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La nostra visione

Manifesto

1. Fine della rapina:
La campagna romana e le sue relazioni vitali con la metropoli

4. La città si prende cura:
Tra cittadinanza attiva e (nuovo) welfare urbano

7. Conoscenza:
Quella che abbiamo, quella che costruiamo insieme

2. Diritto alla città:
Accessibilità e spazio pubblico

5. Abitare di qualità nella metropoli:
Diritti, usi conflittuali, ripensamento dell’azione pubblica

8. Patrimonio:
Il nostro, di tutti

10. Governo:
Spazi di democrazia e trasformazione delle istituzioni

3. Pluralità come ricchezza:
Popolazioni, storie, accoglienza

6. Economia e lavoro:
Vita e morte nell’economia romana

9. Energie e reti:
A servizio della città

Il libro

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Campagna romana

Fino a non molti anni or sono, chiunque giungesse a Roma dal Grande Raccordo doveva attraversare ancora un’ampia distesa di campi prima di arrivare in città; la corona dell’antico Agro oggi si presenta invece erosa dauna crescita frammentaria, a bassa densità che ha oramai occupato circa la metà della superficie comunale. Le conseguenze sociali, prima che ambientali, di questi processi, sono critiche quanto evidenti, e pongono l’urgenza di assumere una prospettiva di“consumo di suolo zero” che viceversa riconosca ai “vuoti” residui, il valore strutturante del sistema degli spazi verdi, rurali e seminaturali, per l’azione di riqualificazione della città contemporanea: per la difesa delle funzioni ecologiche della biodiversità, e per la tutela delle valenze pubbliche, storiche e culturali che la Campagna romana ancora riveste per la collettività.

Accessibilità e spazio pubblico

La qualità dello spazio pubblico è condizione necessaria per abitare una città sana e vitale, in grado di attrarre abitanti, economie, energie creative, lavoro. Lo spazio pubblico non è solo il luogo dello svago o dello spostamento ma comprende tutti gli spazi della città in cui abbiamo un diritto incondizionato all’accesso, allo stare, all’esprimere la nostra libertà di espressione. La grande diversità dei tessuti urbani e sociali di Roma, e le conseguenti disuguaglianze territoriali tra aree centrali e periferiche, riflettono un’estrema differenziazione nella dotazione di spazi pubblici qualificati. Nonostante il fiorire di pratiche ed esperienze di partecipazione, portate avanti in questi anni da associazioni e comunità locali, è evidente la mancanza di progettualità e di una visione d’insieme da parte delle amministrazioni. Considerato come un problema da gestire più che una risorsa, lo spazio pubblico non riesce oggi a liberarsi della banale schematizzazione degrado / controllo. La riprogettazione dello spazio pubblico rappresenta invece la principale opportunità per la città e chi la governa, se lo pensiamo come investimento e non come costo, sostituendo al concetto di decoro quello di vitalità, allo standard urbanistico l’idea di “luogo in comune”, di condivisione e scambio, e immaginando così uno spazio pubblico partecipato non per delegare ma per coinvolgere.

Welfare urbano

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Abitare

Il diritto all’abitare, che è prima di tutto diritto alla casa (la cui negazione è evidenziata dalle contraddizioni fra case vuote e disagio abitativo) ma non può essere ridotto a questo, è un diritto fondamentale, universale, mentre molteplici sono le culture dell’abitare. Questo implica una declinazione del concetto di abitare a diverse scale (di vicinato, di quartiere, a scala urbana) le quali hanno, ciascuna, una serie di importanti impatti e conseguenze, e vanno gestite politicamente. Questo implica anche affrontare la questione abitativa in termini di rilancio e innovazione del social housing, della casa pubblica. Il diritto all’abitare dei residenti coesiste – e in molti quartieri rischia di confliggere – con l’utilizzo temporaneo della città da parte dei city users e soprattutto dei turisti, che pure ha le sue motivazioni e il suo interesse. Il turismo non va semplicemente promosso; va governato, nell’ottica dell’equilibro tra funzioni, usi, zone della città, costi e benefici, qualità e quantità, avviando un dibattito su basi completamente nuove, come sta avvenendo in tutte le grandi città, anche nell’interesse degli stessi turisti. Il tema dell’abitare è anche quello in cui si registrano oggi le maggiori mobilitazioni sociali ed i maggiori conflitti sociali.

