Autore
Emiliano Ilardi
Un paio di settimane fa tornavo in aereo da Cagliari dove lavoro, a Roma dove vivo. Atterro a Ciampino intorno alle 8,00 e, visto che avevo con me un valigione e un trolley, decido per una volta di prendere un taxi. 8,30, ora di punta, almeno 50 euro ma vabbe’. Mi tocca una delle tipologie tipiche di tassista romano: una cinquantina d’anni, barba non rasata da una settimana, palestrato, jeans e piumino lungo fino alle ginocchia, faccia da ergastolano. “Vado a Piazza Bologna” gli dico. “Vedemo che ce dice Gughele Maps” mi risponde. Google Maps ci dice che è meglio fare l’Appia e non il Grande Raccordo Anulare. Durata prevista 52 minuti. “Seeee l’Appia… e quanno affittamo co’ l’Appia”, una risata, “Mo’ ce penzo io; te ‘o faccio vede’ io come me ‘o ‘nc..lo Gughele”. Prende il GRA già quasi bloccato, esce subito sulla Tuscolana e poi inizia una serie di slalom tra strade secondarie e strade private, alcune di esse sterrate; addirittura a un certo punto entra in un grande parcheggio di un palazzone di uffici mezzo abbandonato con sbarra semiaperta e ne esce dalla parte opposta. Nel mentre Google, sull’orlo di una crisi di nervi, ricalcola continuamente il percorso ma non riesce a star dietro ai continui cambi di direzione del taxi. Arriviamo a Piazza Bologna in 39 minuti. Il tassista ride fragorosamente “Hai visto? Ho fregato Gughele de 13 minuti. So’ anni che co’ arcuni colleghi se divertimo a fa’ a gara a chi riesce a fotte’ de più Gughele”. Inutile dire che sono sinceramente impressionato e gli lascio una mancia sostanziosa. Io, che ormai uso Google Maps per ogni spostamento, confidando nella sua accuratezza nel disegnare il percorso più breve e meno trafficato, mi accorgo che c’è invece un gruppo di “hackers” tassisti capace di bypassare con successo e prendersi gioco del gigante di Mountain View che, secondo la leggenda, proprio come l’occhio di Sauron del Signore degli Anelli, tutto sa e tutto vede. E mi rendo conto che nella città perennemente bloccata dal traffico ne esiste un’altra senza traffico ma non mappata. Evidentemente a Roma il traffico è un po’ come il Gatto di Schrödinger della meccanica quantistica: c’è e non c’è allo stesso tempo; c’è se sei una particella, ma non c’è se attraversi le strade come un’onda. Fatto sta che un oscuro tassinaro romano con la terza media ha surclassato (13 minuti sono tanti) satelliti, gps, algoritmi e potentissimi calcolatori. Il che da una parte rassicura: a Roma i tanto paventati e distopici sistemi di controllo digitali non riusciranno mai ad essere pervasivi, il territorio diverge troppo dalla mappa, si può sempre trovare un percorso alternativo, non monitorato, non digitalizzabile. Dall’altra, produce frustrazione: come è possibile progettare o semplicemente immaginare un futuro per una città in cui regna l’aleatorietà quantistica, in cui il traffico c’è e non c’è allo stesso tempo? In cui contemporaneamente convivono eleganza e volgarità, geometria e caos, formale e informale, cura e incuria in un territorio che, nonostante gli sforzi, resiste a ogni mappatura. E di sforzi in questo senso, soprattutto negli ultimi anni, ce ne sono stati tanti: basti pensare alle decine di pubblicazioni e ricerche che in tempi recenti hanno proposto una infinità di parametri per mappare Roma. Tante utilissime mappe da cui partire per poter ripensare il futuro di Roma; forse pure troppe perché in un contesto quantistico tutte appaiono contemporaneamente come vere e per poter progettare non è solamente necessario costruire ma anche saper selezionare, escludere, perfino distruggere. Cosa che a Roma non si riesce a fare o, forse, proprio non si può fare. E anche quando lo si è fatto (si pensi alle aperture di via della Conciliazione o di via dei Fori Imperiali) il fantasma di un passato che è sempre presente rimane conficcato lì e si sovrappone all’immagine attuale. Ecco perché progetti come l’eliminazione di via dei Fori Imperiali per recuperare l’unità dei Fori non è un atto né nostalgico, né progressivo: è semplicemente aprire la scatola e prendere una delle versioni sempre possibili del gatto di Scröedinger.
E allora si può immaginare come sarà Roma tra 100 anni? Sì e no allo stesso tempo, evidentemente. Con altre città invece l’esercizio è più semplice anche perché filtrato da pagine e pagine di narrazioni fantascientifiche. Non è difficile immaginare come saranno tra 100 anni New York, Los Angeles, Londra, Parigi, Mosca, Dubai, Barcellona e perfino Milano: alti ed eterei grattacieli, macchine volanti, sistemi di trasporto di persone e merci totalmente automatizzati, cittadini-cyborg che hanno totalmente incorporato le tecnologie digitali; il tutto ovviamente governato da una mappatura del territorio e delle persone che sarà arrivata a un livello molecolare e genetico. Questo modello di futura “smart city”, non importa se nella sua versione utopica o distopica, può sicuramente essere applicato anche a Roma. Il problema è che, non appena iniziamo a immaginarcelo, subito in sottofondo emerge la risata del tassinaro, emblema di una secolare cultura del disincanto (mai del rifiuto) nei confronti del progresso: “dopo Gughele Maps mo’ me so’ fottuto pure ‘e mappe genetiche e molecolari”. Lo stesso tassinaro che 100 anni prima in una corsa da Ciampino a Piazza Bologna aveva detto a un docente universitario di ritorno da Cagliari: “Ma davero c’avresti er coraggio da gira’ pe’ Roma co’ ‘na Tesla cor pilota automatico? Nun so’ mejo io?”.
