aziendali e locali (Citroni et al. 2015). Oggi il “buon governo” del SII è ristretto alla dimensione del recupero dei costi e dell’efficientamento tecnico del servizio, mentre sono messe in secondo piano considerazioni relative agli effetti distributivi della gestione e alle modalità di allocazione della risorsa.

La limitazione delle alternative possibili può essere ridiscussa, per allineare il SII a una pianificazione ambientale di lungo periodo, che ponga al centro l’interdipendenza tra sostenibilità ed equità, le scelte collettive relative al consumo di una risorsa essenziale e gli impatti locali del cambiamento climatico. Si dovrebbero dunque rafforzare gli obiettivi ambientali e sociali del SII, in linea con la più generale tendenza alla ridefinizione della natura e degli scopi delle attività produttive, attraverso un mix di modifiche statutarie, introdotte autonomamente dai gestori, e interventi regolativi, che vincolino o incentivino la destinazione degli utili a investimenti sostenibili e obiettivi sociali (Macchiati et al. 2019). Questo cambiamento di passo permetterebbe di affiancare a considerazioni di efficienza economica anche questioni di equità e sostenibilità delle tariffe, a fronte di una crescita della water poverty che subirà un’accelerazione potenzialmente drammatica nel dispiegarsi della crisi.

Dal lato degli interventi sulle reti, è prioritario l’ulteriore incremento degli investimenti infrastrutturali del gestore volti alla riduzione della dispersione idrica. Il rinnovamento delle reti potrebbe essere accompagnato da investimenti per agevolare l’efficientamento idrico delle utenze domestiche e l’utilizzo consapevole della risorsa. La mobilitazione di risorse pubbliche e dei gestori per incentivare l’adozione di apparecchi a basso consumo (Topi et al. 2016) e gli adeguamenti degli impianti idrico-sanitari degli edifici è un’opzione innovativa, che potrebbe avere ricadute positive sull’economia locale.

Energia

Pensare al governo della città con l’obiettivo di equilibrarne il “metabolismo” significa immaginare per il suo territorio e i suoi beni primari la scelta di un futuro rinnovabile, attraverso una produzione diffusa e distribuita in cui i cittadini diventino anche produttori di energia (Palumbo 2015). Come primo passo, Roma può avviare processi di rigenerazione urbana con progetti per far produrre a singoli edifici e interi quartieri con fonti rinnovabili l’elettricità e il calore di cui hanno bisogno, puntando a una transizione ecologica a “emissioni zero”, ma al contempo rilanciando e offrendo una prospettiva nuova al settore edilizio in crisi da molti anni. ACEA diverrà strategica per quanto riguarda la rete, e avrà bisogno di forti investimenti nella distribuzione dell’energia, ma sarà necessario anche un cambio radicale per l’amministrazione, che mai è stata coinvolta su obiettivi di riqualificazione energetica del patrimonio.

In particolare, per il patrimonio immobiliare di Comune e Regione (case popolari, uffici, scuole e biblioteche), la riqualificazione in chiave di risparmio energetico può combinare gli obiettivi sia di sostenibilità ambientale che di giustizia sociale, vista la scarsa manutenzione negli ultimi anni. Ma occorrerà anche che gli Enti locali sostengano imprese e famiglie a investire su questo, semplificando le procedure di intervento, facendo informazione e formazione insieme ai professionisti coinvolti, intervenendo per facilitare l’accesso agli incentivi (statali, comunitari e regionali) e al credito.

Servizi sanitari e ambiente urbano

Una migliore salute dei romani non richiede tanto grandi opere sanitarie come nuovi ospedali o centri altamente specializzati, quanto piuttosto, attraverso il coinvolgimento attivo delle comunità, un insieme di micro-interventi capaci di trasformare finemente il tessuto urbanistico della città. Occorre infatti migliorare riconoscibilità e accessibilità delle strutture socio-assistenziali esistenti, rendere più fruibili e aumentare gli spazi pubblici, costruire percorsi per la mobilità “dolce” favorendo l’attività fisica, riconnettere il patrimonio ambientale di parchi e aree agricole di cui sono ricche le periferie e che si incuneano dentro la città, valorizzare la rete dal basso – associazioni, comitati di quartiere e centri sociali – che in questi anni ha recuperato tanti spazi della città difendendoli da degrado e abbandono. Per dare una prospettiva ambiziosa alla rigenerazione dell’ambiente urbano sarà utile seguire criteri e linee guida definiti nella Strategia nazionale del verde urbano, per la promozione di foreste urbane e periurbane coerenti con le caratteristiche ambientali, storico-culturali e paesaggistiche dei luoghi.

L’approccio biomedico, centrato sul medico specializzato che lavora in un contesto complesso come quello ospedaliero, necessita un affiancamento psico-sociale, nella realizzazione di un servizio sanitario attivo nel contrasto delle disuguaglianze di salute. La promozione della salute passa attraverso la consapevolezza che il benessere di una comunità dipende da politiche e pratiche non sanitarie, capaci di intervenire sul contesto nel quale le persone vivono. Ma senza una crescente integrazione delle  strutture assistenziali che promuovano attivamente la salute pubblica nei tessuti urbani, si corre il rischio di sperimentare modelli organizzativi nuovi che restano “isole” all’interno dei quartieri. Si tratta di interventi che richiedono una forte multidisciplinarietà, ma che a costi molto contenuti, quando non basati solo sulla spesa corrente, garantiscono sia un ritorno di salute, sia risparmi legati a un uso più appropriato dei servizi di secondo livello come ospedale e pronto soccorso.

Il potenziamento di alcuni dei servizi e delle attrezzature considerate, in favore di un più esplicito contributo alla qualità della vita dei cittadini, richiederebbe un lavoro, ancora una volta integrato, da svolgere di concerto con le istituzioni municipali e comunali, non semplicemente per quanto riguarda la presa in carico socio-sanitaria-assistenziale dei pazienti, ma anche per quanto riguarda la valutazione dell’impatto di politiche urbanistiche sulla salute fisica e mentale.

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