La questione abitativa è ed è stato uno dei temi rilevanti che hanno condizionato lo sviluppo e l’organizzazione della città. La mancanza di politiche adeguate ha spesso innescato risposte emergenziali e di bassa qualità (borgate, quartieri 167, ecc.), spesso mescolate con altri obiettivi politici e sociali, oppure ha generato risposte autorganizzate (l’abusivismo e la “città fai-da-te”), o ancora ha generato una sorta di monopolio del privato sullo sviluppo urbano (e pensiamo alle forme speculative). D’altronde il tema dell’abitare non si riduce alla sola questione della casa, ma al più ampio tema della urbanità, della qualità complessiva dell’ambiente di vita, della convivenza (e quindi dell’accessibilità alla città), della possibilità di luoghi centrali, della disponibilità di attrezzature e servizi, della possibilità di praticare la cittadinanza attiva e di riappropriarsi degli spazi di vita. Questo è tanto più vero se si considerano i modi con cui la città si sta oggi organizzando (le tante periferie, il posturbano, l’extra GRA, ecc.). Discutere della qualità dell’abitare significa riflettere sull’organizzazione della vita quotidiana degli abitanti ed i modelli sociali della metropoli. È questo un campo fondamentale dove ripensare i modi dell’azione pubblica e sviluppare una collaborazione tra il pubblico e le diverse forme del protagonismo sociale.

Popolazioni

L’unicità e la complessità sociale della Roma di oggi sono il risultato delle intense migrazioni che l’hanno raggiunta dal resto d’Italia dopo la proclamazione a capitale e delle migrazioni internazionali che negli ultimi decenni l’hanno trasformata in una città multiculturale. In questo contributo abbiamo puntato l’attenzione su due gruppi di popolazione che, allo stesso tempo, rappresentano il carattere plurale di Roma ed evidenziano spesso marcati elementi di fragilità: i cittadini stranieri di recente immigrazione e i residenti nei campi rom.

La complessità delle domande sociali di popolazioni molto composite richiede agli amministratori della città un grande sforzo di analisi e interpretazione. Va sviluppato un ventaglio di risposte flessibili e multiformi, capaci da un lato di favorire l’accoglienza dignitosa dei nuovi cittadini più in difficoltà superando la logica dell’emergenza, dall’altro di fornire agli immigrati di prima e seconda generazione gli strumenti adeguati per integrarsi nel tessuto sociale della città.

Economia e lavoro

Quali dinamiche strutturali spiegano la crisi del valore che ha colpito l’economia romana nell’ultimo decennio? Come questa si riflette in alcuni settori chiave che caratterizzano l’economia urbana, e quali sono i risvolti sociali, territoriali, occupazionali, distributivi? Come uscirne? Nel capitolo si rifletterà in primo luogo sulla crisi delle tre ‘rendite romane’ – burocratica, fondiaria e simbolica – che hanno costituito il fondamento sul quale si è basato il lungo ciclo 150ennale di Roma capitale. Si evidenzieranno al contrario le potenzialità delle componenti più ‘vive’ e dinamiche dell’economia urbana, e la loro capacità di produrre non solo reddito o ricchezza, ma conoscenze, socialità, cultura viva, creatività, novità, buona occupazione, comunità, umanità, vitalità, irriproducibilità, accoglienza, cura. Si proporrà su questa base di superare il paradigma neoliberista della competitività a favore di una economia ‘giusta’ e ‘fondamentale’, ripensando radicalmente il ruolo dell’azione collettiva e delle politiche economiche urbane.

Conoscenza. Quella che abbiamo, quella che costruiamo insieme

Roma dovrà sempre più diventare un sistema culturale integrato: la città del “cozzo delle idee”. Dai centri di ricerca internazionali alle piccole biblioteche di quartiere, è necessario mettere a sistema tutte le strutture che operano nel mondo della ricerca: i centri culturali dello Stato (Biblioteca nazionale, Archivio centrale dello Stato, Accademia dei Lincei, Cnr, Istituto Luce, Cineteca Nazionale); la rete della ricerca scientifica (Università, Accademie, Centri di ricerca); il sistema degli Archivi, delle Sovrintendenze e dei Musei; la rete diffusa delle biblioteche cittadine (biblioteche universitarie, biblioteche di settore e internazionali, biblioteche di quartiere); le scuole.

Roma dovrà sempre più riconoscere sé stessa come uno dei centri europei della produzione culturale contemporanea; quindi, come luogo di sperimentazione dei nuovi linguaggi artistici e creativi, capace di accogliere e di far crescere le avanguardie giovanili, le lotte culturali della differenza di genere e dei movimenti di liberazione sessuale; il dialogo con le culture extra-europee. Nello stesso tempo, Roma resta il luogo ideale per interpretare il passato, proteggendo la trasmissione inter-generazionale dei saperi e dei mestieri. Se il centro storico rimane e resterà il luogo del consumo culturale, l’intero distretto regionale della Capitale si dovrà sempre più percepire come il luogo privilegiato della produzione e della sperimentazione culturale: Mercato Audiovisivo (Centro Sperimentale, Cinecittà; RAI; case di produzioni cinematografiche; audiovisive e multimediali); Mercato dello spettacolo (Accademia Silvio d’Amico; Accademia nazionale di Danza; Accademia di Santa Cecilia; sistema dei teatri urbani; delle scuole di musica, di danza, del circo contemporaneo, della magia; case di produzione musicali); Mercato dell’arte contemporanea (Accademia di belle arti, Accademie private, MAXXI, Macro, Gallerie private); Mercato dell’innovazione digitale (Incubatori ed Acceleratori digitali; Talent garden, Fab lab; Industria multimediale videogame).