E allora forse per poter immaginare il futuro di Roma bisognerebbe saperne accettare la sua natura quantistica che allo stesso tempo rassicura e terrorizza. Qualcosa che Stefano Tamburini con il suo Ranxerox aveva intuito quasi mezzo secolo fa, quando aveva disegnato il romano del futuro come un cyborg ipertecnologico e contemporaneamente “coatto” fino al midollo (sintetico). Il prototipo del tassinaro che ha incorporato perfettamente gli algoritmi di Google Maps ma poi (per fortuna) gioca a “fotterli”.
L’intervento di Emiliano Ilardi si legge davvero con piacere, per l’intelligenza e la brillantezza con cui è stato redatto, e per le conclusioni che suggerisce. La distinzione tra territorio e mappa, effettivamente, è un paradigma utilissimo per interpretare i fenomeni urbani, a partire dalla decodifica della “sostanza” stessa della città: spazio fisico, reticolo digitale o entrambe le cose alla maniera del citato gatto di Schrödinger? Epica la figura del tassista romano in lotta contro la macchina, come quella del mitico John Henry, che sfidò la macchina a vapore.
Qual è la mia osservazione? Che il tassista in fondo tenta di battere la macchina (Google Maps) accettandone fino in fondo, diciamo così, l’etica efficentista, per la quale bisogna fare “mejo” della macchina stessa, esaltandone infine la logica. Che è, poi, un modo per rafforzarne il peso sulla nostra capacità argomentativa. Ma così facendo territorio e mappa finiscono per sovrapporsi, diventando la stessa cosa, e l’uomo, più che proporsi come alternativo, in realtà si tramuta in un esecutore fedele, e ancor più efficiente e interstiziale, dello strumento digitale e della sua volontà di potenza. Almeno sinché il celeberrimo punto di singolarità tecnologica, quello oltre il quale la capacità di calcolo della macchina andrà fuori controllo, lo consentirà. Poi addio.
Forse, dico forse, mappa e territorio continuerebbero a essere distinti – e così tecnologia e umanità – se, posti al volante di un automobile, non decidessimo di fare di più e meglio della tecnica, ma ci comportassimo da umani quali siamo (mi rendo conto che di questi tempi il concetto di “umanità” è divenuto un problema, ma tant’è) e puntassimo alla meta facendo un percorso a piacere, quello che conosciamo o amiamo di più, quello che ci gratifica, quello che viene per primo a mente. Soltanto così si potrebbe uscire dal determinismo (o supposto tale) della tecnica, dall’unicità singolare, senza alternative, dalla cogenza delle sue soluzioni, a tutto vantaggio di un’etica umana-troppo-umana che oggi si sta, ahinoi!, sempre più depotenziando. Non si tratta di negare la tecnica, anzi, ma di distinguere e salvare un punto di vista umano, per quanto residuale: quello che rende ancora possibile una condotta libera da schemi efficentisti, da condizionamento tecnici, dal conseguimento di risultati sempre più stringenti, almeno sinché questo sarà ancora possibile.
Certo, c’è anche il rischio di intraprendere “sentieri interrotti”, ma chi l’ha detto che la verità risieda necessariamente in un casello autostradale, al termine di un percorso “allisciato” e tecnicamente ineccepibile, ancor più ineccepibile di quello proposto da Google Maps? E non invece nel “gomitolo di strade” ungarettiano, oppure nei sentieri che portano alle radure del bosco e lì muoiono d’improvviso? Se dovessi sintetizzare direi: non si tratta di fare mejo della macchina, ma di catapultarsi fuori, se possibile, dalla sua logica agonistica, competitiva, efficientista, concedendoci un’incredula libertà da schemi, liberando le nostre opinioni, agendo, direbbe la Arendt, tutti-assieme da esseri umani, piuttosto che da consumatori dediti soltanto al piacere indotto dai device digitali. D’altronde, il citato John Henry vinse la sua battaglia contro la macchina a vapore, ma le leggende aggiungono pure che morì in quello sforzo, appunto, oltre-umano.
Se, e dico se, si salverà questo punto di vista umano, ossia la nostra capacità di esprimere opinioni, non sarà davvero possibile prevedere come sarà Roma tra 100 anni (e sarebbe un bene, secondo me). Agli attuali esseri umani e poi ai nostri figli e nipoti spetterà il compito di decidere se il territorio – questo gomitolo di strade, questi sentieri interrotti – dovrà “distendersi”, sbrogliarsi, allisciarsi sino a concedersi a pieno alla tecnica – oppure restare tale, opponendo al mercato, all’urbanistica degli spazi, alla rendita e al profitto, un punto di vista umano: unica speranza rimasta in tanto “prevedere” e “pianificare” anticipatamente persino i gusti, le emozioni e i sentimenti di ognuno, rendendoci sempre più “singolari”, sempre più distanti e distinti gli uni dagli altri. E perciò, in fin de’ conti, sempre più soli.
Scusate la lunghezza del commento.
Davvero avrà fottuto google? All’utente di google fa piacere passare per strade sterrate o private e cambiare strada ad ogni incrocio? Oppure preferisce sapere con sicurezza a che ora arriverà?