Lidia Piccioni
Sono diverse le pubblicazioni uscite di recente su Ernesto Nathan: motivo il centenario della morte, caduto nell’aprile di questo 2021, ma anche certamente il momento particolarmente difficile che la città di Roma sta vivendo. Alla ricerca, per il presente, di ‘ispirazione’ dal passato.
Tra queste i volumi di Maria Immacolata Macioti, Nathan. Il sindaco di Roma dalle parte del popolo (Iacobellieditore, 2021) e di Fabio Martini, Nathan e l’invenzione di Roma. Il sindaco che cambiò la Città eterna (Marsilio, 2021).
Maria Immacolata Macioti è purtroppo venuta a mancare nel luglio scorso. Studiosa profonda conoscitrice della realtà romana, desidero qui ricordarla con affetto.
Questo suo volume è la nuova edizione aggiornata di due edizioni precedenti, la prima del 1983, la seconda del 1995. Due date non casuali perché siamo in due momenti della storia repubblicana di questa città in cui è sembrato soffiare un vento di cambiamento e molte speranze erano puntate sull’Amministrazione capitolina, rispettivamente guidata dalla sequenza delle così dette “giunte rosse” e poi, a dieci anni di distanza, dalla prima tornata come sindaco di Francesco Rutelli. Momenti in cui, soprattutto, la ragionevole speranza era di trovarsi finalmente davanti a un progetto concreto per Roma. Il lavoro della Macioti, allora come nella terza edizione della scorsa primavera, si è mosso dunque, esplicitamente, nella direzione di interrogare la storia passata come occasione per riflettere sul presente, individuando nell’esperienza dell’amministrazione Nathan un’occasione privilegiata.
Motivazione che ritroviamo tutta anche nel volume di Fabio Martini che, ancora più esplicitamente, si chiede fin dall’introduzione perché un simile modello conclamato di ‘buon governo’ abbia avuto nei fatti così poco seguito e se “un altro Nathan” sarebbe oggi possibile.
Pregio innanzi tutto dei due volumi è quello di mettere in fila i punti salienti di quella Amministrazione, entrando puntualmente nelle sue realizzazioni. Temi forti di allora che tuttora ritroviamo nel dibattito sulla città; questioni che si fondano subito, all’indomani del suo divenire capitale dello Stato unitario, e poi si snodano per tutto il Novecento, attraverso una realtà dalle dinamiche profondamente vischiose. Così come si snodano e ripropongono le speranze del cambiamento.
Al primo posto, naturalmente, il tentativo di porre un freno a quella speculazione edilizia che a inizio Novecento ha già cominciato a divorare Roma; di frenare e regolamentare un uso del territorio che sta già sperperando un patrimonio urbano inestimabile. Così come in anni recenti, sempre più in fretta, sarà divorato a sua volta quello spazio della Campagna romana che avrebbe potuto rappresentare una opportunità unica di espansione equilibrata.
E poi il grande tema dei servizi che, con l’avvio delle Municipalizzazioni, si sottraggono al monopolio e, quindi, all’interesse privato passandone la gestione progressivamente al pubblico. E, imprescindibile, quello della scuola, come cardine di costruzione di una società civile, moderna e consapevole, in continuità con gli ideali mazziniani di cui Nathan è intriso (aspetto a cui Giulio Cederna ha dedicato un approfondimento su questo stesso sito).
E, ancora, l’attenzione per l’ambito igienico-sanitario, con al centro l’impegno per la bonifica e il miglioramento delle condizioni dell’Agro ma anche, importantissimo, quello per una inedita edilizia popolare. Tutti ambiti in cui l’impegno dell’Amministrazione si avvale dall’interno di tecnici competenti – fra tutte la figura di Giovanni Montemartini – ma al tempo stesso appoggia e valorizza figure indipendenti, che si muovono autonomamente, come il gruppo di intellettuali della Campagna romana o, per la scuola, l’opera di Maria Montessori.