Patrimonio: il nostro, di tutti

La questione del patrimonio emerge a Roma in modo paradossale. Roma è la città con la più alta concentrazione di beni archeologici, storici, architettonici e archivistici al mondo, e tra i meglio conservati al mondo, spesso ancora integrati nella vita della città. Tutto questo è ben riconoscibile nei palazzi, nelle chiese, nel sistema viario e nei tessuti edilizi della città, ed è strettamente interconnesso, nel bene e nel male, alla vita quotidiana. Il paradosso emerge tra l’estremo rigore delle istanze della tutela, e la tendenza, altrettanto estrema ma di segno opposto, a disfarsi dei beni delegandone la gestione o perfino trasferendone la proprietà al privato (giustificata dalla mancanza di risorse e dall’incapacità o impossibilità di gestione da parte del pubblico) – invece di apprezzarne la ricchezza e viverla, il patrimonio è trattato come attrazione per i turisti o come fosse un fardello

Di certo, per i cittadini romani e i loro rappresentanti politici, il patrimonio che abbiamo ereditato da secoli e millenni è una responsabilità enorme. 

Il patrimonio deve essere obiettivo primario di investimento pubblico e collettivo (non necessariamente solo di risorse economiche), per cui devono essere ideate e rese possibili anche forme di gestione diverse del bene collettivo e comune.

Il patrimonio chiede ed implica di assumere una prospettiva di lunga durata, di mettere in discussione i modelli di sviluppo dominanti, fa capire l’insostenibilità dell’economia della rendita -che pure si basa sull’esistenza di un patrimonio-, e implica una ‘nuova imprenditorialità’ guidata dal principio dell’interesse pubblico, del benessere collettivo, della necessità di ricominciare ad immaginare e progettare il futuro attraverso la riscoperta continua del passato come solo modo dare senso -e poter agire- al presente.  

Energie e reti: a servizio della città

Le infrastrutture e i servizi pubblici di Roma e del suo hinterland, in particolare sanità, acqua, energia, trasporti e rifiuti, sono elementi ineludibili per il miglioramento dell’ambiente urbano nel suo insieme e a vantaggio di ciascun cittadino in termini di salute, benessere e qualità della vita. Le criticità, soprattutto per trasporti e igiene urbana, esasperano le disparità tra cittadini, rappresentando ormai un disservizio costante e venendo percepite sempre più come un vero “pericolo pubblico”. Questo comporta inefficienze e costi per i cittadini e l’ambiente, e non permette di ridurre divari territoriali nell’offerta e disuguaglianze socio-economiche nel consumo. Per cambiare non bastano piccoli aggiustamenti nell’offerta dei diversi servizi, ma serve scardinare la governance tradizionale delle reti e degli ecosistemi. Sono almeno quattro i luoghi comuni da ribaltare per definire un nuovo paradigma: la presunta dicotomia tra una gestione pubblica inevitabilmente inefficiente e una gestione privata sempre efficace; la visione dei servizi pubblici come costo da ridurre e ottimizzare per la cittadinanza e le casse comunali; l’idea che la regolazione sia una questione meramente tecnica e neutrale, da cui la politica deve tenersi lontana; considerare la sostenibilità ambientale come un vincolo da subire e non come un volano per accelerare l’innovazione.

Governo

Le infrastrutture e i servizi pubblici di Roma e del suo hinterland, in particolare sanità, acqua, energia, trasporti e rifiuti, sono elementi ineludibili per il miglioramento dell’ambiente urbano nel suo insieme e a vantaggio di ciascun cittadino in termini di salute, benessere e qualità della vita. Le criticità, soprattutto per trasporti e igiene urbana, esasperano le disparità tra cittadini, rappresentando ormai un disservizio costante e venendo percepite sempre più come un vero “pericolo pubblico”. Questo comporta inefficienze e costi per i cittadini e l’ambiente, e non permette di ridurre divari territoriali nell’offerta e disuguaglianze socio-economiche nel consumo. Per cambiare non bastano piccoli aggiustamenti nell’offerta dei diversi servizi, ma serve scardinare la governance tradizionale delle reti e degli ecosistemi. Sono almeno quattro i luoghi comuni da ribaltare per definire un nuovo paradigma: la presunta dicotomia tra una gestione pubblica inevitabilmente inefficiente e una gestione privata sempre efficace; la visione dei servizi pubblici come costo da ridurre e ottimizzare per la cittadinanza e le casse comunali; l’idea che la regolazione sia una questione meramente tecnica e neutrale, da cui la politica deve tenersi lontana; considerare la sostenibilità ambientale come un vincolo da subire e non come un volano per accelerare l’innovazione.

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