A evidenziarsi, più complessivamente, è inoltre la consapevolezza da parte di Nathan di dover lavorare sul rapporto tra capitale e Paese. Un rapporto importante per la capitale, ma anche per il Paese, per un’identità in quegli anni in via di definizione. E allora la ricorrenza dei cinquant’anni dell’Unità vista come opportunità di valorizzare Roma come la capitale laica di uno Stato laico. Città moderna e internazionale. Aspirazione sostanzialmente mancata con l’Esposizione del 1911, momento dalle svariate realizzazioni ma sovraccarico di polemiche, a ricordarci quanto difficile sia appunto questo rapporto.
All’interno di questo quadro comune, da ognuno dei due volumi è poi possibile trarre, mi sembra, una specifica sottolineatura particolarmente utile e attuale per tornare a riflettere.
Dal volume di Fabio Martini a emergere è l’accento sul “metodo amministrativo”, sul funzionamento di quella “macchina comunale” di cui Nathan denuncia in entrata il “disordine” e su cui vuole intervenire provando, fattivamente, nei sei anni del suo governo, a renderla più efficiente circoscrivendone le resistenze burocratiche. Rilevante, in tal senso, la presenza intorno al sindaco di una “squadra”, di personalità sia, come abbiamo visto, qualificate e competenti, sia “mosse da una vera passione politica”. “Idee forti”, “riforme incisive” ma soprattutto, anche grazie a queste sinergie, “una ferma volontà di tradurle in pratica”, di dare segni tangibili nel presente della città.
In particolare, tornando al nodo delle municipalizzazioni, la convinzione di poter contrapporre ai “trust illeciti” il “trust lecito della collettività”, dimostrando – nota ancora Martini – che il pubblico non solo ha il dovere di muoversi nell’interesse del cittadino, ma può farlo in modo economicamente conveniente, organizzando “un servizio efficace e a costi più accessibili” per gli utenti, quindi di fatto competitivo. Battendo il privato sul suo stesso terreno.
Dal lavoro di Maria Immacolata Macioti è piuttosto possibile trarre una sottolineatura particolarmente vicina alle corde dell’autrice e più che mai legata al presente: la presa di consapevolezza che la Roma di Nathan è in buona sostanza una Roma di immigrati. In soli trent’anni, dalla ‘breccia’ del 1870, la città ha infatti più che raddoppiato la sua popolazione superando il mezzo milione di abitanti. Lo stesso Nathan, come sappiamo, viene da lontano, è a tutti gli effetti un ‘diverso’. Quindi occuparsi in modo prioritario dei bisogni dei cittadini con attenzione alle componenti più deboli, dare rilevanza all’istruzione e alla qualità dell’edilizia popolare, dare voce alla società civile, ha voluto dire, per usare un’espressione a noi vicina, muoversi lungo un progetto di inclusione.
Ad essere ribadita da entrambe le monografie, infine, è l’immagine di una amministrazione che ha cercato di operare non solo ‘per’ la città ma ‘con’ la città. Coinvolgendo la cittadinanza, rendendola consapevole dei suoi diritti e chiamandola a partecipare attivamente. Un modello in cui il costante richiamo di apertura alla modernità implica che i cittadini sono chiamati dall’alto ad avere voce in capitolo (e il referendum sulle municipalizzazioni del settembre 1909 è solo l’esempio più evidente) e al tempo stesso le forze dal basso trovano la possibilità di essere ascoltate e valorizzate. Siano, come dicevamo, singole figure emergenti della società civile che quella costellazione di associazioni e circoli di fatto in crescente fermento nella Roma di inizio Novecento.
Un’immagine che ci riporta, ancora una volta, a discorsi, aspettative, programmi tante volte rilanciati in questi ultimi anni a proposito di progettazione condiva del territorio urbano, ma ancora, sembra, così difficile da mettere realmente in atto.
Oggi, in particolare, viviamo un passaggio sicuramente critico per la città ma anche denso di energie ‘dal basso’ vecchie e nuove, che la recente emergenza sanitaria ha messo in difficoltà ma per certi versi anche maggiormente motivato.
Sarebbe certo auspicabile se un simile modello, tante volte richiamato, potesse davvero trovare una strada per realizzarsi.